La mia storia di imprenditore è iniziata nella piccola officina di riparazioni elettromeccaniche di mio padre. Per farmi guadagnare qualcosa mio padre mi affidava qualche riparazione.
Quel periodo è stato fondamentale per la mia formazione. Infatti, era importante, oltre alla tecnica appresa a scuola, vedere come, in concreto, venivano progettati e costruiti pompe, motori e trasformatori e così capirne le soluzioni tecniche e valutarne le caratteristiche.
Tutte nozioni che mi sono poi servite per fare delle scelte precise per la futura azienda che desideravo costruire.
Nel 1974 notai che c'era grande richiesta di pompe per l'acqua. Infatti era entrata in vigore una legge che prescriveva la sostituzione delle vecchie pompe elettriche - che creavano disturbi alle radio e ai primi televisori - , con quelle di nuova concezione: le pompe ad induzione.
Così progettai la mia prima elettropompa. Per essere concorrenziale doveva avere dimensioni ridotte, essere molto affidabile e a basso costo. Un concetto che avevo mutuato dalle prime radioline Sony, che si stavano diffondendo in Europa proprio per le dimensioni ed il prezzo. Una concezione, però, che ha fatto fatica ad imporsi sul mercato delle elettropompe per la mentalità allora corrente, abituata a dimensioni decisamente maggiori. Ma, col tempo, l'idea si è dimostrata assolutamente vincente, soprattutto per l'affidabilità e per il prezzo, anche se per anni la mia pompa è stata chiamata ironicamente "Mickey Mouse" o Topolino.
Progettata la pompa, dovevo trovare i finanziamenti. Le banche locali, con le quali tenevo i rapporti, mi presentavano notevoli difficoltà, soprattutto perché venivano richieste garanzie a tutta la famiglia.
Casualmente avevo letto che nei Paesi Arabi l'acqua costava molto più della benzina. Ho così pensato che, forse, il Medio Oriente poteva diventare il mio primo mercato. In effetti, quando proposi le mie pompe a Dubai ed Abu Dhabi trovai un notevole interesse e i clienti, per avere la certezza di ricevere le mie pompe mi davano subito le lettere di credito che io, a mia volta, portavo in Italia. Così la banca mi poteva anticipare immediatamente le somme delle lettere di credito. E il problema finanziario si poteva dire relativamente risolto.
Rimaneva da affrontare la altrettanto delicata questione tecnico-costruttiva. Non era facile, infatti, trovare dei terzisti che garantissero semilavorati di qualità. Problema questo che mi ha causato diversi problemi sui miei primi mercati.
Perchè non poche partite di pompe, dopo un breve tempo di funzionamento, bruciavano il motore. Mentre ero dai clienti per esaminare il problema ho rischiato di essere il primo imprenditore sequestrato. Infatti, i clienti non accettavano la sostituzione della pompa rotta con una che avrei mandato dall'Italia, ma chiedevano immediatamente la restituzione del denaro. In caso contrario non mi avrebbero permesso di tornare in Italia. Grazie a Dio, un acquirente - tuttora nostro affezionato cliente - ha garantito personalmente sulla mia onestà e sulla certezza che avrei sostituito i prodotti. Così son potuto tornare in Italia, ho risolto il problema tecnico ed ho spedito le pompe nuove in garanzia. Durante il viaggio successivo ho trovato i clienti così soddisfatti da rinnovarmi gli ordini.
L'episodio mi convinse che, se volevo avere un prodotto di qualità, dovevo controllare direttamente anche la produzione dei componenti e non solo il montaggio. Tutto questo è risultato possibile perché la richiesta commerciale era sempre superiore alla mia capacità produttiva, fornendomi così i mezzi finanziari che mi hanno permesso di acquistare macchine utensili e attrezzatura per la produzione dei componenti delle pompe.
L'altro scoglio che ho dovuto affrontare è stata la nostra mancanza di cultura relativamente alle macchine utensili. Anche questo un problema presto risolto. Infatti, durante una trattativa di acquisto di una macchina alla Minganti di Bologna, ho conosciuto ingegner Dino Savoia, un tecnologo responsabile delle attrezzature per lavorare i particolari meccanici. Ci siamo accordati con Savoia, che ha così collaborato con noi per oltre dieci anni portando cultura, esperienza e formando il personale nell'utilizzo delle tecnologie più avanzate.
