Corriere della Sera Martedì, 11 Luglio 2000 MARIO CECCHINI Amartya Sen: "Ispirarsi ad Aristotele per risolvere il problema del Mezzogiorno" Il Nobel per l'economia difende la globalizzazione purché aumenti anche la democrazia. E sulle zone meno sviluppate ha una ricetta basata sulla crescita delle risorse umane - Amartya Sen: "Lo sviluppo è libertà", Mondadori, pagine 355, lire 35.000 - Amartya Sen: "Scelta, benessere, equità", il Mulino, pagine 438, lire 52.000 Un pomeriggio del 1943 Amartya Sen, aveva dieci anni, stava giocando nel giardino della sua casa di Dhaka, quando un uomo entrò dal cancello in cerca di aiuto. Era un operaio musulmano accoltellato dagli indù durante gli scontri tra comunità che imperversavano nella città. Quell'uomo si chiamava Kader Mia e avrebbe pagato con la vita il fatto di avere lavorato per un salario di fame in un quartiere off limits per la sua razza. Sarebbe morto, in altre parole, a causa di una delle tante forme in cui si manifesta la "illibertà economica". Oggi Amartya Sen è forse uno dei maggiori economisti (e filosofi) viventi, insignito del Nobel e del premio Agnelli, teorico di un approccio rivoluzionario al problema dello sviluppo economico. Ma molte delle sue idee nascono da una intuizione subliminale frutto di quell'episodio dell'infanzia che lui non esita a definire "devastante"; l'intuizione secondo la quale non c'è sviluppo senza libertà, anzi che lo sviluppo stesso è libertà, come recita il titolo del suo ultimo libro. Monetarista, keynesiano, neoclassico? Chi prova a inquadrare il pensiero di Sen in una etichetta di scuola si scontra con un muro. L'economista indiano, che tra l'altro è stato sposato con una italiana (Eva Spinelli, una delle figlie di Altiero), sta certamente dalla parte dei deboli avendo dedicato la sua vita di studioso al problema della povertà e della disuguaglianza, ma precisa anche di essere "a favore del mercato" e nelle sue opere cita teorici del liberismo come Adam Smith e Friedrich von Hayek, senza dimenticare peraltro Karl Marx e perfino Aristotele. Pur essendo un teorico raffinato, Sen parla volentieri di attualità. Qualcuno dice che i suoi studi sulla povertà e il sottosviluppo la accostano quasi automaticamente ai critici della globalizzazione. "Credo che i manifestanti di Seattle sbaglino a rifiutare la globalizzazione. Il paradosso di questo movimento è che nasce da una protesta globale, il che indica di per sé che la globalizzazione è un fenomeno inevitabile del mondo moderno. Detto questo non nego che essa possa comportare effetti laterali negativi, come un aumento intollerabile delle disuguaglianze all'interno dei Paesi e a livello internazionale. La globalizzazione tuttavia è un fattore di crescita economica e di diffusione del benessere. La lezione che si può trarre da tutto ciò è che va accompagnata a un allargamento della democrazia e delle libertà individuali". Il socialismo ha fallito, ma il capitalismo non per questo gode di buona salute. In Europa, per esempio, il sistema del Welfare State è sotto attacco e se ne chiede lo smantellamento... "Il Welfare non va smantellato, va trasformato. Ma per capire questa posizione bisogna tornare alla distinzione medioevale tra uomo come agente, cioè come individuo responsabile del proprio destino, e uomo come paziente, ovvero come individuo che dipende dagli altri. Quando fu costruito il sistema questa distinzione non era ben percepita e il Welfare fu creato a misura dell'uomo-paziente. Fu un errore. Ma sarebbe anche sbagliato, dopo la crisi fiscale dello Stato, cancellare completamente la rete delle garanzie. L'approccio corretto consiste invece nell'adottare politiche appropriate per l'occupazione, la scuola, l'imprenditorialità. Chi dice che la disoccupazione in Europa non è un problema perché esistono gli ammortizzatori sociali, non tiene conto degli effetti devastanti sulla fiducia degli individui, dell'enorme spreco di risorse umane da essa generato". Lei dice che non c'è sviluppo senza libertà. Ma come si concilia questa equazione con il boom di molti Paesi asiatici autoritari, da Singapore alla Cina? "Lo sviluppo non si può misurare solo in termini di crescita del prodotto interno lordo o del reddito individuale. Lo sviluppo deve essere inteso in una accezione più vasta che includa anche la crescita umana, quella che Aristotele chiamava eudaimonia. E comunque non è vero che il cosiddetto capitalismo autoritario asiatico ha favorito lo sviluppo. Nel 1998, con la crisi finanziaria, i Paesi asiatici si sono dovuti confrontare con un aumento della richiesta di democrazia". Una domanda sull'Italia, professor Sen. Come si risolve a suo giudizio il problema della arretratezza del Sud? "Non sono un esperto in questa materia. Ma non credo che servano massicci trasferimenti di risorse dal Nord del vostro Paese. Questa è l'ottica dell'uomo-paziente. Piuttosto l'attenzione andrebbe concentrata su tutte quelle misure che possono accrescere la capacità autonoma del Mezzogiorno di crescere e svilupparsi. Penso alle politiche che allargano le possibilità d'intrapresa individuale, alla formazione, alla creazione di un contesto ambientale favorevole all'allargamento del mercato, senza il quale non ci può essere né sviluppo né libertà".