La Repubblica, 27 marzo 2001 Il pianeta a rischio dove vivranno i nostri figli di TONY BLAIR ----------------------------------------------------------------- QUANDO i miei genitori erano bambini la popolazione mondiale non arrivava a tre miliardi di persone. Nell'arco della vita dei miei figli supererà probabilmente i 9 miliardi. Non serve un esperto per capire che sarà lo sviluppo sostenibile la grande sfida di questo secolo. Nello spazio della nostra vita siamo già stati testimoni di enormi cambiamenti. Per esempio, i sei anni più caldi del ventesimo secolo si sono registrati nell'ultimo decennio. Le fotografie dei satelliti mostrano che la percentuale della superficie coperta da neve e ghiaccio è scesa del 10% rispetto agli Anni 60. Questo secolo ha fatto registrare un aumento della temperatura senza precedenti negli ultimi 10.000 anni: e si prevede che nel 2100 si registreranno 6 gradi in più rispetto al 1990. Non è finita. Entro il 2025 due terzi della popolazione mondiale potrebbe trovarsi di fronte al problema della siccità, ma il cambiamento del clima porterà anche precipitazioni e inondazioni sempre più estreme e tempeste tropicali sempre più gravi. Nel 2080 le foreste tropicali potrebbero sparire da gran parte dell'Africa e del Sud America. Aumenteranno i deserti, si diffonderanno malattie, molte specie animali e vegetali spariranno. Considerare queste previsioni un esagerato allarmismo sarebbe da irresponsabili. Rappresentano l'opinione di illustri scienziati. Non possiamo permetterci di ignorarle. Il protocollo di Kyoto è il faro che illumina la diplomazia a livello mondiale. È la prima volta che i paesi sviluppati hanno trovato un accordo per fissare come obiettivo vincolante la riduzione delle emissioni. La dura realtà però è che anche se tutti i paesi sviluppati raggiungessero gli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto, nel 2008-2012 riusciremmo a ridurre l'emissione globale di gas serra solo del 5,2% rispetto ai livelli del 1990, mentre per arrestare il processo di riscaldamento dovremmo tagliare le emissioni di CO2 del 60% o più. Gli accordi di Kyoto quindi rappresentano solo un inizio, ma come hanno dimostrato i negoziati dell'Aja, è già difficile attuarli. La chiave per trovare una via d'uscita è nelle mani dell'Unione europea e degli Usa. Ma visto il ruolo che riveste all'interno dell'Ue, la Gran Bretagna ha una responsabilità particolare. Mi auguro che il protocollo di Kyoto possa venir ratificato prima della conferenza di Rio, che si terrà in Sud Africa il prossimo anno. In base al protocollo di Kyoto, la Gb si è impegnata a ridurre le emissioni del 12,5%, più del doppio rispetto alla media degli altri paesi. E a lunga scadenza abbiamo messo a punto un programma che pensiamo possa ridurre le emissioni di gas serra del 23% per il 2010. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo innanzitutto migliorare l'utilizzo dell'energia da parte dell'industria. Sono poi necessarie politiche capaci di stimolare forme di produzione di energia più rispettose dell'ambiente. Nel 2010 i produttori di energia elettrica saranno obbligati a trarre il 10% dell'energia generata da fonti rinnovabili. Sempre per il 2010 ci siamo posti come obiettivo di raddoppiare la produzione combinata di calore e energia. Inoltre, stiamo mettendo a punto programmi per ridurre le emissioni nel settore dei trasporti. Il piano decennale prevede investimenti per 180 miliardi di sterline (circa 600 mila miliardi di lire, ndr) destinati alla modernizzazione delle infrastrutture dei trasporti britannici, in modo da affrontare i problemi del traffico e ridurre l'inquinamento. Gli accordi conclusi a livello europeo con i fabbricanti di auto porteranno ad una riduzione della media delle emissioni di CO2 di almeno il 25% nel 2008-2012. Sono previste misure per promuovere l'efficienza nel consumo energetico domestico. Da