Note del Moderatore

( 3 Ottobre 2003 )
( inviato da Giuseppe Pellegrini )
COMMENTI : 10 |
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Ringraziando tutti coloro che hanno inviato dei commenti al Call for Comments lanciato nel sito della Fondazione Bassetti, intervengo per esporre, sinteticamente, alcune considerazioni.

Montanini sottolinea il tema economico che, nel caso degli ogm in agricoltura rappresenta un argomento piuttosto caldo e importante, dati gli enormi interessi in gioco e il regime di oligopolio che lega alcuni colossi alle sementi transgeniche.
Credo che questo argomento, nell’ipotesi di realizzare momenti partecipativi che coinvolgono vari attori istituzionali e della società civile, assieme al grande pubblico, debba essere trattato con cura ed esposto in modo adeguato. Per quanto riguarda le applicazioni biotecnologiche in agricoltura, esse non hanno il solo scopo di aumentare la produttività ma anche quello di migliorare le caratteristiche di alcune specie, in alcuni casi, a detta di vari ricercatori, anche per preservare alcune colture dall’estinzione (vedi prodotti tipici).
L’intervento di Saro Cola permette di portare la riflessione sui temi del coinvolgimento e sul tipo di democrazia a cui ci si ispira. Di fronte a tematiche come l’introduzione di ogm è sufficiente muoversi all’interno della democrazia di tipo rappresentativo, affidando una delega – consapevole o inconsapevole – ai decisori politici e ai sistemi esperti? Le opinioni, a questo proposito, sono molto diverse. Nel caso del Progetto “Partecipazione Pubblica e Governance dell’Innovazione” si intende aprire uno spazio affinché si possano attivare luoghi di confronto e discussione su una tematica ricca di controversie e molto complessa da affrontare. Vanno accolte, comunque, le riserve circa la direzione di queste iniziative, che possono diventare mere occasioni di ricerca del consenso o, peggio, di “canalizzazione” del consenso. Le recenti analisi di esperienze nazionali e internazionali sulle forme di partecipazione nell’ambito delle decisioni complesse mettono in guardia circa le perplessità segnalate da Cola.
Colgo dall’intervento di Marlene Di Costanzo una sollecitazione a considerare gli interessi in gioco riguardanti la gestione degli ogm. Penso che l’informazione in generale e il compito dei media siano insufficienti a chiarire tutti gli interessi che i vari attori hanno rispetto alla questione. Probabilmente i cittadini hanno la necessità di capire, con più chiarezza, a chi delegare decisioni così delicate, a partire da una maggiore comprensione dei punti di vista e delle responsabilità sulla materia.
Le pratiche partecipative sono state utilizzate in Italia (vedi intervento di Carla Corazza) nell’ambito della pianificazione territoriale e dell’ambiente. A livello europeo vi sono numerose esperienze (Svizzera, Inghilterra, Danimarca, Germania e Francia) in cui si sono sperimentate, con vari esiti, queste pratiche per trattare le più varie questioni (xenotrapianti, elettrosmog, biotecnologie mediche e agroalimentari etc.). Non mancano, ovviamente, gli esempi extraeuropei in India, Brasile e Stati Uniti, solo per citarne alcuni. Molte di queste esperienze si rifanno alla democrazia deliberativa, intesa come modalità di discussione, dialogo, confronto verbale tra parti unite in un consesso, espressione di una democrazia “funzionante”. Non necessariamente tali pratiche possono avere un esito determinante sui decisori, ma costituiscono comunque lo sforzo di superare la rigidità del principio di rappresentanza democratica.
La sfida insita in queste procedure è quella di superare il concetto di delega ai decisori.
Confesso che non mi appassiona la polemica “pro e contro ogm”, come del resto non piace al Prof. Lungagnani. Il progetto attivato dalla Regione Lombardia, in collaborazione con la Fondazione non ha come obiettivo quello di rilevare opposte fazioni in merito. Credo che lo sforzo da compiere sia quello di analizzare i diversi punti di vista e cogliere quali possano essere le procedure più adatte, non le migliori, per affrontare il tema biotecnologie, sulle quali l’UE e lo Stato italiano hanno già, peraltro, una posizione normativa precisa. Ancora sul rifiuto agli ogm la recente indagine della Fondazione Bassetti e l’Eurobarometro confermano l’opposizione del pubblico europeo e, in particolare di quello italiano. Non dobbiamo senz’altro chiedere, a queste indagini, più di quanto possano darci. Altri sono gli strumenti con cui si potrebbe indagare il polso del pubblico e dei vari attori interessati alla questione.
L’impressione che si ricava nell’ambito pubblico è la difficoltà da parte dei decisori e degli esperti di prendere decisioni in materia e argomentare in modo chiaro e convincente tesi sostenute.
Tra le righe degli interventi di Vajo e Corazza intravedo il tema del rischio, di una società, a più livelli, preoccupata e in difficoltà nel gestire la normale incertezza collegata alle innovazioni tecnologiche. Penso che proprio queste preoccupazioni debbano farci riflettere circa le modalità e le azioni da intraprendere nell’ambito di una sperimentazione istituzionale, quale quella che la regione Lombardia intende intraprendere.

