PROGETTO PARTECIPAZIONE PUBBLICA E GOVERNANCE DELLINNOVAZIONE
UNA PROPOSTA DI SPERIMENTAZIONE ISTITUZIONALE SUL TEMA DELLE BIOTECNOLOGIE
Call for Comments
Il tema delle biotecnologie - soprattutto per ciò che concerne le applicazioni in campo agroalimentare - rappresenta oggi una questione di particolare attualità per lagenda politica e il dibattito pubblico e al tempo stesso unopportunità di sperimentare forme di policy allavanguardia nella gestione dei processi di innovazione.
Le competenze regionali (legge regionale n.11, 4 luglio 1998) comprendono infatti, tra laltro, la ricerca applicativa, le attività dimostrative e lanalisi dellimpatto ambientale; la valorizzazione delle produzioni agroalimentari, comprese le azioni per l'innovazione di processo e di prodotto, nonché gli interventi a livello regionale per l'orientamento dei consumi e per il coordinamento delle politiche nutrizionali anche relative alle produzioni biologiche.
In ambito industriale, spettano alla Regione - in base al DLgs 112 del 1998 - attività quali la localizzazione delle attività produttive, la disciplina delle aree industriali e di quelle ecologicamente attrezzate a garanzia della salute, sicurezza e ambiente, oltre a competenze amministrative esclusive collegate alle attività industriali che comportino o possano comportare l'uso di una o più sostanze pericolose come sostanze immagazzinate o utilizzate in relazione con l'attività industriale interessata. Infine, in ambito sanitario, viene demandato alla normativa corrente il riparto di funzioni su varie materie, tra cui limpiego confinato e lemissione deliberata di OGM.
Dallopinione pubblica, daltro canto, emergono segnali che non possono essere trascurati dalle istituzioni politiche, in particolare a livello locale.
Gli studi sulla percezione pubblica delle biotecnologie dimostrano chiaramente che vi sono forti elementi di criticità negli atteggiamenti verso le applicazioni biotecnologiche agroalimentari, accoppiati peraltro a una diffusa disinformazione dei cittadini sullargomento (1). I cittadini chiedono alle istituzioni politiche più tutela e una chiara regolamentazione del settore che tenga conto delle istanze espresse in ambito pubblico.
Tanto è vero che un altro elemento, emerso con particolare chiarezza dalle recenti ricerche, è proprio la pressante richiesta da parte dellopinione pubblica di essere coinvolta nei processi decisionali che riguardano le biotecnologie.
Lindagine Fondazione Bassetti-Poster del 2002 su Biotecnologie tra innovazione e responsabilità ha per esempio rilevato che secondo il 23% degli intervistati i cittadini dovrebbero essere consultati in tema di regolazione delle biotecnologie e per il 21% dovrebbero essere addirittura proprio tutti i cittadini a decidere sul futuro di ricerca e applicazioni biotecnologiche.
Dal mese di luglio la Regione Lombardia ha attivato, in collaborazione con la Fondazione Bassetti, un Progetto che ha come obiettivo principale quello di realizzare unesperienza altamente innovativa di policy, promossa dalla Regione, che coinvolga concretamente varie categorie di soggetti (imprenditori, scienziati, policy makers, associazioni di consumatori, associazioni ambientaliste) coinvolti a diverso titolo sul tema dellinnovazione in campo biotecnologico.
Si tratta di sperimentare a livello regionale, per la prima volta in Italia e sulla scorta di analoghe esperienze straniere - consensus conferences, analisi dellimpatto della regolazione (AIR), scenario workshop (2) - un modello di decisione partecipativa, utilizzando il caso paradigmatico delle biotecnologie e in particolare il tema degli OGM.
Lo scopo centrale della sperimentazione sarà quello di valutare quale sia la procedura più corretta e percorribile per raggiungere una decisione su questi temi, tenendo conto delle istanze espresse dai diversi attori e dellimportanza che la policy dellinnovazione riveste per una Regione come la Lombardia, a partire da unampia documentazione delle principali esperienze internazionali.
Lobiettivo finale è quello di verificare se unistituzione democratica nel caso specifico la Regione Lombardia di fronte allesigenza di prendere decisioni difficili, nel loro merito e nelle implicazioni politiche e di consenso che possono suscitare, possa migliorare i metodi decisionali.
Come è noto la UE, consapevole che decisioni come quelle riguardanti la bioingegneria, tanto nel campo degli OGM quanto nel campo delle innovazioni in campo farmaceutico o sanitario, possono essere destinate a creare imbarazzo, ha attivato una riflessione nellambito del programma Science and Society e con la pubblicazione del Libro bianco sulla governance
Questi documenti contengono importanti considerazioni in ordine al governo dellincertezza collegata alle decisioni complesse su temi di innovazione tecnologica, particolarmente per la realizzazione di procedure che facilitino la formazione di unopinione critica, non soltanto degli esperti, ma anche del grande pubblico e con laiuto dei media, oltre a sottolineare il ruolo delle istituzioni locali.
La Regione Lombardia ha affidato il compito alla Fondazione Bassetti con riferimento alle esperienze praticate a livello internazionale nellambito della cosiddetta democrazia deliberativa di mettere a punto e suggerire procedure idonee.
