La Repubblica 12 agosto 2004 IL CONFLITTO SOCIETA' - SCIENZA di UMBERTO VERONESI ---------------------------------- La decisione che si può definire storica assunta dalle autorità sanitarie inglesi sulla clonazione di embrioni umani per curare il diabete, il morbo di Parkinson e l'Alzheimer riaccende il dibattito scientifico sulle possibilità e i limiti della scienza e della ricerca medica. E dovrebbe anche farci riflettere sul conflitto fra scienza e società e farci ripensare a quanto il cammino della scienza è orientato dalla realtà storica in cui si svolge, quindi può essere accelerato oppure frenato a seconda delle scelte delle differenti comunità sociali e politiche. La posizione del nostro paese in questo ambito è emblematica. L'Italia è scientificamente all'avanguardia. Già alla fine del 2000, infatti, aveva indicato una sua via alla clonazione terapeutica attraverso il lavoro della Commissione Dulbecco di cui facevano parte, insieme con il grande genetista premio Nobel, scienziati come Rita Levi Montalcini, altro premio Nobel, Claudio Bordignon del San Raffaele e Piergiuseppe Pelicci dello Ieo di Milano. La commissione ha individuato la possibilità tecnica per ottenere cellule staminali senza dover produrre embrioni e, eventualmente, utilizzando gli embrioni sovrannumerati, destinati cioè a essere letteralmente "buttati", per curare malattie gravi. Si tratta del "trasferimento nucleare di cellule staminali autologhe" e consiste nel privare del nucleo un ovocita umano non fecondato e nel trasferire al suo interno il nucleo prelevato da cellule di un malato. Grazie a questo impianto, nell'ovocita si sviluppano cellule staminali con un patrimonio genetico identico a quello del donatore, quindi cellule perfettamente sane. In questo modo si evita la necessità di produrre un embrione con i problemi etici e scientifici che questo comporta. Si tratta d'una proposta tecnicamente molto avanzata, eticamente equilibrata e con altissime probabilità di efficacia terapeutica per malattie altrimenti incurabili. I risultati della commissione furono accolti con favore sia dal mondo politico sia dagli ambienti scientifici, ma quel documento è rimasto una carta teorica, nulla è stato fatto sul piano concreto e attuativo. Quattro anni dopo il mondo discute e si divide, come è giusto e inevitabile che sia in questi casi, su una scelta presa da un altro paese. E' come se avessimo subito un sorpasso sulla linea del traguardo, uno smacco che rappresenta per chi, come me, fa della ricerca una ragione di vita, una grande amarezza, una frustrazione. C'è da augurarsi che l'importante decisione di Londra riapra anche da noi un confronto serio sui limiti dell'intervento della scienza nella vita dell'uomo, per curare le sue malattie e la sua sofferenza, Con serenità e senza scientismi, ma al di là delle ideologie e di chiusure che rischiano di farci precipitare in un nuovo oscurantismo.