IL MANIFESTO, 25 agosto 2001 SCIENTIFICI OPPORTUNISMI Fuochi incrociati sugli ambientalisti MARCELLO CINI --------------- Si resta di stucco ad ascoltare - come mi è capitato - le reazioni di insofferenza che talvolta gli ambientalisti raccolgono, insieme all'imputazione di avere combinato un sacco di disastri. La prima cosa che viene in mente a qualunque persona normale è che la maggior parte di essi sono avvenuti perché nessuno ha tenuto conto degli allarmi lanciati dagli ambientalisti, che ne avevano denunciato i pericoli e spesso previsto gli effetti funesti. E forse anche che senza la loro lunga e faticosa opera di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, lo stato del pianeta sarebbe ancor più comatoso. Ma quando ho comprato il numero di giugno di Le Scienze, credo di aver capito quale possa essere stata la fonte delle espressioni di insofferenza ascoltate. Questo numero, infatti, contiene ben quattro articoli, più o meno violenti, contro l'ambientalismo, identificato, in quanto nemico numero uno della "scienza", come responsabile oltre che di numerose altre nefandezze, nientedimeno che del disastro della "mucca pazza". Il direttore della rivista può dunque essere soddisfatto: i suoi scoop hanno un vasto pubblico. Punto di partenza comune a tutti questi attacchi è l'accusa di indebita interferenza nei confronti dell'attività di ricerca attraverso un uso strumentale e distorto del cosiddetto "principio di precauzione". Tullio Regge, per esempio, polemizzando con me, attribuisce agli ambientalisti la pretesa di avere la "certezza assoluta" che un determinato agente non nuoccia alla salute o comunque non abbia effetti dannosi. Renato Ricci a sua volta attacca coloro che hanno sostenuto, sulla base di pochi isolati risultati senza tener conto di "migliaia di risultati che li sconfessano", la necessità di tenere bassi i limiti di esposizione alle radiazioni elettromagnetiche che potrebbero essere responsabili di leucemie infantili. Più aggressivi gli articoli di Enrico Bellone e di Franco Battaglia. Il primo, dopo aver individuato, anche lui, il nemico in chi, sulla base di una "folle interpretazione" del principio di precauzione, chiede alla scienza la "certezza assoluta", insinua che dietro alla campagna contro l'elettrosmog ci sia un affare da 50.000 miliardi (questo è quanto costerebbe l'eventuale eliminazione degli elettrodotti considerati pericolosi), affare nel quale gli ambientalisti sarebbero coinvolti. Il secondo, che del principio di precauzione chiede tout court la soppressione, è un esempio da manuale di irrazionalismo ideologico e fondamentalista. Due sono i temi affrontati da Battaglia sui quali, come scienziato e come ambientalista sento il dovere di intervenire. Il primo, come ho già anticipato, riguarda l'origine dell'epidemia di BSE. L'attacco inizia con una affermazione di pricipio che già è una perla. "Di per sé - scrive - l'uso di scarti di macelleria per produrre mangime ricco di proteine non ha nulla di grave". Ammetto che, a stretto rigore, un professore universitario di chimica e fisica non è tenuto a sapere che i bovini e gli ovini sono erbivori. A qualunque persona normale però, qualche dubbio sulla opportunità di alimentare gli erbivori con proteine e grassi animali potrebbe venire in mente. Ma Battaglia non ha di questi dubbi irrazionali e così prosegue il suo racconto. Fino alla fine degli anni '70, dunque, tutto andava bene. "Gli scarti, riscaldati a 130 gradi e trattati con un solvente, il diclorometano, non erano contaminati dal prione, che veniva distrutto dal procedimento". Senonché, "alcuni ambientalisti avviarono una lotta al diclorometano". Questa pressione - così va avanti la ricostruzione dei "fatti" - "indusse le imprese britanniche ad adottare un procedimento che, senza far uso di diclorometano, trattava a soli 80 gradi le carcasse. Con quel procedimento il prione rimase inalterato e si trasmise dal mangime