Il Sole 24 Ore, 1 dicembre 2005 Genio e sregolatezza soffocati in azienda di Walter Passserini ----------------------------------------- Come fa un talento creativo in azienda a convincere il direttore del personale che, mentre sta guardando fuori dalla finestra, in realtà sta lavorando? E' la metafora della difficoltà che le imprese italiane incontrano nel riconoscere il creativo interno, quell'intraprenditore, metà genio e per più dell'altra metà sregolatezza, che abita nei luoghi di lavoro. I creativi in azienda hanno un'anima diversa da quella della maggioranza delle imprese. Ce lo dicono consulenti ed esperti di Hr (Human resources). Infedeli e poco ligi alle regole, i creativi tendono a non rispettare affatto la terza T di Richard Florida, la tolleranza, in questo modo rendendosi insieme intolleranti e intollerabili. Il "diversity management", in Italia, è ai primi passi. E i talenti e i creativi fanno la differenza, ma sono anche differenza. Certo, dipende dai settori, ma anche e soprattutto dal ciclo di vita del business, dallo stato della vitalità dell'impresa. Lo "start up" è lo stato nascente, disordinato e creativo, in cui è il disordine organizzativo a governare. Qualcuno ha coniato il termine "caos management", ma ai più pare un ossimoro. Lo sviluppo e il consolidamento portano alle regole, agli argini, dentro cui nuotano gli ottimizzatori poco avvezzi ai sogni. La maturità del business è il "declinar crescendo" dell'impresa, dove, mentre la curva del fatturato, non sempre degli utili, sale, quella della vitalità è già scesa. Tra il bilancio economico-finanziario e quello della forza vitale, le curve si incontrano in un solo punto, quando ormai è troppo tardi. Ma da qui può ricominciare l'avventura della creatività, quando un manipolo di coraggiosi inascoltati prende in mano il potere, per trovare altre strade, per creare una nuova vita, un nuovo business. Le imprese, come le persone, devono nascere e risorgere più volte nel corso del tempo. Ma è, per tutti, molto difficile. Poi c'è il problema dei luoghi. Le imprese sono luoghi di conformità, di burocrazia, necessarie ma pericolose. E' la scala dei valori a dividere i creativi dagli altri. I luoghi sono steccati, scatole, cubicoli, in cui la creatività è confinata. Gli uffici sono esteticamente poco invitanti. Gli "open space" vengono lottizzati dalle paure, dalle incertezze, dai poteri, veri o presunti, e dall'incompetenza. La piramide di Peter è la metafora dei luoghi, in un mondo del lavoro nel quale gli antropologi e qualche architetto annoverano i "non luoghi". Psicologi e direttori delle risorse umane si dedicano all'ambiente, al clima aziendale. Ma test e questionari non riescono a misurare le temperature e a scovare i talenti. I sociologi che hanno studiato i gruppi creativi nella storia parlano della necessità di precondizioni: l'ambiente stimolante, in primo luogo; poi l'esistenza di una squadra, di uno spirito di gruppo, di un "team building" creativo, più o meno naturale, la cui irruenza diventa nel tempo proporzionale ai risultati; ma non c'è gruppo o squadra senza un leader, non una leadership diffusa, ma un grande leader carismatico, fertilizzatore di conoscenze, inseminatore di entusiasmi e riconoscimenti, giusto e duro nella valutazione. Sì, perché quelli che nelle aziende pensano che il gestore e lo sviluppatore di creativi debba essere molle e debosciato, molto democratico, si sbagliano di grosso. Al di là delle apparenze, il creativo vuole essere valutato, chiede un riconoscimento, non l'indifferenza che trasuda da certi sistemi premianti e remunerativi. Perché il creativo sguazza nell'informalità. Ma vuole vedere premiato, e non solo con il denaro, il suo merito. Altrimenti scappa e se ne va.