31.01.06 |
Dibattito: innovazione, responsabilità e comunicazione |
Piero Bassetti: durante questi sei incontri vi è stato posto un grosso problema: il problema dell'innovazione, della sua natura, di che cos'è, della sua fenomenologia, cioè di come si presenta, di che aspetti ha, dei suoi problemi, che sono diversi a seconda della sua fenomenologia, a seconda se è legata alla creatività, ai metodi o al potere. Noi qui abbiamo avuto testimonials intrisi di creatività, basta pensare ad un testimonial come Missoni; un altro tipo di testimonianza è venuta da Scaglia, con un tipo di innovazione sistematica, sistemica; il ruolo del potere nel fare innovazione è invece emerso dall'intervento di Schena, cosa che è possibile quando l'innovazione ha per suo teatro non il mercato, ma la società e quindi anche la società politica. Abbiamo parlato dei problemi che l'innovare crea e solleva e abbiamo anche parlato, direttamente o indirettamente, dei suoi attori, di cui abbiamo avuto qui un paradigma. Avendo qui gli attori, ho notato, anche dai vostri interventi, che il tema delle motivazioni dell'innovatore è indubbiamente interessante. Sentendo parlare di innovazione ci si chiede subito qual è il senso, quali sono le motivazioni che portano a innovare e quindi, di conseguenza, in che modo l'innovatore si pone il problema dell'innovare. Perché si innova? Come? In vista di che cosa? E qui scatta anche l'altro grande tema di cui si occupa la Fondazione Bassetti: quello della responsabilità nell'innovazione. Voi avete notato come siano diversi i tipi di responsabilità e l'attenzione che i vari testimonials attribuiscono alla responsabilità: si è andati da un tipo di responsabilità come quella di Pedrollo, che carica in modo esplicito il suo lavoro di quella che si può avvicinare alla cosiddetta responsabilità sociale dell'impresa, a un tipo di responsabilità legata invece al bello, al saper vivere, come quella di Missoni, un tipo di responsabilità eudemonistca, di felicità, che pure è una cosa a cui la classe dirigente dovrebbe contribuire; nell'intervento di Schena abbiamo sentito invece parlare di una responsabilità funzionale: perché le cose vadano bene è anche necessario mettere la norma impositiva. Abbiamo avuto sei testimonials, ma io richiamo alla vostra attenzione un settimo testimonial che è Giannino Bassetti, di cui potete leggere la biografia. Giannino Bassetti fa un'innovazione pù simile a quelle di Schena e di Scaglia che non a quella di Missoni, pur essendo un industriale tessile: la sua innovazione è stata di tipo organizzativo-sociale con il superamento dei grossisti, con l'organizzazione di una rete di venditori al dettaglio in un mondo, quello del tessile, che era assolutamente dominato dall'idea del grossista. Questi spostamenti di ruoli sociali sono delle innovazioni sulle quali vale la pena riflettere. Io credo, quindi, che al termine di questi interventi voi vi siate accorti della rilevanza del problema nella nostra società. Io penso che il problema sia molto importante. Assodato che il problema è rilevante, ci chiediamo per chi è rilevante? Certamente per l'impresa, perché l'impresa che non innova non ha grossi successi ed è importante per gli innovatori. Tutti quelli che sono stati qui sono degli innovatori e tutti hanno fatto un sacco di soldi grazie all'innovazione. Credo però che si possa dire che l'innovazione è importante per l'intersa società: forse si può discutere sull'importanza di un golf colorato bene, ma certamente è importante la cablatura, così come una pompa per il Bangladesh. L'importanza dell'innovazione per la società è quindi indiscutibile, perché cambia i modi di vita. E l'innovazione è importante anche per la nazione: la forza degli Stati Uniti, per esempio, si basa sulla sua capacità di innovazione in campo economico e scientifico. La competitività di una nazione si avvale moltissimo della capacità di innovazione. Oggi però ho invitato il dott. Claudio Carlone per porre l'accento su un argomento problematico: se il tema dell'innovazione è importante, perché se ne sente parlare così poco? Per esempio, come mai, se il tema è così rilevante, nessun medium nazionale ha parlato dei nostri incontri con importanti imprenditori intervenuti in ambito universitario? Se avessimo portato qui due veline e qualche calciatore avremmo avuto quattro colonne di cronaca. Oggi noi molto