Su questo vorremmo da subito aprire un dibattito attorno ai seguenti quesiti:
1. In che modo la Regione Lombardia può offrire sufficienti garanzie ai cittadini in ordine alle decisioni da prendere circa la sperimentazione, la produzione e la commercializzazione di ogm?
2. Quali modalità di tipo partecipativo si possono attivare per coinvolgere il grande pubblico e gli attori interessati (scienziati, ambientalisti, rappresentanti degli agricoltori, associazioni di consumatori, politici, imprenditori etc.) ad una discussione sul tema degli ogm, finalizzata a produrre indicazioni di policy per i decisori regionali?
3. Come si può articolare meglio linterazione tra i soggetti interessati - ivi compresi quelli istituzionali - per promuovere la partecipazione e un decision making accurato e corretto con particolari modalità di partecipazione?
Parte aggiornata il 24 settembre
Vi chiediamo di metterci al corrente delle
vostre osservazioni, dubbi e suggerimenti sull'argomento e sui quesiti presentati:
cliccate su COMMENTI per leggere i commenti già pervenuti e per scrivere i vostri.
La discussione si svilupperà fino alla fine di ottobre.
Il dibattito è moderato da Giuseppe Pellegrini [*] che condurrà la discussione interagendo con i partecipanti e gestendo la parte conclusiva dell'intera iniziativa.
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[*] Giuseppe Pellegrini (pellegrini@observanet.it):
Sociologo, è
dottorando presso lUniversità di Padova nel corso "Processi interculturali e comunicativi nella sfera pubblica.
Svolge attività di ricerca presso lAssociazione Observa dal 2000. E
responsabile dellequipe sociologica del Progetto Europeo Paradys
(Partecipazione Pubblica e Politiche nel campo delle Biotecnologie Agroalimentari). Gli
ambiti di studio e ricerca di cui si occupa in questo periodo comprendono: le politiche
sociali e la cittadinanza assieme alla sociologia della scienza con particolare
riferimento al tema delle biotecnologie.
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Note al testo:
(1) Secondo il
recente sondaggio realizzato dalla Fondazione Bassetti in collaborazione con Poster, il
30% degli intervistati ritiene che I pomodori comuni non contengano geni, mentre
quelli geneticamente modificati sì; oltre quattro italiani su dieci si considerano
poco infomati sul tema delle biotecnologie, con un incremento rispetto al 2000. Su questo
tema si vedano anche i rapporti dellEurobarometro, in particolare 1999 e 2001.
(2) Per lAIR
si veda: La consultazione nell'analisi dell'impatto della regolazione, La Spina A., Cavatorto S., Rubbettino, Soveria Mannelli, 2001.
Per la Consensus Conference e lo Scenario Workshop: Public participation in science, S. Joss and J. Durant, Science Museum, UK, 1995.
Con riferimento al contenuto dell'intervento di Montagnini, vorrei anzitutto precisare che il tema della "sostenibilità" dell'agricoltura transgenica in relazione alle caratteristiche del sistema agroalimentare italiano è in verità presente, quanto meno fra gli addetti ai lavori e che è implicito in quella sorta di polarizzazione che, a mio avviso impropriamente anche se comprensibilmente, si è affermata fra biotecnologie e agricoltura di "qualità". Chi tuttavia segue le vicende della biotecnologia non può non notare come l'equazione biotecnologie/incremento produttivo sia limitante e non rende l'idea di una tecnologia che si propone scopi diversi e ulteriori , proprio nella direzione di un miglioramento della qualità e della salubrità dei prodotti. Si tratterà di vedere, piuttosto, se queste linee di ricerca andranno avanti.
Era da un po' che non viositavo questo sito. Ora trovo un " Call for comments " e avendo un po' di tempo cerco di attenermi alle tre domande del dottor Pellegrini.
La prima mi lascia perplesso perche' a risposta potrebbe essere 'non saprei'... e poi mischia tante cose: sperimentazione, produzione, commercializzazione .... e' difficile rispondere..... sono molto diverse..... ci vorrebbe una risposta meditata per ognuna.
La seconda domanda sembra richiedere ce chi legge possieda gia' una certa preparazioe... che abbia studiato queste cose da un punto di vista esterno. Io che mi muovi invece dall'interno non vedo perche' si dovrebbero coinvolgere grande pubblico e scienziati... in che cosa poi..... in una discussione ?! ? !
Gli scienziati sono gia' coinvoltik e ne discutono...... certamente dal punto di vista che e' piu' tipico loro. ognuno ne discute nel suo orto ... politici, imprenditori , scienziati , televisioni , uomini di cultura , anchorman e anchorwoman, giornalisti ... e i confronti ci sono. Ce' una certa trasversalita' di dialoghi ... forse piu' che in Italia all'estero dove le associazioni verdi, salutiste, naturaliste, etc sono piu' agguerrite e hanno piu' capacita' di coinvolgere .
Insomma , che cosa si intende nella domanda per ' modalita' di tipo partecipativo '. Spero non lo si chieda a chi legge. Io di certo non saprei rispondere e... piu' decisamente non vedo neanche il bisogno di queste ipotetiche modalita'.
