Il Riformista, 1 dicembre 2005 "La formula Pielke contro il rischio di politicizzare la scienza" Anna Meldolesi ----------------------------------------------------------------- La formula Pielke contro il rischio di politicizzare la scienza Sulla scena politica la scienza non è mai stata tanto presente e, al tempo stesso, tanto ignorata. Mentre a Montreal si discute deI dopo Kyoto con la devastazione causata da Karina ancora impressa nella memoria collettiva, per esempio, ognuno può attingere dalla letteratura scienifica i lavori che meglio si adattano alla sua causa. Le citazioni selettive sono un espediente che funziona sempre, anche per sostenere l'esistenza o l'assenza di un nesso tra eventi climatici estremi e riscaldamento globale. Invece di confrontarsi sul piano politico mettendo sul tavolo le rispettive scale di valori e prirità che li portano a sostenere opzioni diverse in risposta al riscaldamento globale, i due blocchi contrapposti duellano a suon di dati scientifici. Non tutti i dati hanno la stessa rilevanza, ovviamente, ma non è questo il punto. Il fatto è che a forza i mettere dati contro dati, ipotesi contro ipotesi, alla fine la scienza si elide. La figura dello scienziato come "onesto mediatore" sl eclissa e prende sempre più peso quella dei gruppi di pressione, spostando pericolosamente il baricentro del triangolo di ferro che unisce scienza, politica e advocacy. Ma è possibile riportare un po' di razionalità nel processo di policymaking. Un'opportunità preziosa per avvicinarsi a questi temi cruciali quanto negletti in Italia, è offerta dalla lettura di Scienza e politica, la lotta per il consenso (ed Laterza) di Roger Pielke, in questi giorni a Milano su iniziativa della Fondazione Sigma-Tau. Pielke, che insegna all'Università del Colorado, nasce come studioso delle policies per il clima ma allarga la sua analisi a tutto campo: dall 'utilizzo delle informazioni di intelligence per giustificare la guerra preventiva In Iraq, all'uso dei dati scientifici che gli ecologisti fanno per legittimare interventi precauzionali in difesa dell'ambiente. Pielke è convinto che sia controproducente ostinarsi a invocare un modello lineare che faccia discendere le scelte politiche direttamente dalle informazioni disponibili, soprattutto per temi in cui entrano in campo dei conflitti di valori. Non perché la scienza non abbia indicazioni rilevanti da dare, ma perché si rischia di ottenere il risultato contrario a quello desiderato: invece di rendere le policies più scientifiche, si finisce quasi sempre per politicizzare la scienza. senza pervenire a decisioni razionali né condivise. Ce ne siamo accorti, ahimé, anche in Italia, in occasione del referendum per la fecondazione assistita, quando argomentazioni scientifiche e pseudoscientifiche si sono mescolate a obiezioni morali e religiose dando origine a un dibattito incomprensibile. Per non parlare degli Ogm, un campo in cui la scienza non è affatto divisa come si vorrebbe far credere ma è facilissimo perdersi se non si dispone di una robusta bussola scientifica. Anche qui il fronte ambientalista continua a ricorrere ad argomentazioni di natura scientifica invece di motivare la sua opposizione più onestamente, in base a considerazioni politiche e persino estetiche. Rinunciare ad auspicare un rapporto diretto tra policies e informazioni scientifiche non è facile, soprattutto in Italia dove il bisogno di portare più scienza nella politica ha assunto proporzioni drammatiche. Ma il ragionamento di Pielke mette in luce cortocircuiti innegabili e rappresenta una sfida per tentare strade più realistiche e uscire da contrapposizioni che non hanno alcuna chance di risolversi con un braccio di ferro tra ragione ed emozioni. Per far affiorare la componente valoriale del dibattito sul clima, ad esempio, è sufficiente proporre un esperimento mentale e chiedere quali interventi ciascuno di noi auspicherebbe nel caso in cui l'aumento di temperatura avesse cause esclusivamente naturali (Mondo del Sole Splendente) o antropiche (Mondo Serra). Le risposte generalmente sono diverse, anche se i rischi per l'ambiente e per l'uomo coincidono. La ricetta di Pielke è quella di cominciare a riconoscere il peso di questi assunti nascosti, invece di lasciarli operare nell'ombra, e chiedere a scienziati e analisti di policies di aumentare le opzioni a disposizione della politica invece che ridurle a una sola, ad esempio pro o contro Kyoto. A questo punto, quindi, deve essere la politica ad assumersi la responsabilità di una decisione, che non può essere quella di nascondersi dietro alle incertezze vere o presunte della scienza per motivare o rimandare scelte su cui pesano ben altri fattori. E questo sì sarebbe un passo avanti, anche in considerazione dell'esperienza italiana, perché in molti casi è davvero grottesco che si continui ad auspicare più ricerca come fanno i politici di entrambi gli schieramenti per togliersi d'impaccio in campi che vanno dagli Ogm al nucleare.