problematicamente vogliamo parlare di questo. Io penso che noi abbiamo un sistema di informazione, ma anche un sistema di gerarchie sociali, che va dietro alla visibilità, piuttosto che - addirittura - al profitto e alla ricchezza. La fama e la visibilità che dà la televisione è quasi preferito al conto in banca. Studente A: Io cerco di dare una riposta all'ultima domanda che ci ha posto. Secondo me i media hanno un'utenza di cultura medio-bassa, per cui temi come l'innovazione e la creatività possono destare interesse in un pubblico di cultura più elevata. Questa è secondo me la ragione principale. Studentessa B: Il tema dell'innovazione è trattato dai media in generale, ma in modo sbagliato. Per esempio c'è lo stereotipo della moda italiana come innovativa, quando invece è ferma; l'Italia in questo momento non ha quel qualcosa in più rispetto agli altri e nonostante questo si parla del Made in Italy come del meglio che si possa avere e molti imprenditori sono convinti di innovare, ma non lo stanno facendo. PB: E quindi l'informazione, secondo lei, non dà un contributo critico? Studentessa B: Sono gli imprenditori stessi a non essere critici con se stessi. PB: Perché quindi i media non stanano questo fatto? Per esempio, quando la categoria sociale dei politici fa qualcosa che non va, i media lo sottolineano. Studentessa B: Perché sono tutti convinti che stando fermi si possa andare avanti, quando in realtà non è così. Studente C: Secondo me il tema non è trattato dai media perché la classe politica italiana lo ritiene un argomento scomodo, anche perché l'innovazione porta grandi investimenti e poca visibilità, con risultati che non sono immediatamente tangibili. I politici preferiscono avere qualcosa di controllabile e che possa portare subito consenso, non qualcosa che possa portare magari a riscuotere il merito nella legislazione successiva. PB: Quindi è implicito c'è che i media seguono i desiderata della politica? Studente C: I media alla fine devono avere anche loro un profitto, quindi puntano su quegli argomenti che possano suscitare interesse nel pubblico; l'innovazione in Italia non crea questo interesse. Studentessa D: Anch'io sono molto d'accordo con l'ultimo intervento: per i media conta quello che dicono i politici. Secondo me, però, i media non sono rivolti in generale ad un pubblico di livello medio-basso: farei una distinzione tra televisione e giornali. I giornali non si leggono e non si comprano perché la gente non li sa leggere, il quotidiano riscuote sempre minore successo. L'opposizione al Governo tratta molto il tema dell'innovazione, sottolineando la necessità di innovare in contrapposizione all'attuale Governo, perché porterà dei risultati nel lungo termine. Chi deve evidenziare i propri risultati parla di cose più concerete, fatte nel breve, di cifre attuali, di politica fiscale, di spesa pubblica. L'innovazione comunque, secondo me, è trattata dai giornali, soprattutto dalle maggiori testate quotidiane e i quotidiani non sono riviste specializzate. Io leggo i giornali e secondo me non è un tema così escluso come dalla televisione che non ne parla, ma la televisione non parla di niente di serio secondo me. Studente E: Secondo me invece si deve partire dall'inizio: siamo sicuri che gli imprenditori abbiano capito che cosa vuol dire innovare? Magari un imprenditore pensa che bisogna fare qualche cosa che cambia la vita, invece dalla testimonianza di Pedrollo abbiamo sentito che dalle pompe grosse, macchinose, difficili, ha costruito un prodotto semplicissimo, funzionale e ha fatto la sua innovazione. Quindi oggi l'imprenditore a cosa sta pensando: a complicare una cosa semplice o magari l'innovazione sarebbe semplificare una cosa complessa? Questa magari potrebbe essere la chiave. Anche perché quando si pensa all'innovazione tecnologica, la si pensa come qualcosa di sempre più complesso, perché non pensare invece a qualcosa di più semplice, che magari costa anche meno? PB: Quindi i media dovrebbero almeno accorgersi delle innovazioni che semplificano. Studente F: Se si riuscisse a far associare l'innovazione con qualcosa che costa meno, secondo me funzionerebbe di più che cercare di spiegare l'innovazione con parole difficili che non tutti riescono a capire. Potrebbe essere un'idea di partenza per coinvolgere più persone sull'argomento. Qualcosa che costa di meno e fa star