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Mi chiedo che cosa renda invisibile ed inespresso il messaggio - per me fondamentale - che in materia di accettabilità sociale di una determinata innovazione tecnologica sia necessario anzitutto valutarne il presunto impatto in termini di investimenti, occupazione e produzioni di eccellenza. Senza questi dati preliminari - che solo i promotori dell'innovazione possono fornire - qualsiasi dibattito (e.g. OGM in Lombardia) sarà destinato ad elaborare documenti che nessuno legge ed a rendere ulteriormente inestricabile l'enorme area di parassitismo che caratterizza l'ambiente scientifico italiano di questi anni.
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Ho letto con molta attenzione la Sua mail alla FGB. Le Sue osservazioni sull'accettabilità sociale di una qualsiasi tecnologia sono più che mai ragionevoli. Non ho alcun dubbio che dovrebbero essere il presupposto di una qualsiasi decisione e dibattito pubblico al riguardo. Ovviamente occorre distinguere fra ricerca e applicazione della ricerca. Infatti per valutare l'impatto in termini di "investimenti, occupazione e produzioni di eccellenza" occorre poter eseguire preliminarmente una serie di studi e valutazioni. Purtroppo però alla stato attuale della ricerca questa non può essere confinata nello stretto ambito del laboratorio, ma deve contaminarsi con il territorio. Per esempio ogni ricerca farmacologica deve confrontarsi, prima o poi, con la realtà dei pazienti, con la possibilità che possano verificarsi i cosiddetti casi avversi. Esistono a questo riguardo una serie di protocolli universalmente accettati. Si potrebbe dire che l'esperienza pluriennale ha condotto alla preaccettazione sociale della ricerca. Non vedo perché un qualcosa di analogo non possa avvenire per gli ogm o per qualsiasi altro processo innovativo che possa comportare un rischio. Ma esiste innovazione senza rischio?
I dibattiti che abbiamo cercato di animare sul sito della FGB avevano appunto lo scopo di verificare la possibilità, ma anche i limiti, per pervenire all'accettabilità sociale dell'innovazione e il Suo contributo è sempre stato significativo al riguardo, e mi auguro che si possa contare, anche per il futuro sul Suo contributo.
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Mantengo il punto: un dibattito utile sull'oggetto deve basarsi dall'ascolto prioritario e preliminare di chi tale innovazione vuole promuovere.
In materia di OGM in Lombardia - da cui siamo partiti - farei anzitutto esprimere quelli che, nel Parco di Lodi e altrove, pensano di realizzare prodotti innovativi per l'agricoltura mediante lo studio e l'applicazione delle moderne tecnologie biologiche. Forse non riusciranno a convincere i filosofi della scienza sull'interesse economico e sociale di ricreare nella pianura padana una industria sementiera (scomparsa nella seconda metà del secolo scorso, con i suoi fatturati e addetti) ma avranno almeno il merito di farli parlare di piante reali e
N.B. Nella sostanza Lei si dichiara d'accordo con me, ma il punto non compare nella sintesi [N.d.r. il riferimento è al Diario n.1/2004 nel sito della Fondazione Giannino Bassetti]: forse siamo soli.
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Che Lei mantenga il punto, e che io sia in sostanza d'accordo con Lei, è senz'altro importante, ma come Lei dice, riguarda le nostre convinzioni personali e come Lei dice, si rischia di restare in solitudine. In questi giorni sto curando la pubblicazione degli atti di un convegno su "Genoma e Bioetica" (appena stampato provvederò a inviargliene copia) e nella trascrizione stenografica dell'intervento del Prof. Giuseppe Mirabelli (presidente emerito della Corte Costituzionale) leggo:«Qui c'è da valutare questo per quel che riguarda la libertà della ricerca scientifica. Si espande, certamente, ma non può mai incidere sulla dignità della persona, cioè non può rendere strumento la persona. [...] La libertà della ricerca scientifica potrebbe portare, ad esempio, a terapie che non abbiano come sostrato il consenso informato e che in ipotesi siano rischiose o dannose per la persona, e potrebbe esser questo fatto anche per un interesse non solo di conoscenza, ma per una esigenza di carattere generale, di un interesse sociale più vasto. [...] E' evidente allora che in questo caso, nella ipotesi di bilanciamento, c'è una incomprimibilità dei diritti fondamentali della persona e della sua dignità, che non possono essere compromessi o sacrificati dall'esercizio di un'altra delle garanzie dei diritti fondamentali.»
In sostanza nel discorso di Mirabelli, che nella sua articolazione porta argomenti condisivibili, vedo però una forma più sofisticata di quello che nel vecchio Statuto Albertino riguardava la libertà di stampa. "La stampa è libera, però soggetta alle leggi".
Sostanzialmente si vuole giudicare ex ante, cosa molta diversa dall'ascoltare. Poiché non credo che la scienza seria non abbia nessuna intenzione di offendere la dignità dell'uomo, riterrei più opportuno esprimere il giudizio ex post. Questo richiede una rivoluzione culturale, che se a livello di filosofia del diritto deve recuperare il diritto positivo rispetto a varianti postmoderne del diritto naturale, a livello di opinione pubblica deve superare i condizionamenti dei nuovi ideologismi, che bene o male si rifanno ad un concetto astratto di natura. Dimenticando che i boschi in cui passeggiamo la domenica o i cosiddetti cibi naturali non sono altro che il risultato di una secolare evoluzione culturale.
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In seguito il Prof. Lungagnani mi ha fatto pervenire un testo di sintesi del suo libro Biotecnologie – Norme e regolamenti (UTET Libreria, Torino 2002).