Un'esperienza largamente positiva perchè credo che non si possa crescere, se non con tempi lunghissimi, solo per linee interne. Così ho sempre cercato di individuare personale con esperienza per acquisire da subito in azienda tecnologia e nuove capacità. Anche per questo negli anni abbiamo avuto per lunghi periodi rapporti con università di tutto il mondo, sia per la parte tecnica, sia per la parte economica e formativa. Queste collaborazioni hanno portato l'azienda ad avere prodotti eccellenti, sempre all'avanguardia. Inoltre, ci hanno permesso la scelta di spingere molto sull'automazione. Automazione che parte dall'ideazione del prodotto fino al montaggio, tanto che siamo convinti di essere, nel nostro settore, l'azienda più automatizzata d'Europa. Da noi molti lavori ripetitivi vengono eseguiti da robot anziché dalle persone, che, piuttosto, dopo la dovuta formazione, si occupano del controllo, della verifica dell'efficienza produttiva e della qualità della produzione.
Abbiamo anche tenuto sotto controllo e coltivato in modo particolare l'aspetto commerciale. Il mio intento è sempre stato quello di individuare dei collaboratori che mi aiutassero ad essere presente in tutte le parti del mondo. Oggi, in effetti, siamo in 160 paesi e costruiamo 2 milioni di elettropompe e di motori l'anno. Abbiamo smentito nei fatti gli esperti di marketing che sostenevano che eravamo pazzi a voler gestire 160 paesi, con diverse problematiche e caratteristiche anche tecniche, a partire dai differenti voltaggi. Uno dei nostri "segreti" è quello di avere cercato di soddisfare velocemente le consegne. E direi proprio che abbiamo avuto successo.
La scelta vincente, oltre alla tempestività, è stata quella di avere inserito nell'ufficio estero persone provenienti da ogni parte del mondo, con culture diverse, di madrelingua diversa. E' fondamentale, infatti, poter parlare la lingua del posto. Ad esempio, senza Roberto Reggiani, - che conosce perfettamente il russo - probabilmente non avrei sfondato in Russia e in tutti i paesi dell'ex Unione Sovietica che si affacciano adesso sul mercato internazionale. E' vero che con l'inglese si arriva dappertutto, ma certo è che la conoscenza della lingua e della cultura particolare garantisce una penetrazione più capillare e profonda nel singolo mercato.
Già, la cultura di un posto. Posso dimostrarlo con un episodio che ci è capitato la settimana scorsa in Romania.
Una donna aveva venduto una mucca per comprare una nostra pompa e così avere l'acqua dal rubinetto, come i suoi vicini. Purtroppo aveva sbagliato modello. Il marito, arrabbiatissimo, minacciava persino di ammazzarla.
Il mio distributore, venuto a saperlo - in conformità all'etica e allo stile aziendale, cui teniamo tantissimo - è andato dalla donna per sostituire subito la pompa e lei, per riconoscenza, gli ha regalato una bottiglia di grappa e persino una gallina.
Prodotti affidabili, finanza, strategia commerciale sono fattori strategici, fondamentali, ma non sufficienti. Un altro aspetto che considero, da sempre, indispensabile per la nostra azienda è il design.
Alcuni decenni fa alla Fiera di Milano, il mio primo piccolo stand da 10 metri quadrati, ero uno dei tanti, tutti con la stessa tipologia di prodotto.
L'incontro, poco dopo, con un architetto specializzato in design ed allestimenti per fiere mi ha indotto a proporgli di progettare il mio nuovo stand per l'anno successivo. Il risultato è stato bellissimo, di forte impatto emozionale. I clienti (ed anche i concorrenti ) mi confermavano nella mia impressione, tutti convinti, grazie alla nuova immagine, che avevamo fatto un salto tecnologico importante. Eppure i prodotti erano esattamente gli stessi dell'anno precedente.
Da quel momento ho capito che il design doveva essere uno degli elementi fondamentali per distinguere Pedrollo dagli altri produttori ed ho quindi inserito lo studio estetico dei prodotti come elemento fondamentale anche di marketing. Questo anche se è risultato un po' difficile far accettare ad un progettista meccanico che un architetto mettesse mani ad un suo disegno. Ma, con il tempo, anche l'ufficio tecnico ha imparato a disegnare con stile, tanto che diversi nostri prodotti sono stati premiati per il design innovativo.