La terza domanda direi che rivela piu' delle altre qualcosa che gia' in qualche modo mi sembrava. CHe ci sia un ' angoscia o una tentazione di coordinare , guidare , modellare le forme che il dibattito puo' assumere se lasciato libero. A me questo non piace. preferisco sapere che c'e' sempre qualcuno che ' tiene i fili ' , ma almeno non perdo tempo a pensare nuove ' modalita' partecipative ' che alla fine non sarebbero altro che nuovi modi per farlo. Preferisco sapere o tentare di capire chi tiene i fili e come... e comportarmi di conseguenza.
Mi sembra che il primo intervento di Montagnini sia abbastanza fuorviante rispetto ai quesiti posti da Pellegrini al termine della sua introduzione. Da quello che credo di aver capito non si tratta tanto di esprimere una nostra valutazione sugli ogm, quanto piuttosto di valutare attraverso quali forme di democrazia partecipativa sia possibile giungere ad una decisione politica sufficientemente condivisa. Anche se da un punto di vista teorico vedo con favore l’utilizzo di una qualche forma di sondaggio deliberativo (metodo Fishkin), mi rendo conto delle difficoltà realizzative.
Poiché comunque si tratta sempre di passare attraverso una fase di discussione pubblica, sarebbe opportuno che preliminarmente fossero chiariti gli interessi di riferimento dei partecipanti al dibattito. Mi spiego; un rappresentante di Assobiotech è chiaro che si rifa agli interessi delle aziende biotecnologiche, ma vi sono altri interessi non sempre altrettanto trasparenti. Le aziende del biologico sono parecchie migliaglia ed è comprensibile che facciano azione di lobbyng.
Un altro punto che il dibattito pubblico deve chiarire è la distinzione fra salute, gusto dell’alimentazione e politiche commerciali. Infatti limitare gli ogm per valorizzare ai fini commerciali alcune produzioni tipiche italiane è cosa diversa dal proteggere i produttori agricoli, specialmente del terzo mondo, da contratti capestro sui brevetti delle sementi (anche se nell’agricoltura moderna il contadino che autoproduce le proprie sementi fa parte di una mitologia arcaica, vedi le sementi ibride a intenso rendimento), mentre è ancora tut'altra cosa limitarli basandosi sul principio di precauzione.
Ieri iniziavo a scrivere il mio commento quando ho letto quello di Saro Cola.
L'ho quindi modificato di conseguenza e invio ora.
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Parto dalle sollecitazioni di Saro Cola.
Premetto che io non mi intendo di biotecnologie, ma mi sembra chiaro che l' intervento di Eleonora Sirsi e' scritto da una persona che studia l'argomento, mentre quello di Saro Cola forse no. Cio' non toglie, pero', che Cola (anche se con stile un po' aspro) ha dato degli spunti curiosi. Infatti, se e' vero che l'introduzione di Giuseppe Pellegrini prende atto di uno scollamento tra opinione pubblica e metodi di decisione politica, l'intervento di Cola mi sembra si contrappone a questa presa d'atto introducendo anche una sua personale dimensione interpretativa. E ' il punto dove sottolinea come non gli sembra che il pubblico abbia un' esigenza critica delle decisioni politiche nel campo delle biotecnologie e si accontenta di quello che viene propinato nella societa' dello spettacolo. E ' anche il punto in cui - forse provocatoriamente, forse no - egli mostra un atteggiamento apparentemente rassegnato a che siamo tutti marionette nelle mani di qualcuno che tiene i fili. Io chiederei a Cola - i fili di che cosa ? Senno' corriamo il rischio di fare delle affermazioni che peccano di eccessiva dietrologia e al limite del paranoico. Non per altro, solo per spiegarsi, perche' credo che se vogliamo partecipare a un' iniziativa come questa (e gia' questa vorrei dire che e' forma di partecipazione diretta) vale la pena essere chiari.
Leone Montagnini dice una cosa molto giusta, ma credo appartenga piu' che altro a una dimensione di utopia, cioe' alla propensione di valorizzare il passato, a sostenere che siamo e restiamo quello che eravamo. Io non credo questo. Non stimerei questo comunque come tesi da sostenere, altrimenti si rimane prigionieri di una posizione da dimostrare a tutti i costi e si e' tentati di applicare un meccanismo delicato di validazione di tesi preconcette - chiaramente forzoso. Apprezzo le affermazioni di Montagnini, ma per esempio non e' del tutto vero che la matita e' stata una scelta innovativa assente l'atmosfera (dove l'ha letto ?=. La matita e' stata un espediente, o forse neanche piu' che una proposta, perche' ha tanti aspetti negativi - pensiamoci. L'innovazione e' stata invece la penna con l'inchiostro che viene propulso nel azione di chi scrive (la punta affondava leggermente all'indietro e l'inchiostro scendeva perche' veniva spinto cosi). Quello di Leone Montagnini e' piu' un atteggiamento, piu' un calarsi nel ruolo di chi ripara dai facili entusiasmi. E' un ruolo indubbiamente importante, ma le innovazioni non sono soltanto frutto di diverso modo di pensare o di vedere le stesse cose. Si, esistono anche queste, ma esistono anche innovazioni che impongono un diverso modo di vedere le cose, addirittura impongono un diverso modo di vedere la realta. (svinvolarsi da punti di vista troppo rigidi)
Ora le domande di Pellegrini.
