In vista della conclusione del Cal for Comments che sarà venerdì 31 ottobre, intervengo con alcuni commenti agli interventi recenti.
Circa il tema dell'informazione ritengo che questa dimensione, nel pacchetto dei diritti di cittadinanza, sia un elemento fondamentale nell’ambito dello sviluppo sociale contemporaneo, fortemente caratterizzato da alcune innovazioni tecnoscientifiche. Il riferimento va alla “cittadinanza tecnologica”, concetto sviluppato da Frankenfeld nel 1992. Per quanto riguarda i portatori di interesse, credo che l’utilizzo di OGM metta in gioco più di qualche attore e che la creazione di spazi di dialogo tra cittadini e tali attori permetta uno scambio che attualmente, in Italia, mi sembra pressoché assente. Il contributo della riflessione teorica sui temi di etica pubblica, parimenti, è necessario, così come è condotto attualmente da Maffettone e Viano e segnalato da Crocella. Lo spostamento da un’etica delle intenzioni ad un’etica della responsabilità apre ampio spazio a forme di democrazia partecipativa. Come sottolineato da alcuni interventi, però, la strada della partecipazione non può condurre a forme demagogiche o manipolatorie dei decisori nei confronti dei “governati”.
Per quanto riguarda la ricerca pubblica si nota che il calo di fiducia non si accompagna ad uno sforzo, da parte del mondo della scienza e dei politici, di cogliere le ragioni di preoccupate reazioni del pubblico. Credo che non si possa agire solamente in chiave difensiva, etichettando i cittadini come irrazionali ed emotivamente labili. Gli appelli per la libertà di ricerca e la protesta degli scienziati del 2001 e del 2002 contengono forti espressioni riguardanti la minaccia e la limitazione dell’attività di ricerca. Mancano, in questi documenti e in queste prese di posizione, tentativi di apertura e ricerca di soluzioni volte a cercare forme di dialogo con la società civile. Non credo, perciò, che la crisi di fiducia verso le applicazioni tecnologiche si risolva con proteste e richieste di maggiori finanziamenti, bensì con la ricerca di soluzioni adeguate sul fronte dell’ascolto e della comunicazione pubblica. L’intervento di Margherita Fronte mette in luce, se ce n’era bisogno, che in Italia non abbiamo una tradizione consolidata riguardante forme di coinvolgimento, partecipazione e discussione su tematiche tecno-scientifiche. Recentemente lo Stato italiano ha adottato la Direttiva Europea 2001/18 con il Decreto legislativo n. 194 del 22 agosto 2003. In questa normativa si parla di consultazione del pubblico prima delle decisioni riguardanti il rilascio di OGM in campo aperto, per attività di ricerca. Ebbene, la consultazione si qualifica come attivazione di uno spazio web a cui si possono inviare lettere di commento, accanto alla costituzione di una lista di soggetti interessati come associazioni di consumatori, ambientalisti etc. Se questo provvedimento rappresenta un passo in avanti, rispetto al vuoto della precedente legislazione, è evidente che un tipo di consultazione così costruito è limitato e non facilmente fruibile dal grande pubblico. La campagna GM nation inglese è stata realizzata in seguito ad un programma triennale denominato FSE (Field Scale Trials ) concluso nel 2002, e mira a creare i luoghi di partecipazione più volte citati nel corso del dibattito di questo call for comments. Il programma FSE prevedeva la possibilità di organizzare incontri pubblici nella aree interessate dalle sperimentazioni di OGM. Dopo questa attività è stata avviato una più vasta campagna di informazione nominata, appunto, GM nation. Non mancano, a questo proposito, gli scettici, a cui si aggiunge il Professore citato da Daniele Navarra. Il fronte degli scettici bolla come azioni manipolatorie le consultazioni popolari, criticando la posizione del governo britannico che, in più occasioni, rispetto alle colture transgeniche ha dichiarato di avere una “open mind”. Ritengo che, al di là dei rischi menzionati, connessi a queste campagne di informazione, si possa mettere in