Lo stile italiano, ne sono pienamente convinto, non si può trascurare, perchè fa parte della nostra cultura. Dal punto di vista tecnico ci sono altri paesi concorrenti, altrettanto forti, ma il gusto e lo stile che possediamo noi italiani, abbinato alle competenze tecniche, è certamente l'elemento distintivo che fa apprezzare nel mondo il Made in Italy.
E' fondamentale oggi più di ieri, dato che la concorrenza, negli ultimi anni, si è fatta molto agguerrita. Quindici anni fa avevamo un vantaggio tecnologico di cinque anni sui concorrenti. Ora si può considerare ridotto a sole ventiquattro ore. Questo cambiamento così drastico è dovuto in parte all'accelerazione tecnologico-scientifica di quest'ultimo decennio, con la diffusione dell'Information Technology. Ma in parte dipende anche dalla globalizzazione e quindi dall'entrata di nuovi paesi nel mercato di moltissimi prodotti. Anche delle pompe, ovviamente, e questo ha portato problemi molto seri anche alla nostra azienda, soprattutto legati alla contraffazione.
Contraffazione che, per noi, ha avuto inizio circa 10 anni fa sempre negli Emirati Arabi (i corsi e ricorsi della storia). Ero stato informato che alcune nostre elettropompe non funzionavano ed ero andato immediatamente sul posto per controllare le pompe. Ad un primo sguardo sembravano solo verniciate male, ma da un'analisi più accurata erano risultate di produzione cinese. Da quel momento è iniziata una lotta costante contro la contraffazione. Un fenomeno gravissimo, che ha portato ad un blocco, negli anni della nostra crescita. Un rallentamento che abbiamo calcolato attorno al 40% del fatturato.
Io sono totalmente convinto che i mercati debbano essere liberi, però dico che devono esserci delle regole. Soprattutto i marchi, i loghi, i brevetti, tutto ciò che è regolarmente depositato deve essere rispettato da chi vuole far parte del libero mercato. Così invece non è stato. La Cina è entrata nel mercato senza nessuna regola, con sistemi sindacali inesistenti, ma soprattutto vendendo i prodotti sottocosto in regime di dumping.
La Cina è un altro mondo, come ben sappiamo. Bisogna anche tener presente che i cinesi rispetto a noi lavorano tantissime ore, sabato e domenica compresi, con compensi insignificanti, e per di più, lavorano con grande entusiasmo per raggiungere l'obiettivo di diventare l'officina del mondo.
Ma sono convinto che, se fossero rispettati i nostri marchi, il logo e i brevetti - insomma, le regole del gioco -, con la nostra qualità, il servizio, il design, saremmo ugualmente vincenti in tutte le parti del mondo, anche a fronte dei loro prodotti che hanno costi inferiori anche del 50%.
Vorrei soffermarmi ancora un po' sul tema della contraffazione per ricordare un episodio in particolare. Cinque anni fa, alla Fiera di Milano, lo stand, cinese ovviamente, accanto al nostro presentava ben 120 prodotti identici ai nostri, perfettamente copiati. La Guarda di Finanza ha sequestrato tutto. Oltre ai prodotti erano copiati i cataloghi, il logo, il "Made in Italy", "Verona", tutto copiato perfettamente, perfino un particolare interno al motore non più utilizzato da diverso tempo.
Tutto bene? Assolutamente no perchè, malgrado le battaglie intraprese, sia a livello politico, sia sui media, ad oggi non abbiamo ancora risolto nulla. Oggi le aziende cinesi quando esportano danno addirittura consigli su come evitare i controlli alla Dogana. Invece di mettere "Made in Italy" scrivono solo "Italy", invece di "Pedrollo", "Pedrolla" o "Petrollo", oppure applicano una targhetta diversa che verrà poi sostituita al momento dell'arrivo del prodotto a destinazione.
Era stata persino costituita una Commissione Europea proprio per portare all'attenzione delle autorità cinesi i casi più significativi di contraffazione, ma non se ne è saputo più nulla, malgrado l'enorme documentazione precisa e puntuale inviata a Bruxelles.