Non so, perche' non mi sembra chiarito, se questa iniziativa che si svolge sul web sia gia un modo per rispondere alla sua prima domanda (io prima ho parlato di 'partecipazione diretta'). Direi che puo' essere un tassello, questo si. Ma verrebbero tante domande conseguenziali al digital divide. Su questo - sull'utilizzo di tecnologie avanzate per realizzare esperienze di democrazia - ci vorrebbe una riflessione in un' ottica equalitaria.
La seconda domanda risponde alla prima anche se con ulteriore interrogativo. Mi risulta oscuro pero ' come possano essere ottenute indicazioni di policy. Forse Giuseppe Pellegrini da' per scontato dei punti di partenza che io non conosco. Mi permetterei di chiedergli di fare un esempio.
Anche la terza domanda la vedo parte di un nodo interrogativo che forse puo' essere sciolto chiarendo meglio il ' come' e il 'perche'', cioe' dicendo possibili ipotesi di soluzione e chiedendo di discutere quelle.
In chiusura, sulla ' questione ogm'.
Scusate - ho inviato l'intervento per errore senza rivederlo - volevo concluderlo -
Quindi : in chiusura sulla ' questione ogm'.
Perdonate la franchezza, ma io - come ho detto non me ne intendo - non riesco a pormi delle domande solide a riguardo. Sono pienamente uno di quelli che avrebbe bisogno delle ' procedure per formarmi un' opinione critica ' e ho il timore che ci siano tanti altri .
Con questa conclusione - forse e' un po' amara -invio i miei complimenti per l'iniziativa che state conducendo.
Cordialmente
- alphonse vajo -
Tutti i giorni attarverso spot televisivi, pubblicità sui giornali o più provincialmente attraverso la partecipazione a spettacoli musicali, serate danzanti, tombole benefiche e così via sia sollecitati a offrire il nostro contributo a programmi di ricerca, per altro sempre molto generici, per individuare nuovi tipi di farmaci contro tipi di malattie. Nessuno però si sognerebbe mai di sottoporre al vaglio di un dibattito pubblico quali ricerche vengono portate avanti. Nella migliore delle ipotesi l’unica cosa che si richiede è che le ricerche siano effettuate da persone competenti e che i fondi non siano distratti verso finalità diverse. Perché allora nel caso degli ogm si richiede una partecipazione democratica, diversamente da tanti altri settori della ricerca scientifica? Non è che la ricerca farmacologica, dal talidomide al più recente caso della Bayer, sia sempre immuni di rischi, e d’altra parte molte ricerche ogm hanno lo scopo di debellare alcune malattie endemiche.
E’ mia convinzione che la polemica sugli ogm risenta di un vizio ideologico. Ma hic Rodus hic saltus. Ma se così ben venga allora un serio dibattito che faccia emergere, e se del caso superare gli steccati ideologici fra le varie posizioni in campo. Per esempio uno dei cavalli di battaglia della polemica no global è che gli ogm è il modo in cui le grandi multinazionali vogliono controllare il mercato. Discutiamo allora come il potere politico può intervenire in questa direzione. Nella vicenda del riso di Casalino [ndr: www.fondazionebassetti.org/02/argomenti07-doc.htm#casalino ] si è visto come uno dei timori, probabilmente non infondati, era che le coltivazioni limitrofe potessero venire contaminate. Un buon dibattito può o rendere infondati questi timori o creare quelle situazioni tali che la contaminazione non possa avvenire. Nell’intervento della Di Costanzo si prospettano alcune condizioni del dibattito. Molte le reputo un po’ macchinose. Ma solo un dibattito che riesca a chiarire, nei casi specifici, i termini concreti delle questioni è l’unico modo per non trasformare la polemica sugli ogm in una kulturkampf infinita.
Confesso di non avere grande interesse ai dibattiti tra favorevoli e contrari agli OGM. E non credo più di tanto al peso dell'opinione pubblica sulla decisione di perseguire o meno l'innovazione biotecnologica in agricoltura: ritenere che gli OGM possano essere accettati "a furor di popolo" è altrettanto assurdo quanto credere che essi siano oggi rifiutati per lo stesso motivo.
A mio giudizio, la sitazione di stallo regolamentare in cui si è cacciata dal 1998 l'Unione Europea è dovuta alla frattura che si è creata - non per la prima volta (i.e. uso di ormoni nell'allevamento di bovini e nella produzione di latte) ma mai in questa misura - tra gli sviluppatori di tecnologie (i.e. le imprese fornitrici di mezzi tecnici, multinazionali per tradizione) ed i loro utenti (i.e. gli imprenditori agricoli, locali per definizione).
Se e come la Regione Lombardia voglia o possa chiamarsi fuori dal coro comunitario può essere oggetto di interessante dibattito ma, per favore, non mettiamo in linea prioritaria la democrazia partecipativa. In Italia, i produttori agricoli sono degli imprenditori e mi piacerebbe che essi fossero anzitutto messi in grado di valutare i propri interessi, in particolare quelli collegati all'innovazione nel medio/lungo periodo, e di pronunciarsi in occasione di un sereno confronto con i loro fornitori ed i loro clienti.
Vorrei riprendere un brano di un saggio del professor Giuseppe O. Longo sul quale mi ero gia' espresso in un precedente forum di questo sito.