meglio. Studente E: Perché fare qualche cosa di speciale, quando posso fare una cosa semplice e abbassare il costo? Alla fine funziona lo stesso. PB: Il suo ragionamento è giustissimo. Perché però non lo leggiamo sui giornali e non lo vediamo da nessuna parte in televisione? Sarà d'accordo con me che non sentiamo tutti i giorni un ragionamento come il suo. Studente E: Sono io il primo a cascare nel gioco delle novità, come il telefonino: abbiamo quello come mille funzioni e lo usiamo solo per telefonare. Ho letto che si sta pensando proprio ad un nuovo telefonino senza alcuna funzione se non quella di telefonare. Studentessa B: Secondo me è vero che l'imprenditore non ha ben chiaro che cosa voglia dire innovazione e la nozione di innovazione non gira perché non è ben chiaro che cosa voglia dire. Studente G: Bisogna anche tenere conto della realtà imprenditoriale italiana. Per esempio dove abito io, in Brianza, i piccoli imprenditori hanno tra loro un legame molto diretto, veicolato dal dialetto. E questo può essere positivo e creare un polo, però porta anche delle limitazioni all'apertura verso l'esterno, quindi anche verso l'innovazione. Studente H: Ho letto che il 60% delle imprese nate nel 2005 sono state impiantate da persone senza scolarizzazione, mentre gli studenti e i laureati tendono a cercare un posto fisso, non riescono a vedere oltre, a guardarsi intorno e a vedere le opportunità imprenditoriali. E questo credo sia un problema. Inoltre in Italia non vengono agevolati gli start up, non viene agevolato chi ha un'idea imprenditoriale, magari anche innovativa, ma solo chi ha già i soldi per farlo. PB: C'è qualcuno di voi che ha in testa di fare l'imprenditore? Due persone. Ma volete fare solo gli imprenditori o intendete anche essere innovativi? Studentessa D: Io sento il peso dell'innovazione, ma credo che la classe impenditoriale che oggi è sul mercato è per lo più fatta di persone che si sono improvvisate e che magari hanno approfittato di un momento favorevole dell'economia e che oggi sono ricchi imprenditori. Oggi però avvertono gli scossoni perché, appunto, non si sono mai posti il problema di innovare. Io penso che la nostra classe imprenditoriale sarà più consapevole e non dormirà sugli allori e investirà sull'innovazione. Studente I: Secondo me per innovare non è il caso di fare grandi stravolgimenti. L'innovazione si fa nel quotidiano, con piccoli accorgimenti mirati a più settori della propria impresa, dalla logistica ai rapporti con i fornitori, piccole sfumature, ma che possono creare un'impresa innovativa. |
30.01.06 |
L'innovazione imposta dal Principe (dall'incontro con Alberto Schena) |
Piero Bassetti: Vorrei fare due osservazioni. Innanzi tutto vedo confermata la raccomandazione che ho fatto all'inizio. Quando il dott. Schena dice che le imprese non si servono di questa innovazione, dice una cosa drammatica, perché indica che la nostra impresa è semi-analfabeta, perché è piccola. Tra i Paesi industrializzati, il nostro è fra quelli che hanno il più basso livello di informatizzazione delle imprese. Sta ai giovani, alle nuove generazioni recuperare il ritardo accumulato. Un esempio calzante è quello delle Pagine Gialle; tra l'altro siamo tra i Paesi in cui questo servizio è più sviluppato. Ma la situazione è questa proprio a causa dell'analfabetismo informatico. Noi siamo alla guida del telefono: le Pagine Gialle sono una banca dati al livello della guida del telefono, che funziona come un dizionario. Ma già una consultazione come quella della rubrica del telefonino, alla quale si accede digitando le lettere iniziali del nome, è un miglioramento decisivo, che abbrevia i tempi di consultazione. Allo stesso modo la conoscenza di un linguaggio, come quello informatico, permette ulteriori, decisivi miglioramenti. C'è un nesso importante la tra sofisticazione delle dotazioni informatiche di un'azienda, o di un privato, e il diritto di accesso alla pubblica amministrazione, un nesso che è stato individuato e praticato dall'innovazione di InfoImprese. Ma la premessa è che l'utente sia familiarizzato con il linguaggio informatico. Il parallelo con la lingua è evidente: la competenza linguistica di uno studente universitario gli permette di servirsi di strumenti sofisticati, come una compiere una ricerca bibliografica oppure consultarla; una persona che ha compiuto soltanto gli studi della