Purtroppo la situazione, ad oggi prosegue. La contraffazione continua, i prodotti copiati hanno prezzi dal 40 al 60% inferiori, con qualità ovviamente bassa, e in ogni paese abbiamo due o tre cause aperte, con il relativo sequestro dei prodotti copiati. C'è, però, in corso, una sorta di nostra controffensiva. Per combattere la concorrenza sleale, infatti, ci siamo rimboccate le maniche e abbiamo accettato la sfida riposizionando tutta l'azienda, internazionalizzando l'ufficio acquisti, preparando il personale addetto anche con corsi di lingua inglese e corsi di marketing internazionale. Abbiamo pure rivisto l'ufficio della qualità preparandolo alle nuove scelte di acquisti internazionali, quindi alla verifica dei prodotti provenienti dei vari paesi fornitori. Abbiamo costituito diversi uffici d'acquisto fuori dell'Italia, in particolare in Cina, e, tra breve, in India. Questi cambiamenti hanno portato ad internazionalizzare il 30% degli acquisti e puntiamo a raggiungere il 50%. Tutto ciò ci ha permesso di non aumentare i prezzi e, in qualche caso, anche di diminuirli.
Abbiamo inoltre riorganizzato l'ufficio tecnico in modo da accelerare tutti i processi di reingegnerizzazione dei prodotti e di dimezzare i tempi di progettazione, inserendo sistemi moderni di simulazione di fluidodinamica, passando da una progettazione a due dimensioni a una tridimensionale a dodici stazioni di pro engineering. Altre stazioni di calcolo delle parti magnetiche del motore elettrico ad elementi finiti ci hanno permesso di ottenere nuovi prodotti con consumo energetico ridotto di 10 o 20 punti percentuali. Tutto questo porta al risultato pratico per il cliente di ammortizzare il costo del prodotto in un anno proprio grazie al risparmio energetico. Il nostro impegno su questo campo, come pure dal punto di vista progettistico e sotto il profilo dell'entità dell'investimento finanziario, è stato di grande sacrificio e valore. Tanto che per tutte queste innovazioni è stato richiesto il brevetto europeo.
Abbiamo fatto anche passi notevoli nella parte idraulica migliorando i rendimenti, riducendo la rumorosità con conseguente allungamento della vita dell'intera elettropompa. Tecnica, si, certamente, ma anche l'occhio che vuole la sua parte tanto che abbiamo continuato anche a scegliere il design, e un packaging più accattivanti.
Nessuna rivoluzione copernicana, ovviamente, ma un impegno aziendale a 360 gradi quello che ci ha visto impegnati nella nuova organizzazione. Siamo così intervenuti decisamente sul prodotto modificando radicalmente presentazione, rumorosità, dimensioni delle nostre pompe. Abbiamo dimezzato i tempi di produzione e così abbiamo ripreso in mano il mercato. Tanto che l'anno scorso abbiamo realizzato il 60-70% del fatturato con nuovi prodotti.
Certo è che se non avessimo agito in questo senso oggi almeno la metà del nostro personale sarebbe a casa e la Pedrollo sarebbe in crisi come, purtroppo, lo sono oggi molte aziende.
E, ancora una volta, il nostro ufficio commerciale si è inquadrato nel nuovo posizionamento di prodotto e di mercato.
Ormai da qualche anno, infatti, abbiamo costituito delle società direttamente nei vari mercati esteri. Questo ci ha permesso di tagliare i costi del 20-30%, assicurando allo stesso tempo un servizio post vendita più capillare. Le società ci stanno dando grosse soddisfazioni. Infatti crescono tutte a due cifre. Ma non ci fermiamo davanti ai successi perchè questo progetto proseguirà. Perché vogliamo essere protagonisti in prima persona del mercato.
Per la crescita dell'azienda infine stiamo puntando molto sulla formazione del personale creando anche una "Management school" dotata di aule multimediali e di postazioni informatiche. La risposta dei collaboratori è stata pronta. Ai corsi di inglese, francese, informatica, meccanica, elettrotecnica, corsi di sviluppo delle capacità manageriali possono accedere tutti i dipendenti. I corsi sono coordinati da un professore dell'Università di Padova e stiamo ottenendo risultati eccellenti.
Tutto questo mi conferma in una certezza: al centro dell'azienda deve stare assolutamente la persona.
Per avere le tecnologie (e noi crediamo di essere ai primi posti nel mondo) bastano i soldi. Il nostro futuro, quello del nostro sistema imprenditoriale, non può che essere nella cultura italiana e nella formazione delle persone. Tutti insieme possiamo ottenere cose straordinarie. Quando si è più uniti le cose si risolvono più facilmente e si risulta sicuramente vincenti.