 

COMMENTI

Commento di Carlo Crocella, scritto Lunedì 6 Ottobre 2003 alle 17:06

Sia sotto il profilo del processo decisionale in una società democratica che sotto quello di merito (valori e interessi in gioco in materia di ogm) il tema proposto è tipicamente di etica pubblica. Oggi in Italia l'approccio più interessante, a mio avviso, è indicato da due fra i maggiori studiosi della materia: Maffettone e Viano. Per Maffettone la filosofia (a partire dalla metafisica) e a maggior ragione l'etica non devono essere frutto di un uso privato della ragione. Non si tratta quindi di creare sistemi concettuali individualmente soddisfacenti, ma di elaborare una filosofia (nel nostro caso un'etica) che dia un contributo ai problemi della nostra società.
Per Viano il venir meno della pretesa di trovare criteri morali universali ha fatto sì che uno dei compiti dell'etica pubblica contemporanea, forse il più importante, diventasse quello di regolare e garantire la possibilità simultanea di stili etici divergenti. Non si pensa più ad un insieme di regole e principi in grado di generare sempre la scelta corretta. L'idea è piuttosto quella di uno spazio pubblico delle etiche, di natura variabile a seconda delle circostanze, nel quale confrontare ragioni e tecniche morali differenti.
Come dice Eti-pubblica, il neonato Centro di ricerche sull'etica pubblica, si tratta di operare nello spazio triangolare compreso fra le elaborazioni teoriche della filosofia etica, le opinioni etiche più diffuse tra i cittadini e la prassi dei pubblici poteri. Rimanendo inteso che i cittadini stessi sono uno dei pubblici poteri da considerare.
Venendo allo specifico, alla prima questione posta (come possa la Regione garantire i cittadini in ordine alle decisioni da prendere circa la sperimentazione, la produzione e la commercializzazione di ogm) risponderei semplicemente: con il massimo di informazione. Un'informazione totale, multipartisan, comprensibile. Il punto debole della democrazia nella società tecnologica di massa è proprio la difficoltà di tenere i cittadini adeguatamente informati. Si tratta di informare sul merito, ma anche sulle varie posizioni etiche e sulle pratiche adottate in altre regioni e in altri paesi.
La seconda questione (quali modalità di tipo partecipativo per produrre indicazioni ai decisori regionali) mi sembra già utilmente avviata con questo progetto in corso presso la Fondazione Bassetti. Si potrebbe pensare anche ad applicare un sistema simile a quello in uso in Finlandia, dove tutti i cittadini hanno la possibilità di partecipare al procedimento legislativo esprimendo pareri - via e.mail dal computer di casa - sui progetti all'esame del parlamento. Certo, la Finlandia ha meno abitanti della Lombardia. L'espressione di un numero molto grande di pareri individuali, elaborati senza un reciproco confronto, non può essere che uno degli elementi di un progetto partecipativo. La maior pars non è sufficiente a garantire il bene comune se questa maggioranza non si pone alla fine di un processo in cui possano intervenire tutte le parti in grado di dare un parere qualificato sulla materia in esame: filosofi, scienziati, economisti, produttori, consumatori, esponenti religiosi.
La terza domanda presuppone una risposta alle altre due e chiede "come articolare meglio" l'interazione tra i soggetti coinvolti. Qui siamo più che mai nel campo della creatività istituzionale. E' ormai acquisito, almeno fra gli studiosi di politica e di etica pubblica, che sia necessario, come scrive Cox commentando le più recenti pubblicazioni Usa in materia di etica pubblica (Governance: An International Journal of Policy and Administration, april 2000, pp.279-291) "ristrutturare le fondamenta su cui poggia la nostra società". Oggi le istituzioni pubbliche sono fondate ancora sui principi elaborati da Montesquieu e Tocqueville. Sarebbe ora di ripensare un sistema istituzionale adatto al nostro tipo di società. Partire da esperimenti per casi concreti può offrire indicazioni interessanti. Nel caso che stiamo esaminando si potrebbe pensare a una evoluzione di quelle che nelle nostre commissioni parlamentari si chiamano "indagini conoscitive". Penso a una sorta di Convenzione ad hoc, un'assemblea temporanea in cui riunire esponenti delle categorie elencate sopra (filosofi, scienziati, produttori, consumatori, ecc.), insieme allo staff incaricato di elaborare i contributi individuali pervenuti via internet e i sondaggi mirati. I politici parteciperebbero solo per porre domande (proprio come avviene nelle indagini conoscitive). La Convenzione dovrebbe restare in piedi per almeno un triennio dopo l'approvazione della nuova normativa sugli ogm, in modo da verificarne lo stato di attuazione.
Da ultimo, una opinione personale sulle leggi in materia di ricerca e cultura. Sono convinto che questa materia vada regolata in base a un principio di massima libertà. Proprio come la giustizia va regolata in base all'uguaglianza (restringendo al massimo i privilegi di categoria, a partire da quelli dei politici) e l'economia va regolata in base alla solidarietà (sì, lamento che siamo rimasti a Tocqueville, ma noto che non abbiamo ancora applicato i principi della rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité). E' assurdo vietare la ricerca su qualcosa. Senza fiducia nell'attività dello spirito umano non si va da nessuna parte. Ma si può - e si deve - decidere quali ricerche meritano di essere finanziate con il denaro pubblico. E quando i prodotti della ricerca arrivano sul mercato bisogna che i consumatori siano pienamente informati (proprio per evitare distorsioni del mercato).