scuola dell'obbligo sarà in difficoltà di fronte a questi strumenti, che pure sono basati semplicemente sull'alfabeto. Allo stesso modo, se si conosce la lingua informatica, a mano a mano che si affinano gli strumenti ci si può impadronire di essi e sfruttarli. Oggi ci si affida ad un professionista, ma è un modo di aumentare i costi di transazione. Soluzioni tecnologiche che dovrebbero ridurre i costi di transazione, se recepiti male dall'organizzazione sociale finiscono per alzare i costi di transazione, oppure per trasferirli. Il trasferimento dei costi corrisponde a ciò che fa anche l'amministrazione fiscale, vale a dire demanda all'utente la compilazione delle denunce dei redditi. Prof. Alessandro Sinatra: L'esempio proposto oggi dimostra la profonda differenza di spessore tra l'innovazione di prodotto e l'innovazione all'interno della pubblica amministrazione. Quest'ultima si inserisce in un sistema complesso, che coinvolge molti più attori e implica obbligatoriamente un numero e un tipo di problemi diversi, di dimensione maggiore. Domanda: Mi pare che uno dei problemi più importanti che le aziende non sono in grado di risolvere al loro interno sia quello della complessità del sistema di dichiarazioni, prima ancora di quello della difficoltà dell'uso delle innovazioni tecnologiche. Le aziende tendono a rivolgersi all'esterno innanzi tutto perché il commercialista ha le competenze, che a loro mancano, relative al contenuto delle dichiarazioni. Questo vantaggio mette il mediatore in grado di avvalersi anche delle innovazioni. Ma per migliorare nel complesso il sistema, a vantaggio delle imprese, il primo passo dovrebbe essere quello di mettere in grado le aziende di fare le proprie dichiarazioni al loro interno, semplificando il sistema o facendo dei corsi per il personale. Piero Bassetti: Questa osservazione è molto importante. La tecnologia semplifica, ma se si complicano i fini perseguiti, la complicazione rientra dalla finestra, mentre era uscita dalla porta. Questo è verissimo. Ci sono cose, in una società, che solo la pubblica amministrazione può garantire. Per esempio: la sicurezza, la fiducia. La sicurezza non è soltanto quella, importante, di poter passeggiare da sole di notte; la sicurezza è anche quella di poter fare una operazione commerciale nella certezza che non avvengano malversazioni. E insieme alla sicurezza, deve esserci fiducia. Il dott. Schena ha detto, in precedenza, che gli inglesi hanno un registro molto semplice, mentre noi abbiamo i registri più perfetti. Ma la situazione è questa perché noi viviamo in un paese di scarsa fiducia tra noi. Quando c'è la fiducia sulla parola, la firma elettronica non è indispensabile. E' quando manca la fiducia sulla parola che si devono mettere in moto delle macchine infernali, dei sistemi molto complessi, come la nostra firma digitale. Noi abbiamo un sistema di rapporti con l'organizzazione pubblica che è tra i più complicati al mondo, perché siamo un paese che ha poca accountability. Cioè: ti fregano! Questo culto che noi abbiamo del fregare, alla fine frega anche te. Io ho partecipato all'elaborazione dell'informatizzazione di cui abbiamo parlato oggi. Ma tentare di risolvere il problema dalla parte dell'amministrazione anziché dalla parte dei cittadini è sempre sbagliato. Se non ci fossero quelli che pensano alla sottiletta, idea assai raffinata, o che pensano, in generale, ai modi di falsificare i bilanci, entro certi limiti, probabilmente si potrebbero avere dei registri, che sono strumenti di garanzia, decisamente più semplici. Da che parte si rompe questo cerchio, questo circolo vizioso? Questo è il vero dramma, oggi, del Paese. Siamo così perché siamo stati sempre fregati, oppure siamo stati fregati perché ci piace fregare? |
29.01.06 |
Alberto Schena. Obiettivo: semplificare la vita alle imprese |