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Se la verità sussiste a dispetto del parere o del voto dei più, come possiamo sostenere che la scienza e la sua verità sono democratiche? Come si fa a distinguere i campi di applicazione della democrazia da quelli che devono esserle sottratti? E chi deve compiere questa distinzione? La distinzione è a sua volta soggetta alle regole democratiche?
(paragrafo 6 - Scienza e democrazia - della relazione ' Progresso e responsabilità: il passaggio dalla scienza alla tecnologia ' )
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La democrazia mi sembra e' un metodo che si dovrebbe applicare in assoluto, a prescindere dall'oggetto delle decisioni politiche. Quindi anche in presenza di certezze scientifiche ? Ma poi... che cosa significa ' d e m o c r a z i a ' ? La dittatura della maggioranza, o qualcosa di piu' raffinato?
Per non parlare delle ' certezze scientifiche '...
Provo a chiarire il senso dei miei interrogativi.
Supponiamo che un amministratore pubblico debba prendere delle decisioni su questioni che riguardano la sperimentazione, la commercializzazione, etcetera di O.G.M. Se anche esistesse una verita' oggettiva, scientificamente provata (questo non va inteso come sinonimo di ' oggettiva ' ) che porta a decidere in un certo modo, questo come si dovrebbe riflettere sulla consultazione dei cittadini? Quando, in che misura, i cittadini dovrebbero essere consultati? Quali caratteristiche dovrebbe avere l'incertezza scientifica per decidere che ' si, in questo caso qui consultiamo il pubblico ' ?. Supponiamo che quando gli sia stato chiesto di pronunciarsi i cittadini scelgano in un senso che contrasta con quello degli scienziati. Che cosa deve fare chi g o v e r n a la ' res publica ' ? Quale sensibilita', quali parametri deve applicare per valutare se dare ascolto all' opinione pubblica, se seguire l'opinione della... comunita' scientifica? (comunita' scientifica... ma e' poi unita questa comunita' ? )
"LA MATITA SPAZIALE" ovvero "BUFALE, CONTROBUFALE E CONTROCONTROBUFALE"
Una metastoria di Leone Montagnini
PROLOGO
Alphonse Vajo ha sollevato dei dubbi circa la storia delle matite spaziali da me raccontata. Vuol sapere dove l’ho letta. Non l’ho letta: quando ne ho scritto, nel mio primo intervento, mi era stata appena raccontata da un neuropsichiatra che me la citava come un esempio di pensiero creativo (il pensiero laterale). A me la storia era piaciuta in quanto richiamava alla mente in maniera icastica il fatto che non sempre innovazione tecnologica significa tecnologia ad alta complessità. Mi sarebbe stato sufficiente riferire la vicenda come un esempio istruttivo, verosimile se non vero, ma dato che Alphonse Vajo mi ha fatto sorgere parecchi dubbi, ho voluto approfondire la questione. Ne è emersa una "metastoria" ancor più istruttiva, perché ci aiuta a capire come i discorsi in generale e quelli sulla tecnica in particolare possano essere spesso manipolati e metamanipolati.
ATTO PRIMO
Per prima cosa ho fatto una ricerca su internet ed ho trovato il sito Snopes, sito in inglese che cerca di scovare le bufale. Vi si definiva falsa e come assimilabile ad una leggenda metropolitana una storia che spesso si racconta (io in verità non l’avevo mai sentita) secondo cui gli USA avrebbero speso 1,5 milioni di dollari in penne pressurizzate, mentre l’URSS se la sarebbe cavata egregiamente con le matite (cfr. http://www.snopes.com/business/genius/spacepen.asp). Secondo Snopes si scoprì presto che le punte si spezzavano, galleggiavano nell’abitacolo, potevano essere ingerite, erano infiammabili, potevano provocare corto-circuiti. Per fortuna nel luglio del 1965 l’imprenditore americano Paul Fisher investì un milione di dollari per realizzare una biro pressurizzata che vendette alla NASA al prezzo simbolico di 2,95 dollari l’una (ne vendette 400 per una sola missione). Nota bene: Snopes rimanda al sito della Fisher, dove si possono acquistare on line Space pens da 22,50 dollari in su.
ATTO SECONDO
Trovo un sito italiano (http://attivissimo.homelinux.net/antibufala/biro_spaziale/
biro_spaziale.htm) che dà riprende direttamente le informazioni di Slopes, citandolo, ma aggiungendo anche accortamente quanto segue: "secondo il sito della Fisher, il primo utilizzo della biro spaziale avvenne a bordo dell'Apollo VII, nell'ottobre del 1968. Tuttavia le matite non sono affatto scomparse dal programma spaziale: una rapida ricerca negli archivi online della NASA usando la parola chiave pencil rivela che le matite sono usate anche a bordo della navetta spaziale (la didascalia della foto disponibile presso infatti parla di tethered pencils, ossia di matite trattenute da una cordicella)".
EPILOGO
A questo punto ho voluto approfondire la faccenda ed ho scritto una mail a Franco Malerba, il primo astronauta italiano, che ha volato nello spazio sullo shuttle Atlantis nel luglio 1992. Gli ho scritto la seguente mail:
"Gentilissimo Prof. Franco Malerba
nel corso di una discussione sull'uso della tecnica si è parlato della questione di come si scrive nello spazio, con le matite, con le penne Fisher, col computer? Mi tolga una curiosità: Lei quando andò nello spazio con cosa scriveva?