oggi al 2003 investiremo il doppio in questo settore. Energia rinnovabile e tecnologia. Se vogliamo davvero fermare il processo dei cambiamenti climatici, dobbiamo ricorrere ad un approccio più radicale. In particolare dobbiamo collegare lo sviluppo delle imprese alla tecnologia e alla protezione dell'ambiente. La rivoluzione dell'economia del sapere punterà sulle tecnologie verdi. Il mercato globale dei beni e dei servizi ambientali crescerà secondo le proiezioni fino a raggiungere i 440 miliardi di sterline nel 2010 (pari all'incirca a 1300 mila miliardi di lire). Secondo stime della Shell, nel 2050 il 50% del fabbisogno energetico del pianeta potrebbe provenire da fonti rinnovabili. La Gran Bretagna ha il potenziale per giocare un ruolo determinante in questa prossima rivoluzione industriale cosiddetta verde. Possediamo risorse marine rinnovabili tra le migliori del mondo, costituite da vento, onde e maree. Siamo stati pionieri nell'integrare gli obiettivi ambientali ed economici all'interno di un mercato dell'energia elettrica liberalizzato. Il ruolo del governo è di accelerare lo sviluppo e di introdurre queste nuove tecnologie fino a che non subentrino mercati che si autosostengono. I programmi governativi tesi a incentivare l'utilizzo di fonti rinnovabili creerà un nuovo mercato del valore di 500 milioni di sterline (1.500 miliardi di lire, ndr). Questi investimenti in tecnologie rinnovabili rappresentano un acconto sul futuro e apriranno alla Gran Bretagna enormi opportunità commerciali. Più in generale, dobbiamo incrementare l'uso produttivo delle risorse, fare di più con molto meno. Ha senso per l'economia e per l'ambiente. La Gran Bretagna è leader anche nello sforzo di aiutare i paesi del terzo mondo, trasferendo loro le tecnologie che rendono possibile lo sviluppo sostenibile. Esistono due aree vitali per lo sviluppo sostenibile nei paesi poveri: l'ambiente marino e le foreste. 950 milioni di persone, tra le più povere del pianeta, dipendono dal mare come maggiore fonte di alimentazione. I cambiamenti climatici e la crescita della popolazione hanno però enormi implicazioni sulla produzione alimentare. E politiche agricole inadatte ai paesi in via di sviluppo possono anche danneggiare l'ambiente locale e minare a livello globale la produzione alimentare sostenibile. Per noi in Europa questo significa fare appello alla volontà di riformare la politica agricola comune. Quest'ultima venne concepita quaranta anni fa come un sistema per superare la carenza di derrate alimentari e di difendere il reddito degli agricoltori. Implicava l'intervento statale sui mercati, sovvenzioni alle esportazioni e una politica protezionista, modelli ormai superati. Essa altera i mercati agricoli globali, a scapito dei paesi in via di sviluppo e promuove forme di produzione agricola che danneggiano l'ambiente. Sull'onda della crisi derivante dalla Bse, i paesi membri della Ue stanno iniziando a mettere in discussione le vecchie ortodossie. Alcuni, tra cui recentemente la Germania, premono perché si dia maggior peso ad una gestione corretta dell'ambiente, al cibo di qualità e all'allevamento ispirato ad alti standard qualitativi. La crisi dell'allevamento in Europa può darci l'opportunità di cambiare direzione. Dobbiamo lavorare in collaborazione con i partner europei per cambiare la politica agricola comune in modo da indirizzarne le risorse verso gli obiettivi dell'agricoltura sostenibile e competitiva, della protezione ambientale e dello sviluppo rurale. Abbiamo già iniziato questo cammino: - costruendo alleanze tra partner europei che condividono le stesse opinioni e la visione di un'agricoltura diversa, competitiva e sostenibile nel rispetto dell'ambiente. - indirizzando alcuni fondi europei alla promozione dell'attività agricola rispettosa dell'ambiente, inclusa l'agricoltura biologica, e che incoraggino gli agricoltori a