Le innovazioni che io ho individuato in questa vicenda sono sostanzialmente tre. La prima intuizione fu quella di trasformare gli archivi in banche dati, cosa che ha avuto una serie importante di conseguenze. La seconda è stata quella di fare del registro delle imprese un registro informatico, decisione presa per legge, senza che si sapesse bene in che modo si sarebbe attuata questa innovazione. La terza innovazione è stata l'adozione massiccia della firma digitale. Alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, quando iniziammo a impostare il registro informatico, le reti informatiche erano attive soltanto presso pochi istituti di ricerca, alcune università e presso le grandi aziende (una singola linea costava allora circa 25 milioni all'anno, traffico escluso). La legge che ha dato avvio al registro informatico è stata formulata prima di internet, e soltanto grazie a internet abbiamo dato al servizio la sua forma attuale. Le cose sarebbero potute andare diversamente, con variabili diverse. Allo stesso modo, la firma digitale è stata una variabile. Basata su un algoritmo inventato da alcuni matematici a metà anni Settanta, senza di essa non avremmo potuto fare quel che abbiamo fatto, oppure l'avremmo dovuto fare diversamente. Questo soltanto per dimostrare che l'innovazione si fa con quello che c'è! A volte riesce, a volte no, e spesso si sviluppa in modo diverso da come si era previsto. Il professor Volpato è riuscito bene nell'intento di mettere in piedi una società che si autofinanziasse con i proventi delle banche dati, le quali prima non c'erano, dato che erano semplicemente dei fogli di carta. La società ha prosperato per tanti anni, al punto di doversi poi scindere perché era diventata troppo ingombrante, viste le sue caratteristiche. Si è poi scissa una seconda volta quando si è arrivati alla seconda innovazione, quella del registro informatico. Così la Cerved ha proseguito in modo indipendente e tuttora vive e prospera, essendo la più grossa impresa di formazione economica in Italia, ed è ormai di proprietà delle banche. Infocamere ha invece proseguito sviluppando il tema del registro informatico, e lo ha fatto adottando questa nuova innovazione, la firma digitale, che non era stata prevista quando si decise di creare il registro informatico. La firma digitale ha una storia breve, ma travagliata. Ci sono voluti dieci anni per introdurla nel registro. E' da tre anni che è diventata obbligatoria, ma è stato un obbligo all'italiana: sarebbe dovuto essere obbligatoria fin dal primo anno, ma già si sapeva che non tutti ce l'avrebbero fatta. E' stato "sempre più obbligatorio", fino ad arrivare finalmente alla stabilizzazione attuale: la carta ora non viene più utilizzata. Negli anni in cui i bilanci dovevano essere depositati in tribunale era necessario persino l'intervento delle forze dell'ordine per far mantenere la calma nelle code che, a volte, duravano giorni. I commercialisti assoldavano abitualmente dei "codisti", in grado di sopportare lunghe attese, per andare a depositare fisicamente i bilanci in tribunale. L'operazione durava una quindicina di giorni. I bilanci venivano pubblicati e diventavano disponibili un anno, un anno e mezzo dopo. Oggi i bilanci del 2004, cioè gli ultimi depositati, sono già in linea. Sono stati depositati in luglio, naturalmente all'ultimo momento: molti aspettano gli ultimi giorni, quando vengono effettuati attraverso le nostre linee dai 100 ai 150 mila depositi al giorno. E bisogna sapere che certi bilanci, specialmente quelli delle aziende più grandi, pesano anche centinaia di megabyte. Grazie alla firma digitale noi siamo in grado di gestire questa mole di dati in pochi giorni e di metterli tutti in linea nel giro di alcune settimane. L'innovazione ha ottenuto così un notevole vantaggio sia per chi ha bisogno di consultare i bilanci, sia per chi deve depositarli. Ci sono voluti dieci anni per mettere in piedi il sistema che è pienamente attivo dal 2003. Ma in questi dieci anni l'obiettivo della legge che ha imposto il registro informatico è stato raggiunto? La risposta non è così semplice. Tornando alla domanda: abbiamo fatto risparmiare le imprese? Abbiamo semplificato loro la vita? Francamente, ci abbiamo provato, ma temo che non ci siamo riusciti. E la prova qual è? Queste firme digitali ultra-sicure, di cui noi deteniamo il primato mondiale, chi le usa? Ciò dimostra che questo sistema è un marchingegno ancora troppo complicato. Le procedure sono troppo complesse per le imprese, che delegano i commercialisti. Abbiamo semplificato la vita ai commercialisti, più che alle imprese. Anche in questo caso, dubito che la semplificazione del lavoro dei commercialisti si sia tradotta in una riduzione delle spese per le aziende. Siamo riusciti a diffondere circa centomila collegamenti Telemaco. Con questo tipo di collegamento, che costa 50 euro di traffico prepagato, senza costi di collegamento, l'impresa è in grado di fare direttamente tutto ciò che la legge consente, senza muoversi dalla propria sede. Su centomila collegamenti, le aziende che fanno davvero direttamente le proprie pratiche sono soltanto alcune migliaia. Questo avviene perché le pratiche sono ancora troppo complicate: ci vuole un professionista. In questo caso non è tanto un problema di tecnologia, quanto di organizzazione della pubblica amministrazione. |