La ringrazio in anticipo
Cordiali saluti. Leone Montagnini"
Colpo di scena! Ecco la sua sintetica ma istruttiva risposta:
"Esistono delle penne 'spaziali' con una cartuccia/refill pressurizzata, ma a mia esperienza anche penne a sfera normali funzionavano abbastanza bene. Comunque la matita (con la grafite ricambiabile) era una soluzione ottimale. Cordiali saluti, Franco Malerba".
Mi si perdoni se anche con questo intervento posso essere sembrato "fuorviante" ma essa è piuttosto esemplare nel mostrare come il nostro presente sia opaco dal punto di vista informativo. Sempre per restare sul terreno della comunicazione, ma senza abbandonare quello dell’economia (di una economia rigorosamente liberista e neoclassica), vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che le notizie hanno sempre un peso economico: una informazione anti-OGM riduce la preferenza per gli OGM, facendone diminuire la domanda, e tale effetto fa aumentare la domanda dei beni succedanei (cioè alternativi); una informazione pro-OGM ha l’effetto opposto. Esiste un oggettivo americano ed europeo ad amplificare le informazioni sulla SARS, che riducono le importazioni dalla Cina e dintorni; mentre ce n’è uno a mettere a tacere le notizie sulla BSE e la sua variante umana, che riducono drasticamente la domanda di carne bovina. Che fare?
Il mio primo intervento non voleva eludere le domande di Pellegrini, ma solo rispondere all’ulteriore esortazione degli organizzatori ("Vi chiediamo di metterci al corrente delle vostre osservazioni, dubbi e suggerimenti sull'argomento") col porre all'attenzione dei partecipanti una mia esigenza: che si guardi la problematica OGM non soltanto dal punto di vista del consumatore finale, ma anche da quello dell’impresa agricola che dovrebbe utilizzare le sementi brevettate. Apprezzo la risposta di Eleonora Sirsi anche se vorrei sapere concretamente: in che misura l’adozione degli OGM conviene all’azienda agricola? Come essa modifica i profili di costo dell’impresa? Se non erro anche Vincenzo Lungagnani pone una domanda analoga.
Cordiali saluti, Leone Montagnini.
Accidenti, l'argomento è talmente vasto, intrecciato, pieno di implicazioni che non è facile sviscerarlo qui. Comunque, qualcosa dirò.
Non appartengo alla Regione Lombardia e, per un caso fortuito, sono stata invitata a esaminare e eventualmente partecipare al forum.
Ho letto l'introduzione e, prima di tutto, mi permetto di osservare che, quello che viene proposto, non sarebbe affatto il primo esperimento italiano di governance partecipativa: le Agende 21 Locali per lo Sviluppo Sostenibile, diffuse in varie regioni e, in particolare, in Emilia-Romagna, sono un modello avviato a partire almeno già dal 1999. In particolare, Ferrara, la mia città, è attualmente capofila nazionale di questi movimenti.
Ho partecipato personalmente a vari forum (settore pianificazione del territorio) e anche ad un progetto rivolto alle scuole, una sorta di "esperimento in piccolo" che aveva lo scopo di sensibilizzare i ragazzi e di insegnare loro "come si fa" un'Agenda 21 o, in generale, un forum partecipativo, nel caso specifico applicando il processo nella scelta delle operazioni da svolgere per la gestione sostenibile di un'area di territorio da proteggere.
L'analisi dei risultati di processi di questo tipo sarebbe molto complessa, personalmente non ne ho il tempo nè la professionalità necessarie, potrei solo dire quali impressioni ne ho avuto. Sicuramente però c'è chi ha analizzato tutto il meccanismo (pro e contro, progressi e arretramenti, arricchimenti e impoverimenti) e a loro ci si può rivolgere per consigli. In definitiva, penso che l'efficacia del processo partecipativo dipenda molto dalle capacità e dalla buona fede di chi ne è alla guida.
In particolare, per quel che riguarda le biotecnologie (che comprendono ben altro, è bene ricordarlo, che il solo transgenico): è altamente probabile che, da tutto il processo, emerga, tra le altre cose, un immenso bisogno di maggiore informazione; lo stesso è accaduto per le agende 21 locali, dove la priorità dell'educazione ambientale ai fini dello sviluppo sostenibile è emersa da tutti i gruppi di lavoro. E' giusto: non si può chiedere una scelta senza conoscenza. Purtroppo, però, è facile che proprio queste esigenze formative finiscano con l'essere penalizzate, soprattutto in periodi di "crisi economica" (contando anche che ci può essere chi ha interessse a calcare la mano su questo punto), periodi in cui la sensazione di "emergenza" favorisce l'acquiscenza nei confronti di decisioni rapide che, però, non tengono conto delle conseguenze a lungo termine.
Forse, quindi, prima di destinare fondi a un forum (costano, perchè ci sono gli organizzatori e i facilitatori da pagare, e non è detto che si possano trovare quelli adatti alle biotecnologie), sarebbe bene destinarli alla divulgazione: fatta per bene, sottolinenando tutti i pro e tutti i contro.