Commento di Margherita Fronte, scritto Lunedì 6 Ottobre 2003 alle 21:42

Le tre domande dell'introduzione pongono una questione di metodo, ed è quindi su questo che voglio soffermarmi. Credo però che per rispondere sia utile prima riprendere l'intervento di Vittorio Bertolini.
Bertolini si chiede come mai la questione della partecipazione venga posta soltanto con gli OGM, e non, per esempio, con i farmaci. A questo proposito, vorrei osservare che, per ogni singolo principio attivo, le industrie farmaceutiche devono presentare alle autorità preposte una documentazione che è il frutto di studi clinici che durano in media una decina d'anni. Va sottolineato che le sperimentazioni servono per provare sicurezza ed efficacia del farmaco, ma non riguardano i possibili effetti sull'ambiente, argomento che è invece in questione quando si parla di OGM: questa è una prima differenza importante fra un farmaco e un alimento prodotto a partire da organismi geneticamente modificati. La seconda differenza è che le modalità con cui si svolgono le sperimentazioni sui farmaci hanno ricevuto ampio consenso da parte della comunità scientifica. La situazione degli OGM è diversa: non siamo nel Far West ma siamo certo ben lontani da quel consenso internazionale di cui godono i metodi seguiti nei trial clinici. E' innegabile che l'iter per la messa in commercio di un farmaco sia in grado di fornire garanzie molto maggiori. A questo proposito, ho sentito dire da alcuni scienziati pro OGM che, per "tranquillizzare" la popolazione, gli organismi geneticamente modificati dovrebbero essere trattati alla stregua dei farmaci, e seguire un iter analogo a quello che porta alla messa in commercio dei prodotti farmaceutici (soluzione che potrebbe dirimere per lo meno le questioni relative ai paventati effetti sulla salute). E' interessante notare che nonostante un iter complesso e codificato, anche per i farmaci accade che alcuni effetti collaterali si rivelino dopo la messa in commercio (vedi il caso della Bayer, citato da Bertolini). Anche in questo settore, con regole precise, è quindi difficile offrire garanzie assolute di sicurezza.
Queste considerazioni mi portano direttamente alla prima delle tre domande poste nell'introduzione.

1. In che modo la Regione Lombardia può offrire sufficienti garanzie ai cittadini in ordine alle decisioni da prendere circa la sperimentazione, la produzione e la commercializzazione di ogm?
Proprio perché le procedure per la messa in commercio degli OGM sono ancora controverse (le polemiche sull'etichettatura sono recenti, e non ce le scordiamo) è difficile offrire garanzie. Per quanto riguarda la sperimentazione, inoltre, questa si svolgerebbe probabilmente in campo aperto. Il che equivale a spargere nell'ambiente una sostanza che si sospetta possa essere inquinante, per vedere se davvero lo è. Dunque, se le garanzie di cui si parla nella prima domanda sono del tipo "ti garantisco che non ti succederà niente", queste non possono essere offerte ed è scorretto cercare di darle. Gli studi sull'accettabilità sociale degli OGM tuttavia ci dicono che la popolazione non chiede il rischio zero (si veda in particolare lo studio PABE, di cui si è già parlato in questo sito). Chiede però che la gestione della questione sia trasparente. In altre parole, non chiede garanzie sulla sicurezza degli OGM, ma chiede garanzie che i processi della democrazia siano rispettati. Credo che le azioni da intraprendere per raggiungere questo obiettivo debbano essere molteplici e che possano emergere nel corso della discussione. Un'azione preliminare tuttavia è assicurarsi che realmente le procedure non saranno inquinate da interessi particolari, e che il processo decisionale sia davvero democratico (è cruciale, dunque, la scelta dei soggetti da coinvolgere e dei metodi da usare, che devono comprendere necessariamente forme di partecipazione). In seguito, come ha suggerito in un intervento precedente Marlene Di Costanzo, per dimostrare che le scelte seguono le regole della democrazia è necessario che gli interessi in gioco e, soprattutto, gli eventuali conflitti di interesse, siano chiari a tutti e da subito. Per esempio: se la sperimentazione viene finanziata da un'industria, questo si deve sapere (è tuttavia auspicabile che le sperimentazioni siano finanziate e condotte da enti pubblici).

2. Mi soffermo solo brevemente sulla seconda domanda dell'introduzione, che richiede le competenze tecniche dei sociologi (e io non lo sono). Faccio però notare la distinzione che viene fatta fra "grande pubblico" e "attori interessati" (immagino che questa espressione sia la traduzione dell'inglese stakeholders). Il significato della distinzione andrebbe approfondito, dato che è proprio il "grande pubblico" quello che, almeno in teoria, andrebbe coinvolto nei progetti di democrazia partecipativa. E' sufficiente che a rappresentarlo siano le associazioni dei consumatori e gli ambientalisti? Io non saprei dirlo, ma ritengo che la questione vada posta. Penso che nel rispondere a questa domanda, gli "attori interessati" dovrebbero ricordare che la maggior parte di loro smette di essere uno stakeholder nelle decisioni prese su altre questioni, e torna allora ad essere "grande pubblico". Per esempio, gli agricoltori non c'entrano nulla con i farmaci; gli scienziati che studiano OGM non entrano nelle decisioni sull'alta velocità; le industrie biotech non avranno influenza sulla politica dell'istruzione; i politici sono limitati dal fatto di agire all'interno di un'area geografica (il comune, la provincia, la regione, la nazione o l'Europa). Coloro che sono stakeholders nella questione OGM dovrebbero chiedersi da chi vorrebbero essere rappresentati in esperimenti di democrazia partecipativa su argomenti che stanno al di fuori delle loro competenze.