15.01.06 |
Claudio Carlone: riflessione sui diversi tipi di imprenditorialità responsabile |
L'ultima lezione del modulo "Innovazione e creatività" è dedicata alla riflessione sui diversi tipi di imprenditorialità responsabile incarnati nei testimonial che la Fondazione Bassetti ha invitato all'Università Carlo Cattaneo-LIUC. Piero Bassetti chiederà inoltre a Claudio Carlone, Presidente di Hypothesis, società di comunicazione specializzata in consulenza strategica, progetti speciali, corporate image, relazioni pubbliche e istituzionali, di analizzare come il concetto di responsabilità è utilizzato dai media. Claudio Carlone interverrà alle ore 10.00 in aula C1.12. CLAUDIO CARLONE 1952 1977 1982 1989 1992 A livello istituzionale, fra gli altri incarichi, è coordinatore del Comitato di eccellenza della Camera di Commercio di Milano per la realizzazione di un Innovation Centre; è stato segretario della Commissione di studio per la trasformazione delle aree ex-Falck di Sesto San Giovanni; ha coordinato la Commissione di Alta consulenza (Cast) del Comune di Milano. Ha presieduto o partecipato in qualità di relatore a numerosi convegni e conferenze a livello italiano e internazionale. Nell'ambito dell'impegno associativo, è socio del Rotary Club Milano-Ovest, membro del Consiglio direttivo dell'APE - Associazione per il progresso economico - e della Società del Giardino di Milano. |
13.01.06 |
Alberto Schena e la concezione evoluzionistica dell'innovazione | |
Scrivi un tuo commento Write your comment |
Commenti dei lettori : 1 Comments from the readers : 1 |
Nell'esercitazione che ho proposto in vista dell'incontro, vi suggerivo di provare a cercare sia su Pagine Gialle sia su Infoimprese un'impresa (panettieri, parrucchieri o qualsiasi altro servizio) nella zona in cui abitate: facendo la prova per la zona in cui abito, se cerco i panettieri su Pagine Gialle ne trovo quattro o cinque, mentre su InfoImprese ne trovo una trentina. InfoImprese è basato sul Registro delle imprese, che è l'anagrafe di tutte le imprese italiane. Se le imprese non sono iscritte al Registro non esistono, sono delle truffe nei confronti del fisco e spesso anche nei confronti dei cittadini. InfoImprese scarta soltanto le imprese che non sono in regola, che hanno delle procedure concorsuali in corso, cioè sono in via di fallimento. Se voi andate sul sito www.ebr.infocamere.it fino al 31 gennaio 2006 e compilate una mascherina, avete l'accesso gratuito a quella che è la sommatoria di quattordici registri europei delle imprese consultabili on line. E' possibile quindi fare una ricerca su un'impresa e su una persona contemporaneamente su tutti i registri europei. Anche questa nel suo piccolo, nel suo genere, è un'innovazione. Sono dieci anni che ci stiamo lavorando: abbiamo iniziato con una prima sperimentazione nel 1994-95 con un progetto finanziato dall'Unione Europea. Internet non aveva ancora la diffusione che ha oggi, per cui facevamo degli esperimenti con delle reti proprietarie costosissime. L'idea è stato facile averla, dato che noi avevamo informatizzato il nostro Registro e la stessa cosa avveniva nei paesi esteri. Ci siamo chiesti: perché non mettere insieme tutto? Provate però a mettere d'accordo una quindicina di paesi con sistemi giuridici diversi, con partner diversi. Nel nostro caso erano le Camere di Commercio con una SpA a gestire il Registro, ma in molti altri casi erano i Ministeri di Giustizia o i Ministeri dell'Industria, quindi ci sono voluti dieci anni per ottenere questo risultato. Questo è il risultato di un processo molto lungo, legato a tre tappe diverse di innovazione. Io credo che non esista una scienza dell'innovazione, una teoria forse sì, ma una scienza, conoscendo la quale si fanno innovazioni, non credo esista. Le innovazioni hanno questo di buffo: ci si accorge di esse solo dopo che sono avvenute. In qualche caso ci si mette d'impegno per fare un'innovazione, però