luce lo sforzo di creare luoghi di dibattito e conoscenza sul territorio, che permettono partecipazione e possono sviluppare maggiore consapevolezza nei cittadini. Non credo che, con queste operazioni, si voglia “democratizzare la scienza”, bensì sentire dalla viva voce degli attori interessati e del pubblico quali siano le deleghe e i meccanismi di fiducia sostenibili circa l’impatto sociale degli ogm. Si assiste così al superamento della delega incondizionata al sistema degli esperti, che spesso non solo formulano le risposte ai problemi, ma pre-determinano anche le domande. Lo scontro che spesso anima la scena pubblica, infatti, divide i politici e il pubblico, molto attenti ai valori e alle questioni etiche e all’informazione, e gli scienziati con i produttori biotech che pensano di operare in un quadro neutro da condizionamenti valoriali e sociali. Margherita Fronte sottolinea il tema dell’incertezza. Penso che i cittadini sentano la necessità di capire quali siano gli ambiti in cui vivere tale condizione, assieme ai livelli che si possono accettare circa l’incertezza. La possibilità di considerare i cittadini come soggetti da interpellare su alcune tematiche rientra nella più ampia concezione di dare voce, con accortezza, alle domande del pubblico. In termini comunicativi, molto spesso, risulta difficile far incontrare codici diversi di attori sociali e cittadini. A questo riguardo le esperienze internazionali hanno elaborato specifiche modalità, costruendo strumenti e materiali di mediazione fra linguaggi specialistici e lessico comune.
Spelta propone il tema delle garanzie ai cittadini. Non esiste, ovviamente, solo la democrazia diretta, possono esservi altre forme di partecipazione che si ispirano ai principi della democrazia partecipativa o deliberativa. Nel mio precedente intervento sottolineavo il rischio della polarizzazione pro-contro ogm, che, spesso, non riesce a precisare quale sia il ruolo degli attori in un contesto democratico. Ad esempio, rispetto alla recente legge italiana che recepisce la Direttiva 2001/18, non sono a conoscenza di campagne per far sì che all’interno della commissione deputata a decidere sulle biotecnologie siano presenti organizzazioni di consumatori o ambientalisti. Mi sembra che spesso, tali organizzazioni, preferiscano agire con eventi di grande risonanza mediatica cercando di parlare in modo diretto con la classe politica, saltando una serie di passaggi – sicuramente più onerosi e faticosi – che potrebbero aprire luoghi di rappresentanza significativa in ordine alle decisioni da prendere in materia. Fatto sta che la commissione, attualmente è formata solo da esperti dei vari ministeri, cosa più che giusta, ma nell’ambito del nostro discorso certamente riduttiva.
Circa le sollecitazioni di Montanini è innegabile che il cibo e i prodotti tipici, nel nostro paese, giochino un ruolo importante nella decisione di introdurre le biotecnologie in agricoltura. La stessa Meldolesi, in un suo articolo sul riformista del 2002, segnalava che la decisione del Ministro Alemanno di bloccare le sperimentazioni con OGM negli Istituti dipendenti dal Ministero da lui diretto, fosse stata presa su pressione delle associazioni degli agricoltori e nell’ambito del salone del gusto di Torino. Questo può dare la misura dell’influenza culturale e politica di certi attori. I prodotti tipici, secondo i ricercatori dell’Università di Milano potrebbero trarre beneficio dal contributo delle biotecnologie. Mi riferisco al documento “Prodotti agricoli tipici italiani da salvare” curato da Sala, Basso, Casati e Frisio del maggio 2002, in cui si analizzano 27 prodotti “che potrebbero essere salvati dall’abbandono” grazie ad interventi di ingegneria genetica. Fantascienza? Chissà, certo che di queste cose non se ne sente molto parlare e, quantomeno, i luoghi in cui si trattano questi argomenti sono spesso ambienti scientifici frequentati da specialisti.
In questo caso, per rispondere a Volli , parliamo di applicazioni biotecnologiche per l’agricoltura.
