16.03.06

Claudio Carlone: comunicare l'innovazione

Claudio Carlone

Claudio Carlone: Io sono qui in una veste molto diversa da quella dei personaggi che mi hanno preceduto. Ho trovato molto interessante il dibattito e voglio inserirmi proprio nel dibattito riprendendo ciò che si diceva sui telefonini e sulla tecnologia in generale. Il mercato oggi è questo: il mercato, non potendo oggi soddisfare più quelli che sono i bisogni primari perché, fortunatamente, abbiamo tutti di che nutrirci, dormire e vestirci, deve creare nuovi bisogni. I bisogni si creano. Il telefonino è una commodity, ce lo regalano. Quello che è molto importante sono i diversi servizi che ognuno potrà trovare d'ora in avanti sul telefonino. Guarda caso la convergenza tra comunicazione più tradizionalmente audiovisiva e la comunicazione telefonica sta andando in una sola direzione, quella dell'intrattenimento del calcio. Non è un caso che tutti i grandi carrier telefonici stiano facendo accordi con le emittenti televisive per trasmettere direttamente i goal sul videotelefono come se fosse un MMS qualsiasi. Attenzione quindi a sottovalutare questi fenomeni. Così come bisogna stare attenti al concetto di innovazione tecnologica: mi sembra che sia una tendenza diffusa anche tra di voi confondere l'innovazione con tutto ciò che è legato allo sviluppo di nuovi prodotti. L'innovazione è un concetto molto più ampio e molto più complesso. Vorrei farvi un esempio che trovo particolarmente significativo: il car pooling in California. Dato che in California ci sono delle norme molto restrittive per la circolazione dei veicoli inquinanti, per limitare i "danni" di queste leggi le persone che lavoravano insieme o nella stessa zona, la Silicon Valley, si sono spontaneamente organizzate per andare insieme a lavorare con una macchina sola, spesso un van che poteva portare più di cinque persone.
Dove sta l'innovazione? L'innovazione non sta tanto in questo, ma nel fatto che, come è stato dimostrato, si cambiava molto più facilmente azienda che non car pooling. Le persone finivano per acquisire una certa consuetudine, quindi anche a scambiare idee, a collaborare durante il tragitto tra la loro abitazione e il luogo di lavoro al punto da trasferirsi in blocco da un'azienda all'altra.
Attenzione quindi a considerare l'innovazione solo come un fatto legato alla tecnologia. L'innovazione è un fatto che cambia la vita, come la vita di quelli che prendono l'automobile con i loro colleghi, come quelli che si sono coperti con il piumone Bassetti, come quelli che hanno visto la minigonna per la prima volta negli Anni Sessanta.
Un'altra questione importante è la dicotomia tra il denaro e l'apparire, tra la fama e il patrimonio: io risponderei che potendo scegliere, vorrei entrambi, è ovvio. E infatti non è un caso che le persone di maggiore successo sono quelle che diventano sia ricche sia famose. Poi ci sono le persone che non vogliono diventare famose, ma è un fenomeno che non si riscontra tra i più giovani. Vorrei fare un'ipotesi sul perché: tra le persone che hanno più o meno la vostra età, tra i venti e i trent'anni, è importante dimostrare a se stessi di riuscire. Oggi l'idea di riuscita è diversa da quella che aveva la mia generazione. Io ho 53 anni e i tempi sono profondamente cambiati. Qual è il miglior modo per riuscire, come fare perché una sfida sia in qualche modo vinta? Essere riconoscibili.