Passo alla terza domanda:
3. Come si può articolare meglio l'interazione tra i soggetti interessati - ivi compresi quelli istituzionali - per promuovere la partecipazione e un decision making accurato e corretto con particolari modalità di partecipazione?
Diverse questioni fanno capo a questa domanda. Alcune sono di tipo organizzativo (si fa un sito? Con che frequenza ci si incontra? Si fanno dei verbali che poi girano a tutti?), e credo che saranno affrontate in una fase successiva. Altre invece riguardano il tema della comunicazione fra i diversi attori. Una comunicazione intesa come "linguaggio". Un decision making accurato richiede che se un ricercatore parla di rischio che raddoppia, un rappresentante dell'associazione dei consumatori capisca che cosa sta dicendo. Ovviamente l'invito generico a non usare gergalismi non può essere sufficiente. Così come non può bastare l'organizzazione di incontri preliminari che abbiano l'obiettivo di mettere tutti sullo stesso piano per quel che riguarda le conoscenze (non solo scientifiche, ma anche quelle relative ai regolamenti, ai problemi ambientali e così via). Forse occorre la presenza di persone che hanno competenze in settori diversi, e che sappiano all'occorrenza "tradurre" i termini tecnici.

Commento di Alphonse Vajo, scritto Lunedì 13 Ottobre 2003 alle 17:02

Come ha rilevato Giuseppe Pellegrini l'attuale societa' tecnologica (e nel caso specifico direi ' bio - tecnologica ' ) mi preoccupa. Prima di tutto mi preoccupa perche' io sono cosciente della difficolta' sul piano culturale. Quindi avverto l'esigenza di 'aiuti informativi esterni' e - per essere franco - l'attuale situazione riguardo a questi ' aiuti ' non mi tranquillizza molto. In secondo luogo sono preoccupato perche' ho il privilegio di conoscere da vicino i dubbi fondamentali e le inceretezze degli scienziati nel affrontare l'ignoto. Se uno scienziato che stimo incontra difficolta' nel valutare conseguenze di una tecnologia che appartiene al suo campo di studio, chiunque altro dimostri sicurezza e' ai miei occhi per lo meno ' preoccupante '. Non sono capace di dire se nel campo delle biotecnologie il fattore rischio abbia il rilievo che ho riscontrato in altri campi, ma temo che sia cosi'. Se ho fiducia nell'opinione di uno scienziato che si mostra dubbioso non c'e' politico che riuscira' a convincermi del contrario, anzi se prova a farlo mi preoccupo ancora di piu'. Riconosco che sono in una situazione di un certo tipo perche' conosco da vicino persone che fanno scienza o fanno tecnologia, studiosi dei quali sono amico e ho fiducia.
A conti fatti, se devo fidarmi mi fido di chi dico io. Non parlo solo di biotecnologie, faccio un discorso piu' generale.
Quindi mi rendo conto di avere sfiducia nella democrazia applicata a campi del sapere scientifico e tecnologico.


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Riguardo alla penna a sfera usata nello spazio non avevo sollevato dei dubbi, ma avevo fatto un affermazione , cioe che non era del tutto vero che la matita fosse stata chissa che scelta innovativa (o magari una ' vera ' scelta innovativa ), perche' so bene che nello spazio si usano penne a sfera e che la matita crea grossi probemi causa la disperisione di grafite. Nel passato ho lavorato per progetti aerospaziali, quindi posso esprimermi con una qualche certezza. La ricerca che Montagnini ha svolto sul web e' degna di nota.
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Commento di Daniele Navarra, scritto Sabato 18 Ottobre 2003 alle 14:52

A conversation with Professor Ian Angell on GM food and participatory governance
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A few days ago I met by chance Prof Angell [ndr: his web page] in the copy room of the department where I work and study. For the few people who don't know him, Prof. Angell is a leading academic in the Department of Information Systems at the London School of Economics. He is famous for his radical views about technology, corporate Information Technology strategy and global consequences of Information Technology, views that he has widely expressed in his last book 'The New Barbarian Manifesto'.

It might seem strange to deviate from the main theme of the current discussion of this Blog, but this encounter as enlightening as unexpected, deserves to be mentioned for the interesting reflections it got me into after what was said.

I recall that the conversation started with a click of the kettle to boil the coffee. After all, I thought, the Italians are not the only coffee freaks in Europe. However, such idyllic coffee break type of atmosphere was broken soon as I mentioned my interest in e-governance projects.

Frankly and directly as it is in his style he told me: 'I see no future in that'!

'Why?' I asked 'There is great potential for finding and experimenting with innovative methods of participation to decision making in all fields: politics, science. there is a big debate going on now at the OECD [Organisation for Economic Cooperation and Development] and also the Bassetti Foundation has opened a CALL FOR COMMENTS on participatory governance and GM food in his web-site.'

As response I got compact, dynamitic sentence:

'There is no innovation at all in that! Participatory governance represents the last vestiges of scientific engineering, i.e. when you thought that you could be in control. nowadays it is all up to the manipulative capacity of politicians. Look at the position of Tony Blair or any other about GM food'.

I was struck at first by the adamant and un-attackable lucidity of his argument. However, afterwards I thought that maybe participatory governance in scientific research is but one of the issues en-globed in the broader e-governanance dimension. Experiments such as the one carried out in this web-site are a honest example of the will to involve and discuss such issues with the broader community. It also seems that we are not too in control either since the Blog where the discussion is hosted has also been victim of a hacker's attack.