Colgo l’occasione, con questo scritto, per ringraziare tutti coloro che gentilmente hanno prestato il loro tempo per partecipare a questo Call for Comments. La varietà dei temi trattati dà l’idea della complessità dell’argomento e, in vista della chiusura di questo spazio, sarò ben felice di discutere con Voi circa ulteriori sollecitazioni. Sicuramente, sino a qui, i contributi offerti hanno permesso di accogliere suggerimenti, critiche e considerazioni di grande utilità.
Alcune considerazioni di fatto.
Il problema OGM è complesso.
La democrazia, ed in particolare la partecipazione pubblica alle decisioni che hanno conseguenze pubbliche, è un altro problema complesso.
Appare chiaro come il rapporto tra i due problemi sia ancora più complesso.
Vorrei comunque cercare di operare delle semplificazioni.
La democrazia può essere interpretata in vario modo e a seconda del significato attribuitogli le cose cambiano di molto.
Risulta quindi importante e preliminare chiarire che cosa s'intende per democrazia.
Per Popper la democrazia è il sistema migliore per controllare chi governa. Chi governa male non viene rieletto. Questa potrà apparire una posizione semplicistica e riduttiva, magari non coglierà né l'elemento della rappresentanza né quello della partecipazione, ma ha il pregio di chiarire comunque una cosa: la democrazia non è uno strumento che consente al popolo di prendere decisioni pubbliche ma un mezzo per controllare chi le prende.
LA Seconda semplificazione discende direttamente dalla prima.
In una democrazia chi decide non è il popolo ma qualcuno che da questo è stato legittimamente delegato a farlo.
Ora secondo questo schema di ragionamento una decisione democratica è una decisione che si basa su un meccanismo di delega e di controllo efficiente.
Questo per dire cosa? Che nonostante questa sia un’estrema semplificazione degli ideali democratici è già di per sé un’utopia: non sempre i pochi delegati a decidere dimostrano di fatto le competenze per farlo.
Ora riguardo agli OGM queste considerazioni mi portano a dire:
1)Ben vengano le decisioni science based.
2)Ben vengano quindi comitati di esperti che decidono sulla base di dati scientifici
3)Ma ben vengano anche istituti di legittima delega e di controllo del loro operato, perché se le decisioni sono science based non SONO per forza anche infallibili.
Quindi se devono essere fatte delle operazioni per coinvolgere il pubblico nel problema OGM queste devono essere finalizzate a cercare di aumentare la sua consapevolezza e per metterlo in grado di sceglire chi decide e di valutare il suo operato.
Un dibattito meno manipolato sulla questione come auspicato da Enrico sarebbe tremendamente utile allo scopo.
Inoltre forse la Comunità scientifica dovrebbe sporcarsi un po' più le mani con il pubblico e cercare di confrontare le proprie opinioni anche con chi forse è un po' ignorante ma ha comunque il diritto di cercare di capire.
In Italia non solo manca una cultura “biologica” di base ma anche un luogo dove i ricercatori possano investire in divulgazione e nella creazione di un contesto più consapevole.
Segnalo un sito che si muove in questa direzione.
(WWW.BIOCOMMEDIA.IT)
Saluti,
Fabio Niespolo
Mi è parsa molto stimolante la distinzione che fa Margherita Fronte fra "attori interessati" e "grande pubblico". Se in teoria, come dice la Fronte, il soggetto della democrazia deliberativa dovrebbe essere il grande pubblico, in realtà sono gli attori interessati. E' sufficiente l'esperienza di qualche assemblea di quartiere per verificare che la partecipazione, almeno di quelli che parlano, è circoscritta a politici o aspiranti politici, sindacalisti, rappresentati di interessi e così via.
D'altra parte la moderna democrazia è una democrazia rappresentativa, dove il potere politico si è espropriato di alcune funzioni per delegarle a corpi intermedi indipendenti. Burocrazia, magistratura, authority, comitati di esperti. La magistratura giudica per volotà del popolo, ma saremmo estremamente preoccupati se un giudice per esprimere il suo giudizio si appellasse al popolo o ai sondaggi di opinione.