alle vacche." Non è dunque improprio - conclude l'autore - sostenere che il caso "mucca pazza" sia nato da un uso improprio del principio di precauzione". Come scrittore di gialli, diciamolo, Battaglia non vale molto. L'identificazione del colpevole lascia infatti assai a desiderare. Vediamo perché. Il nodo della sopravvivenza del prione è la temperatura. A 130 gradi si distrugge mentre a 80 sopravvive. (A essere pignoli non è solo la temperatura che conta. Occorrono anche una durata del trattamento sufficientemente lunga e una pressione sufficientemente elevata). A rigor di logica, dunque, non si capisce perché, per eliminare il diclorometano, si debba ridurre drasticamente la temperatura. Ad ogni modo, l'uso del diclorometano non ha davvero carattere di necessità. Certo, costa poco, ma è tossico e, come ogni solvente, lascia tracce nel prodotto (a proposito della "ottima qualità" dei mangimi). Invece dei solventi clorurati si possono usare quelli ossigenati (esteri, chetoni, acetati) che sono molto meno tossici, ma più costosi. Comunque sia, un fatto è certo: il rischio prione dipende drasticamente dai parametri ricordati. Ma rispettare questi parametri costa, e, guarda caso, costa meno trattare le carcasse a 80 gradi invece che a 130 (e a pressioni più basse e in tempi più brevi). Chiunque può, a questo punto, trarre le conclusioni. C'è qualcuno disposto a credere veramente che gli industriali britannici abbiano abbassato la temperatura del trattamento per far piacere agli ambientalisti? Il secondo tema riguarda il riscaldamento globale. Qui Battaglia comincia con uno scivolone. "Quella del riscaldamento globale...è una questione aperta e non una certezza scientifica". Ma come? Fa come gli ambientalisti? Non erano "folli" questi a chiedere alla scienza la "certezza assoluta"? Che dobbiamo fare, aspettare che la Terra diventi una palla di fuoco per avere la "certezza scientifica" che il riscaldamento c'è? Ma andiamo avanti. Incurante di questa piccola contraddizione nel suo ragionamento il nostro prosegue. "Oggi sappiamo (?) che, anche se ci fosse bisogno di contrastare un presunto (?) crescente riscaldamento globale, ridurre le emissioni di anidride carbonica come previsto a Kyoto avrebbe effetto zero sul riscaldamento globale: dovremmo ridurle dell'80 per cento per sperare (?) dopo diversi decenni (?) di ottenere un qualche, peraltro irrilevante (?), effetto". E' difficile concentrare in un periodo tante contraddizioni, distorsioni, bugie. Il testo si commenta da sé (mi sono limitato a interporre ogni tanto un punto interrogativo). Chiunque abbia soltanto di sfuggita letto qualcosa sull'effetto serra sa che: (a) nessuno scienziato serio mette ormai più in dubbio che la temperatura terrestre stia crescendo; (b) altrettanto certo è che sta crescendo anche la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera e che questo aumento contribuisce al riscaldamento globale (potrebbe non essere il solo fattore ma è certo che contribuisce); (c) che le misure decise a Kyoto, sebbene insufficienti, sono un primo passo utile per contrastare il fenomeno; (d) che senza avviare adesso misure immediate di riduzione sull'emissione di gas serra nel giro di qualche decennio la situazione potrebbe diventare incontrollabile. La soluzione proposta da Battaglia è quella di sostituire il "principio di precauzione" con un "principio di adattamento". E' una soluzione anche questa: i sopravvissuti di Auschwitz, per esempio, l'hanno dovuta adottare per forza. Lasciamo dunque il nostro "scienziato" ponendo una domanda. Perché ce l'hanno tanto con gli ambientalisti? Tutto questo volume di fuoco concentrato sul principio di precauzione mi sembra francamente sproporzionato a meno che non sia scelto volutamente come un falso obiettivo per distogliere l'attenzione dal vero nodo della questione, che, come cercherò di dimostrare in un articolo che scriverò nei prossimi giorni, è un altro.