anche in questo caso si può riuscire o no. La storia è piena di invenzioni che sembravano poter cambiare il mondo e che invece non sono riuscite. Le innovazioni quindi sono dei successi, sono dei cambiamenti che riescono e che durano nel tempo, tanto o poco a seconda delle circostanze. La storia che vi racconto, è la storia di una società che ha avuto momenti di grossa innovazione e dei periodi dedicati a consolidare, a combattere per affermare quell'innovazione e poi a riposarsi e a godere dei vantaggi di quell'innovazione. E questa è anche la teoria economica standard. La Cerved è nata alla fine del 1974 in modo abbastanza casuale. Alla fine degli anni Settanta, un professore di matematica applicata, Mario Volpato, viene nominato presidente della Camere di Commercio di Padova. All'epoca le Camere di Commercio erano in via di estinzione, erano degli enti che non avevano più una funzione precisa, non si sapeva più bene che cosa fossero, tanto che il dott. Bassetti, in qualità di Presidente della Regione Lombardia e poi di Deputato al Parlamento, ne propose anche l'abolizione. Voi sapete la frase di Edison che dice "Innovation is 1% inspiration and 99% transpiration": il nostro 1% era quello, l'idea di mettere i dati sul computer, il 99% è stato tutto il resto. L'azienda, però, ha vissuto alcune variazioni/innovazioni: la prima avvenne una decina di anni dopo, come conseguenza dello svilupparsi del mercato. Chi aveva creato questo primo impianto, questa banca dati, era un gruppo che comprendeva personaggi reclutati da multinazionali dell'informatica - all'epoca si lavorava solo sui mainframe - e un gruppetto di universitari dell'Università di Padova che lavoravano molto bene, producendo un data base molto efficiente che riscosse subito l'interesse delle banche, che già prima erano gli acquirenti dei bollettini. Dopo dieci anni dalla fondazione di Cerved, quindi, lo sviluppo delle competenze interne a questa società, che era nata per creare i data base delle Camere di Commercio, diede vita ad un'altra società. E' un'innovazione questa? Forse non è un'innovazione vere e propria, ma è la dimostrazione del successo di una certa idea. Quell'idea ha creato un mercato, quello dell'informazione economica. Tutto il patrimonio che stava negli archivi delle diverse Camere di Commercio ed era consultabile solo localmente divenne disponibile in rete a livello nazionale. I clienti di questo nuovo mercato erano principalmente le banche e i soggetti intermediari di queste informazioni, che facevano contratti on line con Cerved, acquistando le informazioni e rivendendole. A questo punto eravamo nella fase in cui l'innovazione era riuscita, con la creazione dei data base e di un mercato. A questa fase seguì un periodo di riposo per godersi la buona riuscita dell'operazione. Cerved fu però svegliata bruscamente dal ricorso fatto dai distributori all'Antitrust, l'autorità di garanzia del mercato. Fu una della prime cause di cui si occupò l'Antitrust che era appena stato istituito. Cerved era accusata di trattare in maniera troppo diversa i clienti. La capacità di Cermed di organizzare il mercato in modo trasparente in quel primo periodo non fu molto brillante. Da qualche tempo intanto si stava pensando ad una legge di riforma delle Camere di Commercio: nel 1993, nonostante tutte le resistenze dei Tribunali e soprattutto delle Cancellerie che si vedevano insidiare una fonte di potere anche economico molto importante, dopo un ennesimo scandalo di mafia legato a imprese illegali, il Governo Ciampi decise che il Registro delle imprese doveva passare alle Camere di Commercio. Questo fu un altro momento topico, di innovazione, nella breve storia della nostra azienda. Nella legge di riforma delle Camere di Commercio era scritto che il Registro delle imprese doveva essere informatico. Sembrava che la cosa fosse già fatta, visto che i dati erano informatizzati. Subito dopo la legge, infatti, tutto rimase uguale, tutti i documenti delle imprese continuarono a essere su modulistica cartacea che veniva poi digitalizzata, riversata nel computer e distribuita, ma quel che faceva fede rimaneva la carta. Fino al 1996 il processo rimase immutato, tanto che fu creata anche una società per lo smaltimento della carta. Anche perché alle carte delle Camere di Commercio si erano sommate quelle arrivate dai Tribunali. Un altro passaggio epocale