Ogni volta che un leader fa appello direttamente al popolo ci preoccupiamo delle derive populistiche e autoritarie.
Concludendo. Non è intanto importante individuare di fronte ai problemi posti dai processi innovativi, siano essi le ricerche sugli ogm o sulle cellule staminali, sulla trasmissione dell'energia o sulle nanotecnologie, nuovi meccanismi di democrazia diretta, quanto fare in modo che i corpi intermedi a cui viene delegata la funzione del controllo, ma anche della proposta, godano, per indipendenza ed esperienza, della fiducia dei cittadini. E qui assumono una funzione importante gli attori interessati. Che dovrebbero superare la tentazione di essere i gestori per assumere il ruolo di interlocutori.
Margherita Fronte riprendendo il mio intervento sui farmaci dice che la sperimentazione sui farmaci è unanimamente accettata in quanto risponde a un insieme di protocolli ecc. ecc. Questo è senz'altro vero. Ma il punto è fino a che punto gli antiogm sono disponibili ad accettare un insieme di protocolli simili a quelli per i farmaci. Durante ogni sperimentazione si verificano eventi infausti che nella stragrande maggioranza dei casi sono ignoti al grande pubblico. Infatti normalmente sono i comitati di controllo, cioè gli esperti, a decidere se gli eventi infausti sono da addebitare al farmaco in esame o da considerarsi indipendenti. Credo che dietro ogni accettazione o ogni opposizione ci siano motivazioni ideologiche che nulla hanno a che fare con la pratica scientifica. I farmaci, nonostante tutti i dubbi nei confronti delle industrie farmaceutiche e verso l'indipendenza degli scienziati vengono percepiti come utili. Invece nessuno riesce a comprendere l'utilità diretta, cioè verso se stessi degli ogm.
Visto che siamo in chiusura del Cfc una piccola considerazione sull'informazione. La necessità di una informazione precisa e corretta è stata il leitmotiv di molti interventi. Ma l'informazione tecnico-scientifica va dai papier di riviste come Science e Nature fino ai 30 secondi delle informazioni dei telegiornali. Gli stessi lettori dei quotidiani, salvo interessi particolari, limitano la lettura, per motivi di tempo, al titolo e sottotitolo. Nei giorni scorsi mi è capitato di leggere dello studio commissionato dal governo inglese ad un gruppo di esperti indipendenti per valutare l'impatto del ogm sulla biodiversità. Ho letto tre articoli, che in sostanza dicevano tutti la stessa cosa e che cioè in alcuni casi si sono riscontrati danni per la biodiversità e in altri no. Tuttavia leggendo i titoli si aveva un quadro completamente diverso. Su Il Riformista (articolo di Anna Meldolesi) si sottolineava l'incertezza dei risultati, su La Stampa (articolo di Tullio Regge) il titolo recitava che non bisogna aver paura degli Ogm mentre su Il Sole Ore (redazionale) si affermava che uno studio inglese aveva provato la pericolosità degli ogm. Il lettore frettoloso, come lo siamo il più delel volte tutti, che idea può essersi fatto dell'argomento?
Io non sono un esperto, mi limito ad essere un umile ricercatore.
Vorrei pertanto limitarmi a fare alcune brevi considerazioni sulla democrazia partecipativa e sul dibattito attuale.
Già in questo pseudo-dibattito ridotto mi pare risulti molto difficile fare chiarezza, o perlomeno tentare di fugare alcuni "madornali" errori di prospettiva, mi domando quindi come un dibattito più ampio (come ad esempio quello svoltosi in inghilterra) possa essere fruttuoso. La mia grande preoccupazione è che diventi solo un'altra arena mediatica dove alcuni gruppi di pressione ben organizzati e "interessati" possano acquisire ancor più visibilità a danno della verità dei fatti che io credo non sia democratica, così come anche altri in questa discussione hanno fatto presente.