diversificare le proprie attività. Un primo passo significativo in questa direzione è stato fatto nell'ultima tornata di riforme previste dall'Agenda 2000. - adottando piani rurali di sviluppo per 3,1 miliardi di sterline (più o meno novemila miliardi di lire, ndr) per l'Inghilterra, il Galles, la Scozia e l'Irlanda del Nord. Questo programma settennale fornirà ai nostri agricoltori gli strumenti per migliorare la loro professionalità, la loro flessibilità e diversificazione, per aggiungere valore ai loro prodotti in risposta alle esigenze dei consumatori, e per produrre in un modo che sostenga e migliori l'ambiente invece di danneggiarlo. Tutto questo fa parte a sua volta di un quadro più ampio, in cui cambiamo i termini dei rapporti commerciali tra nazioni ricche e nazioni povere. Ho parlato recentemente dell'idea di una associazione per l'Africa, in cui le nazioni africane si impegnino a cambiare i loro governi e i sistemi commerciali e collaborino alla risoluzione dei conflitti, mentre da parte nostra ci impegniamo alla riduzione del debito, ad effettuare investimenti e a fare la nostra parte per la risoluzione dei conflitti e per sradicare le malattie. Aprire i nostri mercati deve essere parte di questo progetto di associazione. Esistono due importanti ragioni per cui l'ambiente e lo sviluppo sostenibile richiedono una guida. Innanzitutto abbiamo sempre più prove dei pericoli che derivano dall'indifferenza nei confronti del rispetto della natura e dell'ambiente; secondo, non può esserci altra risposta di quella basata sulla reciproca responsabilità. Sono pienamente consapevole del fatto che se non facciamo della Gran Bretagna una vetrina della responsabilità ambientale, la nostra leadership a livello internazionale perderà di efficacia. Credo però che possiamo andare orgogliosi dei risultati raggiunti nella riduzione del debito e negli aiuti allo sviluppo, e non solo nel negoziato degli accordi di Kyoto, ma nella loro applicazione. Continueremo su questa strada. La sostenibilità avrà un ruolo centrale nell'agenda del governo britannico nei prossimi anni. Con il rimboschimento delle foreste a foglia larga, la riforma dell'agricoltura, una nuova legislazione per le aree rurali e la selvaggina, e attraverso la rete delle aree protette affrontiamo i crescenti problemi relativi alla biodiversità. Siamo riusciti a far mettere al bando nelle acque europee le reti a deriva che uccidevano i delfini, continueremo ad essere in prima linea nella lotta per salvare le balene e stiamo cercando altre vie per proteggere gli ambienti marini locali. Questa sfida coinvolge anche le amministrazioni regionali e locali del Regno Unito. Attraverso le nuove alleanze strategiche a livello locale e le agenzie per lo sviluppo regionale garantiremo che le priorità ambientali siano al centro dell'azione locale. Le politiche dell'ambiente daranno sempre luogo a dilemmi, ma non ho dubbi che a lungo termine lo sviluppo sostenibile sarà vincente, anche se a breve termine spesso è doloroso. Oggi però se ne avverte intensamente l'urgenza. Quest'urgenza, condivisa dall'opinione pubblica, rappresenta un'opportunità nel momento in cui ci permette di porre lo sviluppo sostenibile tra gli obiettivi primari. Naturalmente andremo incontro a compromessi lungo il cammino, per molte organizzazioni non governative non saremo mai abbastanza veloci e non andremo mai abbastanza lontano, ma la direzione dovrebbe essere chiara. E' destino della razza umana: con il progredire della scienza e del benessere si ha l'opportunità di una ricchezza globale sempre maggiore ma anche la capacità di autodistruggerci. La proliferazione delle armi nucleari e il degrado ambientale sono le minacce che dobbiamo affrontare insieme. La Gran Bretagna da sola non può farlo. Ma è nostra responsabilità fissare uno standard a livello nazionale e assumere la guida delle iniziative all'estero.