per l'azienda fu al momento del passaggio del Registro delle imprese alle Camere di Commercio: sembrava infatti strano che il Cerved, una società per azioni, gestisse il Registro, così ci fu un'altra scissione, dopo quella di dieci anni prima con Engineering, e nacque InfoCamere. Quando la legge entrò in vigore, internet non è ancora diffuso come oggi. Internet esplose tra il 1995 e il 1997. Noi chiedevamo ai recalcitranti commercialisti e notai di scrivere i dati all'interno di maschere che avevamo predisposto e di mandarci dei dischetti o di mandarli on line, ma i collegamenti erano molto costosi. Dovevano però mandarci anche la carta, perché il problema delle firme, che dovevano essere in originale, non era ancora stato risolto. La firma digitale è una chiave pubblica, un dispositivo con cui si blocca un documento. Chi ha firmato, sotto la garanzia di una Authority, ha la certezza che il documento non può essere modificato. Tutto il Registro oggi funziona così, obbligatoriamente per le società. Tutte le società italiane depositano i loro atti nel Registro delle imprese con firma digitale. E questo l'abbiamo solo noi: tutti gli altri registri europei continuano ad essere parzialmente cartacei. Questa è stata per noi un'innovazione forzosa, nel senso che è stata imposta per legge: per ottenere lo scopo di semplificare al massimo tutte le operazioni di registrazione per le imprese, sono state tutte obbligate a utilizzare una tecnologia molto avanzata, tanto avanzata che non la sta utilizzando nessuno al di fuori di qua. E questo è un po' preoccupante, francamente. Perché il mercato è andato un po' da un'altra parte e non perché le firme digitali non siano importanti, anche perché sono ovunque su internet, ma le nostre sono depositate su un microchip che deve essere per legge sotto il controllo di chi ne è possessore, non può essere su un pc, ma deve stare su un dispositivo di firma che sia in pieno controllo del titolare. Un altro grosso ostacolo che trovammo nel momento di lanciare quest'iniziativa furono i notai, che notoriamente non sono dei grandi innovatori. I notai dovevano decidersi a depositare i documenti con firma digitale e non su carta. Quando si sono decisi, hanno creato una loro Certification Authority che fa solo 4500 certificati, tanti quanti sono i notai. Oggi i notai sono i maggiori utilizzatori di firme digitali con i commercialisti. |
09.01.06 |
Alberto Schena: rassegna stampa | |
Scrivi un tuo commento Write your comment |
Commenti dei lettori : 1 Comments from the readers : 1 |
InfoCamere è la società che ha realizzato e gestisce il sistema telematico nazionale che collega tra loro, attraverso una rete ad alta velocità e ad elevato standard di sicurezza, le 103 Camere di Commercio e le 300 sedi distaccate. L'efficienza di questo sistema garantisce agli utenti - amministrazioni, imprese e singoli cittadini - l'accesso immediato ai documenti e ai dati, sia a carattere informativo che con valore legale, contenuti negli archivi camerali. 24 novembre 2005 8 luglio 2005 31 maggio 2005 16 maggio 2005 14 marzo 2005 22 marzo 2004 15 gennaio 2004 11 dicembre 2003 28 maggio 2002 |
05.01.06 |
Alberto Schena. Un caso di eccellenza nella PA italiana: la smaterializzazione del Registro delle Imprese |
Alberto Schena, Direttore Strategie e Attività estere di Infocamere, invita a visitare alcuni siti in preparazione dell'incontro del 9 gennaio, ore 11.00 in aula C.1.12. Il processo di automazione del sistema di pubblicità legale delle imprese italiane, iniziato più di dieci anni fa, si è basato sull'adozione tempestiva - e a volte anche anticipata rispetto al mercato - delle tecnologie informatiche più avanzate. Alberto Schena ha seguito l'evoluzione del sistema curandone gli aspetti di cooperazione tecnologica e organizzativa con le omologhe istituzioni internazionali: da un lato i registri commerciali dei principali paesi europei e dall'altro i sistemi di certificazione digitale che con diversa fortuna si sono sviluppati negli ultimi anni. L'evoluzione più recente dei sistemi di pubblicità legale e di reporting finanziario vede l'affermarsi dei linguaggi derivati dallo standard XML, presupposto necessario per il passaggio all'erogazione delle informazioni mediante web service. www.infocamere.it www.cnipa.gov.it www.card.infocamere.it www.infoimprese.it www.ebr.infocamere.it www.legalmail.it |