La Repubblica, 5 agosto 2001 La cellula che ringiovanisce Un esperimento inglese fa tornare indietro nel tempo la base del nostro organismo di RENATO DULBECCO --------------------------------------------------------------------- UNA notizia molto interessante viene da Londra: scienziati britannici, si dice, sono riusciti a trasformare una normale cellula della pelle, probabilmente di un topo, in una cellula staminale. Questo risultato, se vero, aprirebbe enormi possibilità per il trattamento di molte malattie. Vediamo di che cosa si tratta. Durante lo sviluppo del corpo di un animale o di un essere umano dall'ovulo fecondato i suoi geni vanno incontro ad una evoluzione continua. All'inizio l'embrione contiene cellule che hanno la possibilità di svilupparsi producendo qualunque cellula del corpo, per esempio, o di un muscolo, o del fegato, o del cervello: poi progressivamente, mentre l' embrione cresce, le cellule si specializzano, in modo che quelle che danno origine a muscoli perdono, o riducono, la possibilità di dare origine, per esempio al cervello. Questi cambiamenti avvengono in stadi successivi in cui la specializzazione delle cellule aumenta progressivamente. Le cellule presenti all'inizio sono note come staminali, e sono totipotenti. Possono cioè dar luogo a ogni tipo di cellula presente nel corpo. Man mano che si sviluppano diminuiscono progressivamente il loro potenziale: dapprima hanno ancora notevoli capacità, cioè sono pluripotenti, e alla fine diventano specializzate in una direzione o in un'altra. Le caratteristiche delle cellule dipendono dallo stato dei loro geni, che è differente in cellule di tipo diverso. La loro specializzazione è dovuta a cambiamenti progressivi nello stato dei geni. All'inizio dello sviluppo dell'embrione i geni delle cellule staminali sono essenzialmente inattivi, e poi, a causa di interazioni tra le varie cellule, alcuni diventano attivi: col procedere della specializzazione si definisce sempre più completamente un complemento di geni attivi caratteristico di ogni tipo cellulare. Le cellule staminali sono ritenute la chiave per la terapia di malattie in cui un tipo di cellule muore, quali il morbo di Parkinson, il morbo di Alzheimer, malattie cardiache, una forma di diabete, e anche di malattie in cui un certo tipo di cellula non funziona regolarmente, come nelle immunodeficienze congenite. Un esempio del primo caso è quello di un infarto cardiaco, che causa la morte di cellule di una parte del cuore, ostacolando il funzionamento normale dell'organo. Se si potessero impiantare nel muscolo del cuore delle cellule capaci di specializzarsi nella direzione di quel muscolo, esse potrebbero rimpiazzare quelle morte, ristorando la funzione. Nelle immunodeficienze congenite il trapianto di cellule pluripotenti del sangue, presenti nel cordone ombelicale di parti normali, si è dimostrato molto efficace. Parecchio lavoro sperimentale condotto nell'ultimo anno dimostra che le possibilità offerte dalle cellule staminali sia dell'embrione che dell'adulto, sono da prendersi seriamente in considerazione, sebbene nessuno ancora sia riuscito a ristorare una funzione in modo completo. Eccetto che nel caso delle immunodeficienze. Ma la via è aperta. La possibilità delle nuove terapie è stata oggetto di molte discussioni, specialmente in relazione alla sorgente di cellule staminali adatte. Le sorgenti finora note erano due o cellule staminali totipotenti derivate da un embrione precocissimo, di circa dieci giorni, oppure cellule pluripotenti, cioè parzialmente specificate, ottenute da un organo dell'adulto. Di queste ultime il tipo preferito sarebbe costituito da cellule del midollo osseo, che contengono cellule normalmente destinate a diventare cellule del sangue o del sistema immunitario, ma che, con trattamenti adeguati, possono evolvere in altre direzioni. L'uso di cellule embrionali presenta problemi di vario tipo: il primo è un problema etico che sembra irrisolubile, perché l'embrione da cui si otterrebbero le cellule, che è considerato un essere umano, sarebbe ucciso. Un altro è un problema biologico, cioè che le cellule sarebbero estranee all'organismo in cui vengono introdotte, e perciò l'organismo stesso sarebbe portato a distruggerle, usando i metodi che portano al rigetto di trapianti d'organi; questo problema si può superare con adatte terapie, ma è sempre una preoccupazione. Un altro problema che esiste sia per le cellule embrionarie che per quelle dell'adulto, è che non è facile dirigerle nella specializzazione desiderata, sebbene si sia fatto qualche progresso in quella direzione. Per evitare i due principali problemi, quello etico e quello del rigetto, si è proposto di ricorrere alla clonazione. Come è noto, questa è ottenuta immettendo un nucleo cellulare (che contiene i geni), ricavato dall'individuo che dovrebbe ricevere le cellule, in un ovocito (provveduto da una donatrice) dopo che il suo nucleo è stato rimosso. Noi sappiamo, dai risultati che hanno portato alla nascita della pecora Dolly e a quella di individui di altre specie, che questo intervento può dare luogo alla formazione di un individuo adulto, ma molto raramente, e con molte complicazioni. Nel caso di cui parliamo lo sviluppo del nuovo embrione risultante dalla clonazione sarebbe arrestato verso il decimo giorno per prelevarne le cellule staminali: si parla perciò di «clonazione terapeutica». Essa è anche piena di problemi, perché l'embrione viene ucciso, e le cellule che ne deriverebbero potrebbero avere dei difetti importanti. Però il problema del rigetto sarebbe eliminato. I risultati ottenuti con la clonazione, malgrado le loro notevoli complicazioni, hanno messo in evidenza un fenomeno importante: che il nucleo di una cellula adulta, i cui geni hanno raggiunto un grado avanzato di specializzazione, può ritornare allo stato iniziale presente nell'uovo fecondato, se immesso entro un ovocita senza nucleo. Si dice che il nucleo adulto viene riprogrammato: il meccanismo della riprogrammazione è ancora sconosciuto, ma è certamente dovuto a sostanze presenti nell'ovocita. Questa osservazione è alla base del risultato oggi riportato: se in una cellula adulta il nucleo potesse essere riprogrammato senza toglierlo dalla cellula, questa diventerebbe una cellula staminale, che potrebbe essere usata per riparare organi danneggiati nel donatore della cellula. Questo eviterebbe qualunque problema etico, perché non coinvolgerebbe l'embrione e non creerebbe problemi di rigetto. Però il problema di come dirigere queste cellule nella direzione voluta rimane immutato. Come è stata ottenuta la riprogrammazione nel caso riportato non lo sappiamo. Aspettiamo di leggerlo su qualche pubblicazione scientifica che sia meno prona al sensazionalismo ben noto del Daily Mail. Certo non può essere una cosa semplice, perché è probabile che molti fattori vi siano implicati. Bisognerà anche vedere se la riprogrammazione è completa, e non una riprogrammazione parziale come quella che si ottiene nella comune clonazione; essa infatti risulta in una mortalità elevatissima dei prodotti ottenuti, e spesso in un funzionamento difettoso di quelli che sopravvivono. Se questi difetti fossero presenti nelle cellule staminali ottenuti con la nuova tecnica, esse sarebbero di poca utilità. Comunque è una strada interessante, e, se funziona, può offrire delle grandi possibilità agli ammalati di malattie in cui cellule di un certo organo muoiono o non funzionano.