I am sure we can go on and on about these issues, but it is important that all sides are listened to and indeed that the discussion goes on. That is the only way to improve and advance in my opinion.

Finally, when I asked Prof. Angell if I could quote him he said hilariously: 'You can quote me, mis-quote me, do anything you want!' Well, I hope I didn't overdo it.

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[Ndr: This message was also published in Daniele Navarra's Web space (blog) hosted by this site]

Commento di Ricky Spelta, scritto Domenica 19 Ottobre 2003 alle 12:03

Ho letto con molto interesse tutti gli interventi e nella mia mente di "cittadino medio bene disinformato" si sono scatenati mille problemi, mille dubbi, mille domande...partendo da un solo tema!
Non so se sono a mia volta autorizzato ad esprimere opinioni in questo sito, visto che non ho alcun autorevole titolo per farlo, comunque ci provo ugualmente.

Lo scenario del dibattito coinvolge tutto e tutti: scienza, tecnologia, politica, etica, produttori, consumatori e ambiente.
Difficile non lasciarsi influenzare e trascinare nel gorgo delle disquisizioni accademiche sterili o devianti rispetto al problema in oggetto. Ma visto che non sono un accademico, forse questa tentazione la schivo.

Allora, la prima considerazione, che ai miei occhi assume la massima rilevanza, riguarda proprio la parte di dibattito sulle metodologie da applicare per decidere se l'OGM debba essere accettato o no e chi se ne debba in un certo senso assumere le responsabilità decisionali.
Tutto questo mentre l'OGM è già una realtà ed è già in uso da un pezzo in varie parti del mondo e in luoghi anche a noi molto vicini o addirittura sul nostro stesso territorio? (vedi Piemonte)
Mi sembra evidente che prima ancora di parlare di metodologie una società matura dovrebbe essere in grado di garantire ai suoi cittadini, in termini almeno più che accettabili, la capacità di controllare che nessun prodotto, chimico, biologico, farmaceutico, ecc. ecc. entri nei canali di distribuzione, legalmente o illegalmente, senza che ne siano state accertate le caratteristiche, l'utilità e i pericoli derivanti dall'uso. Mi sembra che dovrebbe essere il primo e più importante impegno politico, dettato dalla stessa Costituzione, oltre che dal buonsenso (materia sempre carente!).

Evidentemente questa garanzia non l'abbiamo, quindi dobbiamo essere tutti consapevoli dell'esposizione quotidiana a infiniti rischi, qualsiasi cosa si beva, si mangi, si respiri, si utilizzi direttamente o indirettamente. Nel migliore dei casi forse ci verrà "solamente" qualche allergia in più e di cui forse non sapremo mai le cause.
Maggiore è la gamma di prodotti introdotti sul mercato, maggiore è il rischio di subire nuovi danni non facilmente e preventivamente calcolabili, visto che a volte tra l'introduzione di un prodotto e la scoperta di danni collaterali possono passare anche molti anni (vedi DDT, amianto, ecc. ecc.).
Proprio ieri sera ho seguito un documentario sui misteriosi decessi di donne americane, che solo dopo lunghe ricerche s'è scoperto siano provocati dall'uso di tamponi assorbenti...troppo assorbenti!

La manipolazione della materia chimica, fisica e biologica fatta dall'uomo, sia nei laboratori di ricerca che nelle catene produttive, rappresenta sicuramente un enorme problema mondiale.
L'uomo si ritiene sempre più edotto in materia, per poi regolarmente scoprire che è invece ancora notevolmente ignorante sui danni che introduce nell'ambiente a breve, medio o lungo termine.
Se le manipolazioni avvenissero solamente nei laboratori ci sarebbe già di che preoccuparsi, ma il problema diventa molto più grave ogni volta che un risultato viene visto nell'ottica del profitto commerciale.
E' inutile che ci raccontiamo la favola delle compagnie multinazionali responsabili e attente a ciò che propongono ai loro clienti. Il loro business viene prima di ogni altra considerazione etica (ne abbiamo un'infinità di esempi), così come non si possono certamente imputare colpe alle sole compagnie multinazionali americane. Che dire dei prodotti giapponesi o cinesi? E noi europei siamo forse immuni da tentazioni speculative?

Ma si parlava di "metodo". Chi decide cosa è buono e cosa non lo è?
La gente comune, ma opportunamente informata? Anche questa a parer mio è una favola, che presterebbe il fianco a scaricare le responsabilità dirette degli organi competenti. La gente comune non sarà mai sufficientemente informata, anche perchè pare non lo siano gli stessi esperti dei vari settori. Inoltre come trascurare l'aspetto manipolatorio dell'informazione? E le reazioni impulsive, non dettate da un ragionamento razionale?
Non mi sembra quella la strada giusta. Forse lascerei alla democrazia a partecipazione diretta solo le decisioni relative ad aspetti etici privi di qualsiasi valore economico, semprechè esistano!

L'unica possibilità che vedo è quella di formare delle commissioni di esperti il più possibile estranei agli interessi di parte (il chè già non è facile per nulla!) e adottare misure di cautela estremamente raffinate, con sperimentazioni molto più circoscritte e protratte nel tempo.
Questo metodo, però, servirebbe esclusivamente a diluire i rischi in un maggiore arco di tempo, ma non certo ad eliminarli. Più adotteremo procedure manipolatorie complesse sulla materia, più saremo soggetti a rischi non identificabili, neppure a distanza di decine d'anni. Non mi sembra di dire nulla di nuovo, no?