Il concetto di riconoscibilità è cambiato in maniera radicale. Oggi essere riconoscibili vuol dire uscire per strada ed essere additati da qualcuno per essere stati visti in televisione. Questo è molto più diffuso di quanto non potesse essere in passato: quaranta o cinquant'anni fa il simbolo della riuscita era il benessere. Oggi il benessere non è più un problema, anche il benessere è diventato una commodity. Quando io sono nato, in casa mia non solo non c'era il telefonino, ma non c'era il telefono. E' arrivato in casa, appeso alla parete, quando io avevo quattro o cinque anni. La televisione non esisteva: è entrata in casa mia nel 1960 in occasione delle Olimpiadi di Roma, come in moltissime altre case. Ci fu il boom delle vendite di televisioni per quell'occasione particolare, cosa che si ripete anche adesso. Solo che adesso, quando ci sono i Mondiali o le Olimpiadi, il televisore noi lo cambiamo, allora lo acquistavamo per la prima volta. Prima si andava a vedere la televisione, che trasmetteva solo due ore alla sera dalle 20.00 alle 22.00, nel bar sottocasa ed era un momento di socializzazione collettiva. A cinque-sei anni io andavo a comprare le barre di ghiaccio per il frigorifero che era di legno, foderato di lamiera nel quale si infilava la barra di ghiaccio per conservare i cibi. L'evoluzione che c'è stata in questi cinquant'anni è un'evoluzione che probabilmente sarà irripetibile. Non credo che prima di molte generazioni future si potrà vedere un'evoluzione così profonda e così radicale. Per persone della mia generazione "riuscire" nella vita era ottenere tutto questo, quindi non c'era bisogno di andare in televisione, era molto più importante avere l'automobile. Oggi per voi è normale avere l'automobile. Chi di voi ha dovuto discutere con i genitori per ottenere l'automobile? Non parlo del motorino che è una storia molto più controversa legata all'apprensione delle mamme.Chi ha avuto problemi a 18 anni a prendere la patente e salire su un'automobile? Nessuno. Questo già vi appaia come una differenza tra due diverse generazioni all'interno del concetto di riconoscibilità. Anche l'innovazione oggi è molto più difficile da percepire rispetto a un tempo per cui era forte la differenza tra nessuno telefono/il telefono, nessuna immagine/la televisione, andare a piedi/l'automobile. Oggi ci potrà essere un telefonino che fa il caffè, ma è sempre un telefono e non fa nessuna profonda differenza.
Un'altra cosa secondo me importante è di non dare troppe cose per scontate. Dobbiamo per esempio riflettere più spesso sulle differenze tra il mondo di pochi decenni fa e quello attuale. E' importante imparare a farsi delle domande, ancora prima che a darsi delle risposte. Nel mondo, infatti, quello che cambia non sono le risposte, ma le domande. Quando si è data una risposta alla domanda, quella cambia.
E io ve ne faccio subito una: quando avete deciso di frequentare queste lezioni in cui si sarebbe parlato di innovazione, di responsabilità nell'innovazione, quali aspettative avevate?