Per concludere, una domanda: se dal forum emergesse un rifiuto totate al transgenico, la Regione Lombardia rispetterebbe tale orientamento?
Io sono ignorante. Perché di culture biotecnologiche e di OGM non so nulla. Non è vero: so qualcosa. Quello che leggo sui giornali. Per esempio, leggo che a Lodi si fa agricoltura biotecnologica, ma che non si tratta di OGM. Perché "nelle pratiche che portano agli OGM si trasferisce dalla pianta donatrice alla ricevente un solo gene dei complessivi 30-40 mila, ossia quel particolare gene che serve a un ben preciso scopo, effettuando così un intervento "artificiale", dopo il quale la pianta non è più la stessa", mentre a Lodi rispettano "il naturale processo di fecondazione, attraverso un incrocio che trasferisce tutti i geni da un esemplare più forte a uno complementare più debole, per cui la pianta che ne risulta ha acquisito qualità migliori, ma non è intrinsecamente cambiata, tranne che in certi caratteri esteriori, per cui si hanno varietà di aspetto diverso". Un effetto secondario questo che --dicono -- non possono "né prevedere, né controllare esattamente".
Quest'ultima frase mi ha strappato un sorriso, perché una ci rimane perplessa: ma come non possono prevederlo ?!? Eppoi, va bene, nel caso degli ortaggi e della frutta sarà pure secondario, ma immaginiamoci se invece di frutta o di ortaggi... ma che cosa sto dicendo! Queste domande sono frutto di una ottusa fiducia nella scienza! Anzi, il vero ricercatore è proprio colui che ti dice chiaramente: "questo non lo so", "questo non posso prevederlo". Di che cosa mi sorprendo dunque? Forse che negli incroci (vegetali e animali) si è mai preteso di sapere esattamente come sarebbe andata a finire? Non è pressapochismo quello di chi - scienziato - ammette (lasciando stare il caso di Lodi: parlo in generale) che "non sa": è la verità. Ed è una verità che non dovrebbe per niente sorprendere.
Solo che io sono ignorante e un po' mi sorprendo. E un po' sono anche in balia di quello che mi dicono i giornali. E poi leggo che un po' di maretta c'è sugli OGM... eccome se c'è, visto che l'Europa ha posto un sostanziale (non assoluto) divieto alla produzione e al commercio di alimenti transgenici e il nostro governo, adeguandosi, ha anche deciso la sospensione delle ricerche di carattere pubblico nel settore, rinunciando, a differenza di altri Paesi, come la Francia e la Germania, a una preziosa prospettiva di conoscenze. Ah, ma già: è vero! A Lodi non fanno OGM. Fanno agricoltura biotecnologica e c'è una bella differenza! Quindi a Lodi tutto bene.
E allora?
Allora forse è proprio vero che sarebbe ora di cercare di alzare quel velame di ignoranza che ha avvolto tutta questa faccenda del "biologico" contro il "biotecnologico" nei cibi che mangiamo (per quelli che mangiano gli animali - gli animali altri da noi - il problema è meno... sentito... almeno sino a che non ci rendiamo conto che... ovvio no?). Perché poi - se ci pensiamo bene - questa faccenda degli OGM la "sentiamo" tanto - cioè ci tocca - proprio in quanto riguarda "cose da mangiare", che ci entrano dentro, nel nostro corpo e... orpalà! ... potrebbero anche "cambiarci". E quindi ne siamo anche un po' inquietati. Ma... e se invece non si trattasse di elementi commestibili? Siamo immersi in un ecosistema - in una "biosfera" per meglio dire - che forse stiamo trasformando allo stesso modo in cui modifichiamo i vegetali, gli animali... quello che mangiamo insomma, o che ci spalmiamo sulla pelle (c'è anche la cosmesi no?). E solo perché non ingeriamo tutto quel che ci sta intorno ci sentiamo meno inquieti? Illusi che siamo...
Però - dai - è comprensibile: il cibo è il cibo. E' un argomento topico di film, di romanzi e altre opere d'arte... l'Arcimboldo - tanto per prendere uno a caso - era uno che di queste cose se ne intendeva (a modo suo, ma se ne intendeva).
E allora, dato che "il cibo è il cibo", partiamo pure dall'Agrobiotech per parlare di decisioni partecipative.
La prima esigenza che io avverto per poter partecipare "come si conviene" è allora - lo ripeto - colmare la mia ignoranza.
C'è un caso - ricordato spesso da James Fishkin - che illumina in proposito, perché è ormai un classico: un sondaggio organizzato negli Stati Uniti, nel 1976, sul Public Affairs Act del 1975. I cittadini dovevano pronunciarsi: favorevoli o contrari o "non so". I non so furono in netta minoranza. Una volta conclusosi il sondaggio, venne comunicato che il "Public Affairs Act" non esisteva. Si potrebbero fare altri esempi dello stesso genere, cioè che riguardano i limiti intrinseci nei sondaggi - ma più in generale anche nei metodi partecipativi - e anche - per dire la verità - i limiti indotti.