Non sono contro il progresso nè quello scientifico nè quello tecnologico, ma sono decisamente contro la travolgente velocità attraverso la quale, sulla inarrestabile incoscente spinta economica, introduciamo nuove sostanze e nuove tecnologie nella nostra vita di tutti i giorni.
L'ambiente e gli organismi viventi hanno grandi capacità di adattamento, lo sappiamo bene, anche verso situazioni nuove e non favorevoli, ma dobbiamo lasciargli il tempo di adattarsi. E credo ciò avvenga nell'arco di varie generazioni e decenni.

Infine, per non essere considerato assolutamente fuori tema, riguardo agli OGM ho raccolto queste opinioni molto sintetiche e di cui non conosco la validità.


PRO
1) un OGM può crescere laddove un organismo simile originale non potrebbe (per esagerazione il grano nel deserto)
2) I geni modificati sono fatti da dna naturale, perciò nello stomaco si distruggono e non si possono creare effetti indesiderati negli anni futuri: non stiamo mica parlando di radiazioni!
3) un OGM non necessita di fertilizzanti
4) chi si oppone difende il cibo artefatto, gonfiato, lucidato, fertilizzato che tanto si è dimostrato dannoso!
5) Se ora lo dice pure il Papa (ispirato da Dio) deve pur essere vero
(tratto da un articolo che dichiara che a novembre ci sarà il sì' anche del Vaticano)
6) Anche le multinazionali hanno a cuore il problema della fame nel mondo

CONTRO
1) Non esiste alcuna garanzia sull'innocuità
2) Una volta avviata la coltivazione OGM i contadini sarebbero costretti a comprare i semi tutti gli anni (semi costosissimi) perchè le piante producono solo semi sterili (volutamente?)
3) I mercati mondiali sarebbero in mano alle sole aziende produttrici di semi OGM di cui detengono i brevetti. Ciò significa dipendenza, monopolio, possibilità di fare qualsiasi prezzo, potere economico e politico in mano solamente alle compagnie produttrici americane.
4) Come spiegate che le compagnie che producono cibi transgenitici non vogliono la sigla OGM sulla confezione?
5) Se fosse anche vero che coltivazioni OGM sfamerebbero il terzo mondo, ciò significherebbe incremento della popolazione in modo ancor più vertiginoso. Come pensa di risolvere questo problema il Vaticano, che è pure contro la contraccezione?
6) Come mai tanta sensibilità alla fame nel mondo, mentre nei paesi ricchi si buttano al macero tonnellate di frutta e verdura sana solo per mantenere il prezzo sul mercato?
7) I semi sono già molto cari. Pensate che quelli del granoturco si vendono a numero e non a peso. Quanto costeranno quelli OGM? Chi controlla il prezzo? Lo controllerà la Santa Sede? o gli Stati Uniti, che ne sono economicamente interessati?
8) C'è chi dietro questa strana presa di posizione del Vaticano ci vede quasi un accordo col potere statunitense per via di quello scandalo dei preti pedofili. Do ut des?
9) "Chi ha fame - ha aggiunto mons. Martino - non fa distinzione tra i cibi". Voleva dire tra cibi sani e cibi avvelenati? E' così cinico il monsignore?
10) In Europa è vietato l'uso di OGM superiore all'1%, ma non è forse vero che sostanze ogm sono presenti nel 60% degli alimenti in vendita al supermercato, spesso ad insaputa dei consumatori?
(Vedi lecitina di soia e oli vegetali)
11) C'è la possibilità che cibi OGM producano allergie.
12) Alcuni coltivatori hanno gà sperimentato che il consumo dei diserbanti è aumentato, invece di scendere, come promesso, e la produttività del terreno è rimasta uguale.