Studente 1: Trovare dei punti in comune tra i vari imprenditori, magari psicologici.

Studente 2: Ascoltare esperienze.

CC: Ascoltare esperienze è particolarmente importante. E oggi che il ciclo si conclude, se voleste trarre una conclusione da quelle che erano le vostre aspettative che cosa concludereste?

Studente 1: Io ho avuto delle conferme.

Studente 2: Ho ricostruito l'identikit dell'imprenditore tipo. Le esperienze ascoltate possono essere di stimolo, però bisogna applicarle oggi, con le condizioni che ci sono oggi. Le condizioni mi sembrano più difficili di quelle degli Anni Settanta. Tutti gli imprenditori che abbiamo sentito hanno ammesso di avere avuto una dose di fortuna e delle circostanze particolarmente favorevoli, chi attraverso delle leggi a favore, chi attraverso la tecnologia arrivata al momento giusto, come per esempio la fibra ottica usata da Fastweb.

CC: Diffidate sempre da quelli che dicono di avere avuto fortuna. E' difficile che un imprenditore, se non in casi estremamente sporadici, sia riuscito per la fortuna di essere arrivato al momento giusto o di avere trovato lo strumento giusto o la tecnologia più adatta.
Riprendo alcuni concetti del nostro tema principale: innovazione e media. L'innovazione è, quasi per definizione, tema dell'opposizione. In tutti i governi che si sono susseguiti negli ultimi vent'anni, il tema dell'innovazione è stato sempre il cavallo di battaglia delle opposizioni, salvo poi cambiare opinione una volta saliti al governo. Il punto sta, come diceva giustamente un vostro compagno poco fa, nell'ottenere risultati a breve termine per avere consensi. Però a questo punto dovrebbe venirvi il sospetto che i politici italiani non sono proprio un granché, dato che in molti Paesi molto più avanzati del nostro l'innovazione diventa un impegno di sistema politico e sociale qualunque sia la maggioranza che governa. Proprio l'altro giorno è uscita la relazione europea sull'innovazione l'European Innovation Scoreboard, il programma di ricerca comparativo curato dalla Commissione Europeae e l'Italia sui quindici è al dodicesimo posto. Questo dovrebbe farci riflettere sulla nostra classe politica.
Un'altra riflessione veloce che vorrei fare è a proposito dei media che pare non si accorgano del tema innovazione e responsabilità dell'innovazione. Non ci aspettiamo che i media, invece che osservatori, diventino attori del sistema. Nel mondo anglosassone i media sono una controparte e non un supporto, perché noi invece pensiamo che i giornali ci debbano aiutare, invece di vigilare e denunciare ciò che succede?
Io penso che storicamente i media in Italia, fino ad ora, abbiano fallito la loro missione e non per questioni politiche come siamo portati a pensare, ma per il fatto che oggi noi ci aspettiamo dai giornali una forma di tutela che deriva tutto sommato da una nostra scarsa propensione a essere attori in prima persona e a formarci le opinioni. Questo è, secondo me, il più grosso buco culturale che noi abbiamo conservato e accresciuto negli ultimi anni. Questo anche per colpa della scuola che non insegna ad approcciare le problematiche, anche quelle più semplici, con gli strumenti adatti. Per questo ci aspettiamo tutti che qualcun altro ci dia un'interpretazione dei fatti e che, in qualche modo, ci difenda e ci tuteli. Dall'altra parte ci sta il gossip: vi siete accorti della quantità e della fortuna dei giornali scandalistici che vendono più di ogni altro giornale? E vi siete accorti, in questo periodo di scandali politico-finanziari quali erano gli articoli più letti? Quelli riguardanti le intercettazioni telefoniche. Perché è questo l'approccio che abbiamo, da gossip. Se noi vogliamo diventare un popolo in grado di fare innovazione dobbiamo smetterla con una cosa sola: di fare i guardoni. Oggi noi siamo un popolo di guardoni e per definizione i guardoni non fanno, guardano.

Studente 3: Se posso permettermi, l'Inghilterra in fatto di giornali scandalistici forse ci supera, ma anche in fatto di innovazione.

Piero Bassetti: Il problema è: tutti guardoni o alcuni? Per quanto conosco l'Inghilterra mi sentirei di dire che ci sono guardoni più guardoni dei nostri, però la classe dirigente è meno afflitta dal guardonismo di quanto lo sia la nostra.

Claudio Carlone: Rifletta su questo aspetto: secondo lei, all'epoca dello scandalo di Banca Italia lei immagina sul Times o sull'Economist paginate di intercettazioni. Qui Il Corriere della Sera, La Repubblica, tutti i nostri principali quotidiani avevano pagine e pagine di intercettazioni. Questo perché, conoscendo bene il loro mestiere, conoscono bene anche il loro pubblico.

Alessandro Sinatra: Ascoltando gli interventi venuti dagli studenti, mi è venuto in mente un suggerimento di lettura. Nel libro VII della Repubblica Platone racconta il Mito della Caverna. Attraverso una metafora racconta di alcuni uomini che, dal fondo di una galleria, vedevano delle ombre passare e facevano illazioni su queste ombre. Le ombre erano l'immagine della realtà. Poi qualcuno esce dalla galleria, viene abbagliato, non capisce, poi inizia a capire, torna indietro e vuole raccontare ciò che ha visto ai suoi compagni, ma viene picchiato. Viene picchiato perché la verità che racconta non è riconoscibile dai compagni, nessuno ha esperienza di questa verità. Platone parla di questo riferito al fatto che il governo deve essere nella mani dei saggi. Non ai guardoni, aggiungo io. Alle persone che hanno sviluppato una più elevata conoscenza. Il Mito della Caverna è assolutamente attuale perché fornisce continui elementi di stimolo per discutere e approfondire questo tipo di problema: come mai è così difficile comunicare, diffondere, rendere visibile la verità. Innovazione vuol dire realtà e realtà vuol dire verità, non virtualità. E forse sta proprio qui la difficoltà del comunicare.


by Valentina Porcellana on 16.03.06 at 11:11 | Permalink |