Il Manifesto, 13 febbraio 2001 Scienze politiche IDA DOMINIJANNI Con la mappa del genoma la specie umana ha uno strumento prezioso per la sua navigazione nella vita. Da ieri ne sappiamo molto di più su quell'animale ineluttabilmente sociale - come la mappa stessa conferma, evidenziando l'intreccio di biologia e ambiente di cui siamo fatti - che è l'essere umano. Che uso faremo di questa cruciale informazione non dipende solo dal sapere scientifico e tecnologico. Dipende anche, e in ultima analisi soprattutto, da quella peculiare arte che si chiama politica, inventata apposta per badare alla vita sociale della specie. Caso vuole che la notizia della mappatura del genoma cada nel pieno di un conflitto fra una parte della comunità scientifica italiana, che rivendica libertà e investimenti per la ricerca, e una parte del mondo politico, accusato di proibizionismo e fondamentalismo anti-scientista. La scienza contro la politica? Sarebbe una rappresentazione nefasta, per l'una e per l'altra parte in campo. Di questi tempi solo gli stolti possono non vedere che scienza e politica, tecnologie e governo, cura della vita individuale e cura della vita pubblica o crescono insieme o muoiono insieme. Benché la politica ce la metta tutta a ridursi a manuale di spartizione del potere, tutto - dalla mappa del genoma all'informatica, dalle biotecnologie che modificano i cibi alla farmacologia che modifica i cervelli, dalle nuove armi che seminano la morte alle cellule staminali che possono allungare la vita - la porta a uno spettro più ampio di azione e di responsabilità. Si chiama "biopolitica", e comprende sotto il suo cielo molte più cose di quante la politica tradizionale non veda. Se in gioco, nella manifestazione degli scienziati di oggi a Roma, ci fosse "solo" una questione di libertà non sarebbe difficile trovare la bussola. La libertà della ricerca, oltre che un diritto costituzionale, è una precondizione per una buona finalizzazione della ricerca stessa, che non può controllare i rischi in cui incorre senza "vederli", come a poker. Ai governi non spetta alcuna facoltà di interdizione preventiva, ma solo un potere di controllo sugli usi e le applicazioni; nonché sulle indebite appropriazioni a fini di mercato di beni e informazioni che sono e devono restare patrimonio comune. Senonché questa bussola, dalle nostre parti, è tutt'altro che scontata. Non solo per le tentazioni antiscientiste dei Verdi, ma soprattutto per il loro possibile innesto sul tronco più radicato del fondamentalismo cattolico, non meno responsabile (pesa la vicenda della ricerca sulle cellule staminali degli embrioni) della protesta degli scienziati. Senza contare la storica incuria negli investimenti, con quelle percentuali ridicole di Pil (e di fondi privati) destinate alla ricerca. La protesta della comunità scientifica ha dunque molte ragioni. Ma può perderle, se si proporrà come il vessillo di un ottimismo progressista che ha subìto dalle repliche della storia altrettante smentite dei fondamentalismi conservatori. In tempi in cui la grancassa mediatica promette ogni giorno la soluzione onnipotente di tutti i problemi della condizione umana, spetterebbe innanzitutto a chi la scienza la pratica denunciarne i limiti, le impotenze, le incertezze e, quand'è il caso, le nefandezze. Passa anche da qui il discrimine fra una rivendicazione corporativa e un'azione politica degli "esperti" che oggi chiedono ascolto. Dall'altra parte, spetta al ceto politico un'apertura. Non solo alle ragioni degli specialisti, né tantomeno a quelle del consenso elettorale (le uniche già in pista, con i candidati premier pronti a ricevere gli scienziati e i radicali pronti a candidarli), ma al ventaglio di questioni e di soggetti che la rivoluzione scientifica chiama in campo e mette all'ordine del giorno. Di fronte ai nuovi dilemmi bioetici, si usa dire che la politica deve fare un passo indietro. Deve farlo, se la politica è controllo, proibizione, invadenza. Ma deve farne uno avanti, se è costruzione della sfera pubblica, discussione aperta delle poste in gioco, ascolto delle forze interessate, che in materia non sono solo i produttori ma i destinatari della ricerca scientifica, ovvero tutti noi. Dice bene chi oggi promette un nuovo patto fra scienza, politica e cittadinanza. Ma solo se è disposto a passare per nuovi conflitti: dentro i governi (a partire da quello in carica), con e fra gli specialisti, con e fra gli utenti. Quello che va in scena oggi è uno, ed è salutare.