Commento di LEONE MONTAGNINI, scritto Domenica 19 Ottobre 2003 alle 14:06

Nel mio primo intervento mi sono sforzato di porre la problematica GMO non in astratto ma calandola nelle strategie di sviluppo del nostro paese e – con uno sforzo ulteriore di localizzazione – parlavo di “grana padano”. Quando si parla di un tipo di innovazione, a mio parere, infatti, occorre chiedersi se essa sia adatta a un determinato sistema socio-economico. L’input mi era venuto da un mio amico che, tornando dagli USA, mi ha detto “il cibo lì non sa di niente”. Questo mio amico non è un provinciale. È uno con Ph.D. in neurofisiologia a Harvard, con la famiglia che vive in Inghilterra e lui abita in un paese dei Castelli Romani. Per mestiere gira il mondo. La frase, detta in un contesto amichevole, andando a mangiare una pizza, mi ha colpito. Ho pensato: ma a noi che ce ne importa di trasformare la nostra agricoltura in un’americanata. Noi non abbiamo sconfinate praterie da riempire con granturco geneticamente modificato. Vendiamo i nostri sapori. Offriamo al mondo il “Bel paese”. Discorso forse già fatto ma comunque in questo caso, mi sembra, piuttosto pertinente.
Di qui il mio primo intervento nel tentativo molto precoce di introdurre una tematica in più di discussione, che è stato considerato fuorviante oppure come da non prendere in considerazione oppure, ancora, come un argomento troppo complesso da trattare. Persino mi si dice: gli OGM migliorerebbero la qualità. Ammesso e non concesso: a che prezzo. Quanto dine’? Ma, signori, su quali basi si prenderanno le decisioni pro o contro GMO (lasciatemelo dire ancora una volta all’americana) se non su questioni di convenienza di lungo periodo?
Sempre nel mio primo intervento parlavo di rischio che dietro gli OGM si nasconda una strategia “paleoindustriale”. Voglio spiegare perché usavo quel termine. In Italia noi abbiamo creduto che lo sviluppo del Mezzogiorno passasse per l’industrializzazione. Perciò si è fatta l’Alfa Sud in Campania, dove ci si lamentava che gli ex-contadini quand’era il tempo dei raccolti si mettevano in malattia. In Campania abbiamo Pompei, la più importante area archeologica del mondo, un territorio iperpubblicizzato a costo zero: la TV italiana ne parla un giorno sì e un giorno no, spero che lo si faccia anche all’estero, ed in parte penso che – magari con una frequenza un po’ più normale – così avvenga veramente. Però se uno vuole trovare un albergo nell’area di Pompei non lo trova. Questo è l’assurdo! Quanti miliardi ci costa questa stupidaggine?! Altro che Alfa Sud. Occorreva - e occorre - costruire una grande industria alberghiera di qualità che rispettasse l’ambiente. I contadini che vi avrebbero lavorato sarebbero stati nel loro contesto normale, non sarebbero stati assenteisti. Mi hanno raccontato (prendiamo il racconto in “camera caritatis”) che in provincia dell’Aquila fu impiantata una fabbrica di mezzi pesanti. Dal Nord venivano i pezzi da montare e tutto il resto, si assemblavano all’Aquila, e tutto tornava a Nord. L’unico vantaggio per quell’impianto era lucrare gli incentivi della Cassa del Mezzogiorno. Ebbene la mia paura è che utilizzare oggi gli OGM o i GMO chiamateli come vi pare nell’agricoltura italiana sia un’altra infatuazione per il nuovo per il nuovo. Vendiamo i nostri sapori! Altro che penne spaziali: non sarà che anche per l’agricoltura funziona al meglio la penna BIC?

Curiosamente, il mio secondo intervento, che ritenevo essere molto meno deviante rispetto alle domande poste, visto che ponevo la questione della “opacità informativa” che ci circonda, ho visto un silenzio addirittura assordante, interrotto solo da Alfonse Vajo che ha detto trovare “degna di nota” (e lo ringrazio) la mia ricerca svolta su internet sulla penna spaziale. Vorrei precisare che QUELLA NON E’ SOLO UNA RICERCA SVOLTA SU INTERNET. Perché alla fine mi sono rivolto all’unico che poteva dirmi qualcosa di affidabile sulla materia: UNO CHE NELLO SPAZIO C’E’ STATO. E una testimonianza oculare è una testimonianza oculare! Altro che! L’astronauta da me contattato non soltanto MI HA DETTO CHE LE MATITE SI USAVANO ANCHE NEL 1992 (quindi pregherei io Vajo, anche se esperto, di farsi venire qualche dubbio in più), MA CHE SI USAVANO ANCHE LE NORMALI PENNE A SFERA VOLGARMENTE TERRESTRI. La questione della penna spaziale è estremamente rivelatrice perché METTE IN CHIARO QUANTA POCA VERITA’ CIRCOLI ANCHE SU UNA MATERIA COSI’ POCO INTERESSATA DAL PUNTO DI VISTA ECONOMICO COME LE PENNE CHE SI USANO SOLO NELLO SPAZIO. FIGURIAMOCI QUALI RAGNATELE CI SONO INTORNO AGLI OGM, CHE IMPLICANO DI FATTO E ANCOR PIU’ IN POTENZA UN GIRO MIGLIAIA DI MILIARDI DI EURO (O DOLLARI, fate voi).

Vorrei dire un’ultima cosa sulla democrazia. Cari amici: LA DEMOCRAZIA PER NOI E’ SACRA. Il principio di precauzione prima di applicarlo agli OGM applicatelo alla democrazia, perché tolta quella quali altri valori ci restano?! Quindi per favore precauzione. Carlo Crocella dice “Oggi le istituzioni pubbliche sono fondate ancora sui principi elaborati da Montesquieu e Tocqueville. Sarebbe ora di ripensare un sistema istituzionale adatto al nostro tipo di società”. Ma che scherziamo?! In primo luogo non confonda i due personaggi. Tocqueville è stato un grande sociologo ante litteram che ha letto in maniera finissima la democrazia americana, ma la dottrina dell’autonomia dei poteri “esecutivo, giudiziario e legislativo” di Montesquieu è e resta un pilastro del nostro ordinamento giuridico e di quegli ordinamenti giuridici che si dicono democratici. Certamente quando si attacca l’autonomia della magistratura, o quando si spara sui “franchi tiratori” (sull’autonomia del legislativo) si indebolisce questo principio, ma esso resta una garanzia fondamentale per la nostra democrazia. Se poi i politici (potere legislativo o esecutivo), anzi Blair (potere esecutivo) hanno capacità manipolative (come afferma il Prof Angell: “ nowadays it is all up to the manipulative capacity of politicians. Look at the position of Tony Blair or any other about GM food’ “) allora dobbiamo essere preoccupati seriamente, perché se persino il Regno Unito – paese che non esita a fare delle sanguinose guerre per esportare la democrazia – non è in grado di salvaguardare la democrazia nel proprio seno, allora qui non bastano Maffettone e Viano ma ci vuole Heidegger quando dice: “ormai solo un Dio ci può salvare”!. (la maiuscola su Dio la metto io)
Cari saluti a tutti
Leone Montagnini

Commento di Elisabetta Volli, scritto Lunedì 20 Ottobre 2003 alle 00:19

Giuseppe Pellegrini scrive che: "Per quanto riguarda le applicazioni biotecnologiche in agricoltura, esse non hanno il solo scopo di aumentare la produttività ma anche quello di migliorare le caratteristiche di alcune specie, in alcuni casi, a detta di vari ricercatori, anche per preservare alcune colture dall'estinzione (vedi prodotti tipici)."

