L'UNITA', 4 GIUGNO 2001 PIETRO GRECO Un pomodoro transgenico ci seppellirà Le critiche drastiche "L'ingegneria genetica è molto pericolosa. Tanto che potrebbe portare alla fine dell'umanità e del mondo, così come noi li conosciamo". E questo pericolo immane, senza precedenti, non riguarda il modo come viene usata ma è nella natura stessa di questa "cattiva scienza" che si è alleata con il "grande business". A formulare questo giudizio, il più drastico giudizio mai espresso sulle biotecnologie e, forse su qualsiasi altra tecnica prodotta dall'uomo, non è un rozzo militante fondamentalista di qualche movimento estremista della deep ecology, ma una fine scienziata britannica di origine malese, Mae-Wan Ho. Un'esperta di biologia evolutiva, dotata di buone letture e di una viva intelligenza critica. Che l'ha portata spesso ad assumere posizioni minoritarie, persino provocatorie, ma mai banali. La sua critica al modello standard della biologia, il neodarwinismo, è, per esempio rifiutata dalla maggior parte dei suoi colleghi. Ma (quasi) mai in modo liquidatorio. Mae-Wan Ho sostiene tesi ardite. Ma mai tesi insulse e mal argomentate. Per questo la sua critica, anche quando è estrema, risulta stimolante. Per questo, chi conosce Mae-Wan Ho, sfoglierà fiducioso il suo nuovo libro, "Ingegneria Genetica", appena uscito per i tipi della DeriveApprodi (il costo è di lire 40.000). E ne resterà deluso. Già, perché non troverà solo quello che si aspetta: una costellazione di stimoli interessanti e acuti (che pure ci sono). Ma troverà che il libro cerca di affermare due tesi estreme, estreme soprattutto per un biologo evolutivo, con una capacità di argomentare insolitamente debole e insolitamente confusa. Così debole e confusa, da trasformare il libro in una sorta di boomerang per chiunque cerchi di interpretare lo sviluppo dell'ingegneria genetica con le armi della critica scientifica. Che pure sono le armi che Mae-Wan Ho dichiara esplicitamente di voler usare. La necessità di prestare attenzione al nuovo libro della scienziata anglo-malese nasce proprio dall'urgenza di rimarcarne gli errori che avverte chiunque considera improbabile un'interpretazione del mondo solo in bianco e nero, senza sfumature. Perché questo tipo di interpretazione espone la nostra società a seri rischi culturali, facendola oscillare tra due irrazionalismi estremi e solo in apparenza opposti: la tecnofilia e la tecnofobia. Quali sono, dunque, gli errori che la biologa, Mae-Wan Ho commette? I principali sono almeno tre. Il primo è metodologico: Mae-Wan Ho sostiene che le biotecnologie porteranno alla scomparsa dell'umanità e del mondo così come lo conosciamo. Ora non è possibile fare affermazioni predittive apodittiche che siano ipotesi scientifiche e non profezie di sapore mistico senza una robusta serie di prove a sostegno e senza una solida teoria in grado di interpretare queste prove. Quali sono le prove che lasciano anche solo intravedere la remota possibilità che l'ingegneria genetica basata sulle tecniche del Dna ricombinante possa portare (anzi, debba portare) all'estinzione dell'uomo e alla fine del mondo? E qual è la teoria che consente di formulare una previsione così impegnativa? Nel libro non ce n'è traccia. La previsione è una mera e indimostrabile profezia. Il secondo errore è di natura biologica. Come teorica dell'evoluzione biologica, Mae-Wan Ho sa bene che cause singole in grado di provocare catastrofi globali del tipo di quelle da lei evocate sono state piuttosto rare nei 4 miliardi di anni di storia della vita sulla Terra. Ora è possibile immaginare (non certo provare) che gli organismi geneticamente modificati possano sfuggire a ogni controllo, diffondersi nell'ambiente e modificarlo radicalmente. Ma sostenere che inevitabilmente l'ingegneria genetica distruggerà l'uomo e modificherà il pianeta è come sostenere che domani sbarcheranno sulla Terra i marziani e senza farsi riconoscere in pochi secondi ci uccideranno tutti. L'ipotesi è quanto meno improbabile. Il terzo grave errore commesso di Mae-Wan Ho è di natura epistemologica. E, ahimè, smentisce una vita dedicata alla critica del determinismo genetico e alla ricerca delle relazioni complesse che regolano l'evoluzione delle specie biologiche. Cos'è, se non un atteggiamento culturale profondamente determinista, affermare che nuove specie biologiche, artificialmente manipolate, porteranno inevitabilmente a una catastrofe ecologica che non ha precedenti nella storia della vita? L'insieme di questi gravi errori cancella d'incanto gli stimoli più significativi che Mae-Wan Ho dissemina nel suo libro. Come, appunto, la critica a quel determinismo genetico che accompagna la cultura con cui molti uomini di scienza e molti uomini dei media interpretano lo sviluppo impetuoso delle nuove biotecnologie. E l'attenzione che la scienziata richiama sulla connessione sempre più stretta tra scienza e industria. Una connessione che, certo, non è e non può essere definita "diabolica". E che tuttavia crea problemi nuovi sia al modo di lavorare degli scienziati che alla società nel suo complesso e che, pertanto, sono degni di essere dibattuti. Già, ma dibattuti con lo spirito critico e quella capacità di cogliere le infinite sfumature del reale (verrebbe da dire, la complessità) che dovrebbe caratterizzare il modo di argomentare degli scienziati e degli intellettuali in genere. Perché se la discussione perde la definizione del dettaglio e si polarizza tra l'ingegneria genetica "intrinsecamente pericolosa" di Mae-Wan Ho e l'ingegneria genetica "intrinsecamente generosa" della propaganda Monsanto, non perdiamo solo lo spessore culturale del dibattito. Perdiamo la capacità di governare in modo democratico l'ingegneria genetica e ogni altra tecnica prodotta dall'uomo.