Anch'io sono più che convinto che siano meglio spesi i soldi nella divulgazione/educazione piuttosto che in un dibattito troppo facilmente sterile ed ideologico... e poi a che scopo? per sentirsi dire di no ufficialmente? e da chi? da gente che da ormai anni sente da mane a sera che gli OGM quantomeno POTREBBERO fare male, e l'Italia è una terra paradisiaca che vive grazie alla sua natura, i suoi prodotti tipici ed il turismo (e magari alla fine anche ci crede)?
A esemplificazione di ciò farò solo qualche esempio su quanto questo dibattito sia ormai compromesso:
1. Vite transgenica. Nel febbraio 2002 esce una direttiva UE sulla propagazione della vite. Greenpeace et al gridano allo scandalo in quanto, affermano, viene creata una corsia preferenziale per le viti GM che non devono più rispettare la normativa comunitaria per gli OGM. Indignazione generale.
Conclusione. Se si va a leggere la legge, questa dice esattamente il contrario. Inoltre, ancora oggi, in quasi tutti gli articoli di giornale sembra che gli OGM siano sparsi in giro senza alcuna precauzione o controllo preventivi... anche se la prima normativa UE sull'argomento risale al 1990 e già allora regolamentava minuziosamente le procedure di immisione nell'ambiente!
2. I campi "contaminati" piemontesi. Slowfood (promotore vittorioso della distruzione) afferma ancora oggi su Famiglia Cristiana: "Enzo Ghigo (...) ha decretato la distruzione di campi dove erano state rintracciate percentuali IMPORTANTI di mais modificato.
Conclusione. Le percentuali IMPORTANTI variavano dallo 0,02% allo 0,1% (cioè da 1 seme su 5000 a 1 su 1000) ben al di sotto di qualunque possibile soglia per un qualunque altro prodotto o sostanza (anche tossica). Inoltre dalle controanalisi, su campi analogi in altre regioni, sono risultati "puliti" più dell'80% dei campioni.
Infine trattandosi di ibridi il seme non viene riseminato, ma riacquistato ogni anno. Non esistono quindi problemi di permanenza nell'ambiente.
Nota di colore. Ghigo, dopo il fattaccio, è andato in Europa a proporre, a nome dell'Italia, una soglia dello 0,1%... non poteva proporlo prima alla sua regione?
3. Il futuro dell'agricoltura italiana è l'agricoltura biologica ed il prodotto tipico.
Conclusione. Se uno avesse soltanto 1 minuto di tempo per guardare i dati ismea (www.ismea.it) e inea (www.inea.it) si accorgerebbe che nel 2001 la spesa per i prodotti tipici rappresentava circa il 2% della spesa alimentare nazionale e quella per il biologico circa lo 0,25% (ora, grazie al pressante battage pubblicitario, dovrebbe attestarsi intorno all'1%). Chiederei pertanto di spiegarmi per quale motivo, per difendere il 2,2% della spesa alimentare italiana, si vuole mettere in ginocchio (con tolleranza zero e affini) tutto il comparto agricolo nazionale che produce il 98% di ciò che mangiamo.
4. Noi non abbiamo bisogno della "roba" americana. Gli OGM sono uno strumento delle multinazionali per conquistare anche l'agricoltura italiana.
Conclusione. Perchè allora praticamente tutta la semente di mais oggi coltivata in italia è americana? Perchè i 2/3 del mercato italiano del mais sono in mano già oggi ad una sola multinazionale americana?
5. L'etichettatura è utile e serve per decidere.
Conclusione. Chi paga i costi dell'etichettatura? Quanto incideranno sul nostro portafoglio? Siamo disposti a pagare un sovrapprezzo per un'informazione che non ci dice nulla sulla sicurezza del prodotto o le sue caratteristiche nutrizionali?... trattandosi di prodotti sicuri (in quanto approvati a norma di legge - 2001/18/CE - 1829/2003/CE) non si vede perchè non fosse sufficiente autorizzare un'etichettatura volontaria così come avviene per tutti gli altri prodotti non considerati nocivi... facendo ricadere i costi soltanto su coloro che intendono pagarli.
Saluti,
Enrico