A me sembrerebbe utile una precisazione: parliamo di OGM oppure di agricoltura biotecnologica?

Nel mio precedente intervento avevo messo l'accento proprio sulla necessità di distinguere.

Un cordiale saluto.

Commento di Paola Parmendola, scritto Lunedì 20 Ottobre 2003 alle 13:06

Forse possono essere utili questi due link sugli OGM:

www.gmpublicdebate.org

(un dibattito pubblico tenutosi nel regno Unito, finora il più ampio svoltosi in Europa, ha rivelato che quanto più elevato è il numero di soggetti che scelgono di ottenere maggiori info sugli OGM, tanto più forte è la loro opposizione verso questa tecnologia)

europa.eu.int/comm/food/fs/gmo/gmo_index_en.html

(appello dei ricercatori francesi per porre fine alle distruzioni delle colture GM)

Commento di mauro belcastro, scritto Martedì 21 Ottobre 2003 alle 23:47

Certo il dibattito apre molte possibilità di discussione. Come in ogni argomentazione, in qualunque ambito ci si trovi a discutere, è fondamentale distinguere i problemi, in modo tale da averli molto chiari e da affrontarli senza confusione.
Distinguiamo dunque i problemi:
L’OGM di per sé preso;
L’OGM nel suo utilizzo;
L’OGM e il commercio;
L’OGM e, perché no, le multinazionali.
È necessario aprire un dibattito sulla liceità etica dell’utilizzo delle biotecnologie in campo agroalimentare (così come in campo sanitario); così come è necessario discutere sul loro utilizzo, il loro rapporto con il commercio, ect.
È necessario fare grande chiarezza, al fine di iniziare un serio dibattito. Come discutere e dove?
Si potrebbe costituire una commissione che, anzitutto, consegni a piccole sottocommissioni delle linee guida di discussione puramente formali: come sottolinea Bertolino è importante una sana epurazione da ideologie e residui culturali. Questo potrebbe essere il primo lavoro delle piccole commissioni: liberare il campo dalla falsa idea della biotecnologia come male o come unico progresso possibile: entrambe le posizioni rivelano residui culturali che non permettono il pieno svolgimento di una libera discussione. Sarà necessario che le persone coinvolte nella discussione abbiano la possibilità di accedere ad un'amplia bibliografia al fine di vagliare criticamente e autonomamente, con dati alla mano, le varie implicazioni nell'uso delle biotecnologie.
Di qui credo che il lavoro avrà uno sviluppo quasi automatico e le proposte nasceranno.
Sarà importante, però, essere profondamente attenti al proprio sostrato culturale, alle idee che nascondono prese di posizione già consolidate e che non sono chiaramente presenti alle nostre affermazioni.
Per esempio: perché l'OGM è da molti visto come una minaccia? L'utilizzo delle biotec. visto come la grande intrusione dell'uomo nella "naturalità della natura"? Questo è un primo scoglio da abbattere: il concetto di NATURA e di NATURALITÁ.
Ancora: l'utilizzo delle biotec. non è lecito perché queste vanno ad intaccare la tradizione. Si è sempre fatto in un certo modo, perché cambiare? E poi chi ce lo dice che gli alimenti geneticamente modificati non fanno male?
Questo è un altro esempio per cui la confusione fa da regina: cos'è la tradizione? Cosa vuol dire alimento geneticamente modificato? Sono altri punti su cui fare chiarezza. Certo se si dimostrasse, dati alla mano, che l'intervento "tecnico" sugli alimenti NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE penso tutti sarebbero d'accordo sulla loro non utilizzabilità. Ma, anche qui, posta la loro "buona salute" ogni argomento che fa capo alla non bontà dei prodotti cadrebbe e l'utilizzo delle biotec. sarebbe lecito.
Eh, ma c'è chi specula sull'impiego della tecnologia in campo alimentare: più prodotto, più guadagno. Certo questo è un problema che potrebbe essere fondato, ma non vedo come possa influire sulla liceità o meno delle biotec.
Questi sono solo alcuni dei problemi che possono emergere dalla discussione ipotetica sull'argomento. Penso che la tecnologia non sia uno spettro che ci annienterà tutti a breve. Penso anzi che sia il potenziale umano nella sua bella espressione, almeno in una espressione, come tante altre. Penso altresì che proprio perché viviamo in un tempo di pluralismo etico o tempo delle molte etiche, e che per questo tutti parliamo un linguaggio etico differente, dovremmo urgentemente metterci a tavolino, in aiuto alle istituzioni che, di questi tempi sembra non abbiano molto a cuore gli urgentissimi problemi etici di cui siamo qui a discutere.

Commento di AMMINISTRATORE, scritto Mercoledì 22 Ottobre 2003 alle 12:03

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