Sovranità popolare... che ci sia ciascun lo dice dove sia nessun lo sa... E invece no ! E' nell'informazione che rende consapevoli. Hai detto poco... I sondaggi d'opinione hanno tanti vizi d'origine e forse uno di questi è il fatto che forniscono indicazioni grezze. "Grezze" vuol dire che sono la conseguenza del livello informativo precedente al sondaggio (anche se acquisito). Però hanno un grande merito: servono per rendersi conto prima di tutto che cosa, "quanto" gli intervistati conoscono della materia su cui vertono le domande. Però qui finisce l'aspetto positivo. Perché se dal risultato del sondaggio interpretato come appena detto si passa a fare deduzioni su "ciò che i cittadini vogliono"... eh... il discorso cambia, e cambia non poco... ce ne rendiamo tutti conto - no? - che la politica è impregnata di malafede.
La malafede... bisogna conviverci. Anche perché io sono forse un essere angelico? Forse non so che il politico (sia pur in una figurazione stereotipata) cercherà di apparire sempre rispettoso non solo dei giudizi, ma anche dei pregiudizi dell'opinione pubblica? Per non parlare di quando i pregiudizi divengono cavallo di battaglia per ragioni di consenso.
Ma lasciamo da parte "il politico" (tra virgolette, cioè la "figura" del politico, anzi "quella" figura di politico) per volgerci ai cittadini. Per capire che cosa dovrebbe essere fatto per raffinare l'opinione pubblica. Non si può sempre andare avanti a forza di dati "grezzi" nel senso sopra detto.
Come già qui in questo call for comments indicava Marlene Di Costanzo, i sondaggi "deliberativi" sono tali solo se "informati". Questo è infatti il cuore dell'innovazione di Fishkin. Ma detto questo siamo ancora in alto mare. Perché il problema vero sta nella messa in pratica delle soluzioni. E neppure Vittorio Bertolini ha osato affrontare l'interrogativo del "come". Vincenzo Lungagnani, invece, mi sembra che riguardo la democrazia partecipativa manifesti una posizione di sfiducia già a partire dal piano teorico. Forse la sua è una posizione realista. Ma per troppo realismo si può anche arrivare a percorrere strade non sempre consone alla sovranità popolare intesa in senso proprio. Lungagnani evidenzia come le questioni debbano anche essere decise in tempi non biblici, perché ci sono esigenze di varia provenienza, economiche (soprattutto economiche direi), interessi da proteggere. Soprattutto interessi economici direi, ma - mi si intenda - non lo dico in tono negativo. E forse lo sconforta pensare ai tempi lunghi che la democrazia partecipativa comporta. Può darsi che abbia ragione. Anzi: ce l'ha. E' chiaro che ha ragione. Ma bisogna vedere "quanto" lunghi. E come possiamo saperlo senza provare a mettere in atto delle soluzioni di tipo partecipativo? Di conseguenza, al di là di tutto, credo che il Progetto della Regione Lombardia dovrebbe essere guardato con occhi prima di tutto pragmatici. Poniamoci problemi attuativi, concreti, non troppo astratti. Sì, lo so, i tempi lunghi della democrazia partecipativa non sono un problema astratto e bisogna saper discernere la via giusta fin da subito per evitare poi di trovarsi impantanati. Ma dicendolo non scopriamo l'acqua calda per favore...
"Ragionare dobbiamo, e spesso" - come diceva Marco Mondadori - e io penso che non vadano bene le scorciatoie che evitino un ragionamento "partecipato" e "partecipante" solo perché questo necessita di tempo (... e intelligenza - direbbe qualcuno con tono sarcastico). Come cittadina vorrei essere messa nelle condizioni di rendere effettivo il principio - direi pressoché etico - di Mondadori. E' anche interesse delle istituzioni che io possa essere più consapevole? Direi di sì. Anche se in una prospettiva cinica è evidente che la risposta è no.
I commenti continuano dalle "Note del Moderatore"
Fin da ora dò la mia disponibilità per intervenire in questo dibattito.
Vorrei anche indicare un punto su cui a mio parere si discute poco quando si parla di OGM. Cioè l'economicità di una agricoltura di questo tipo.
Gli OGM aumentano la produttività, è vero. Ma la produttività non è tutto.
Un'agricoltura legata agli OGM vincola l'agricoltore ai proprietari dei brevetti. Inoltre conta la qualità del prodotto. Oggi l'agricoltura biologica paga di più. Se tanta gente è convinta che biologico sia meglio, sarà anche disposta a pagare di più per avere il biologico!
Un'agricoltura come quella europea, indubbiamente "drogata" sotto il profilo di una logica liberoscambista, non credo che possa sperare di divenire efficiente incrementando un pò la produttività attraverso l'innovazione tecnologica (OGM). La risposta OGM è un modo vecchio, e secondo me paleoindustriale, di affrontare i problemi economici. Occorre che l'agricoltura europea trovi la sua strada in una maniera molto più innovativa e creativa.
Alcuni anni fa la NASA si pose il problema: come scrivere nello spazio dato che in assenza di gravità le penne a inchiostro non funzionano. Alcuni pensarono ai computer. La risposta di una persona intelligente fu: con la matita.
Non sempre la scelta più innovativa è quella sembra la più moderna e tecnologicamente complessa. Per l'agricoltura lombarda forse la risposta va trovata nel brevettare il "grana padano".
Cordiali saluti