C'è un ultimo aspetto che vorrei sottolineare. Con il nostro prodotto siamo continuamente in contatto con Paesi estremamente poveri e bisognosi di acqua. Questa vicinanza ha fatto maturare nell'azienda l'attenzione per la solidarietà. Il primo progetto è sorto in Bangladesh. Quando ho visitato per la prima volta il Paese ho trovato una situazione drammatica, con vita media di 30-40 anni. In accordo con il mio distributore locale abbiamo progettato una pompa (doveva servire per travasare l'acqua per la produzione del riso da un terreno ad un altro) che consumasse pochissimo, perché in Bangladesh c'è poca elettricità. Abbiamo impiegato un anno per progettare questa pompa, che consuma come una lampadina ed ha una portata d'acqua da 1000 litri al minuto, ma in due giorni realizza il lavoro che le donne facevano manualmente in due mesi. Così in un anno si possono ottenere tre raccolti di riso anziché due.
Per questa operazione abbiamo ricevuto un riconoscimento dalla Banca mondiale e la capitale economica Chittagong ci ha dedicato una piazza (la "Pedrollo Plaza"). Dopo questo progetto la richiesta di elettropompe è aumentata moltissimo e con una parte degli utili abbiamo poi costruito una bellissima scuola che oggi ospita 1200 ragazze. Ho insistito perché fosse una scuola femminile perché, a mio modo di vedere, in Bangladesh la donna è poco considerata. La nostra è così diventata una scuola molto ambita.
Dopo questo progetto siamo intervenuti in altre parti del mondo: a Cermjan, in Kosovo, abbiamo ricostruito una scuola superiore (la precedente, durante la recente guerra, era stata rasa al suolo dalle bombe), intitolata a Madre Teresa di Calcutta.
In Albania abbiamo lavorato con due atenei di Tirana: all'Università dell'Agricoltura abbiamo finanziato alcuni corsi sull'utilizzo dell'acqua in vista della privatizzazione dopo la caduta del regime e abbiamo costruito l'Aula Magna; all'Università di Ingegneria qualche mese fa abbiamo inaugurato la nuova biblioteca. Un nostro ingegnere albanese ha tradotto testi tecnici di metallurgia del prof. Gian Mario Paolucci dell'Università di Padova, testi che sono stati donati ad una biblioteca che fino ad allora era in possesso soltanto di libri degli anni '40. In Ucraina, all'Università di Economia e Tecnologie Avanzate di Kremenchuk, è stata finanziata la ricerca, con relative borse di studio, per l'utilizzare l'acqua presente nel sottosuolo a grandi profondità. Questo anche perché l'acqua più superficiale è avvelenata dopo il disastro di Chernobyl. Un'altra scuola sarà pronta quest'anno in India, a Bangalore, e ospiterà 1500 studenti.
In Africa nel 2005 abbiamo donato tutta l'attrezzatura per realizzare 120 pozzi in collaborazione con i missionari. E' stato calcolato che l'acqua di questi pozzi abbia già raggiunto circa 1 milioni e mezzo di persone. Una pompa e la relativa attrezzatura, che al costruttore costa relativamente poco, può davvero cambiare la vita di una comunità: poche gocce d'acqua migliorano la salute, favoriscono l'agricoltura, danno la vita. Per il 2006 abbiamo lanciato un'altra campagna di costruzione con l'obiettivo di superare il numero di pozzi dell'anno precedente e vogliamo che questo diventi un progetto continuativo. Non diamo solo la pompa, ma ci accertiamo anche delle condizioni di installazione, facciamo analizzare l'acqua e ci assicuriamo che sia presente l'energia elettrica. Altrimenti si rischia di ripetere quanto è successo con il primo pozzo. Dopo aver effettuato lo scavo, installata la pompa e preparato il sistema idraulico, mi ha chiamato il missionario dicendomi: "E' tutto pronto, manca solo la corrente!". Abbiamo subito provveduto mandando anche il generatore di corrente.
In ogni luogo in cui siamo presenti promuoviamo delle piccole realizzazioni e non lo facciamo per un atto di carità, ma adempiamo ad un dovere di giustizia.
In fin dei conti, chiunque abbia avuto fortuna, come l'abbiamo avuta noi in Italia, ha il dovere di fare qualcosa per chi è in difficoltà. E questa sensibilità, condivisa da tutta l'azienda, col tempo crea un forte legame tra i collaboratori e ci spinge a migliorare e a superarci perché il nostro prodotto possa sempre renderci fieri per quanto abbiamo realizzato.
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