Corriere della Sera 25 settembre 2004 La creatività rimodella le imprese di Giangiacomo Nardozzi ------------------------------------------- La creatività nell'agire economico è mossa dalla ricerca del profitto d'impresa. Quindi riguarda sostanzialmente l'imprenditore. Questa figura centrale del capitalismo è però piuttosto trascurata dalla teoria che la stilizza nel ruolo di chi, perseguendo il massimo profitto, combina al meglio le risorse per produrre i beni che il mercato richiede. Se però non è concepibile un imprenditore senza. mercato è altrettanto vero che per analizzarne la figura bisogna andare oltre il calcolo della massimizzazione del suo profitto. Per Schumpeter, tra gli economisti uno dei pochi e certamente il più importante che teorizzò l'imprenditorialità, l'imprenditore è tale in quanto innovatore. Il suo atto creativo sta nell'introdurre il "nuovo" pensando a ciò che può essere "utile" sul mercato (il passaggio dall'invenzione all'innovazione). La creatività dell'imprenditore inizia dove finisce il calcolo dì ciò che per lui è più vantaggioso fare nel campo del "consueto e del provato dall'esperienza". A chi si getta nel nuovo mancano i dati per questo calcolo. L'imprenditore, per realizzare questa sua creatività, ha bisogno di grande energia per superare i dubbi che vengono dall'abbandono della consuetudine ma anche per vincere la reazione contro il cambiamento che viene dall'ambiente sociale. Per questo l'imprenditore è anche un "leader" mosso non tanto dalla motivazione utilitaristica del possesso dei beni che può comprare con la ricchezza che costruisce quanto da una "gioia di creare" unita alla volontà di vincere e di realizzare, attraverso l'impresa, "il sogno di fondare un impero privato". Questa rappresentazione si adatta all'imprenditore padrone dell'impresa che cresce, ma rimane sempre piccola rispetto al mercato. E' il capitalismo concorrenziale che emerge "dal basso", nel quale gli imprenditori operano per istinto, esprimendo quelli che Keynes chiama "animal spirits", gettandosi a testa bassa nel confronto con il mercato e dimenticando così la concorrenza che poi provvede a selezionarli. Da questo capitalismo delle nuove e piccole imprese è venuta la maggioranza delle idee di prodotti che hanno rivoluzionato la nostra vita negli ultimi due secoli e che hanno permesso una crescita economica che non ha precedenti nella storia. La selezione della concorrenza produce però grandi imprese che. acquisiscono potere sul mercato e si misurano tra di loro in un gioco tra pochi, nell'oligopolio. La competizione oligopolistica è mossa non più dall'istinto creativo dell'imprenditore ma dal calcolo del manager, dalle sue strategie di sviluppo dell'impresa basate sulle previsioni dei mercati e delle mosse dei rivali. L'innovazione perde così il suo carattere di creatività spontanea, diventa di "routine" e viene "comandata" dalla pianificazione strategica d'impresa. In questo, Schumpeter vedeva un inesorabile declino della funzione imprenditoriale e quindi di quella «distruzione creativa» che caratterizza il capitalismo con una sua mutazione morfologica che avrebbe dovuto avvicinarlo al socialismo. Una previsione che non si è avverata. Il capitalismo concorrenziale non è stato soppiantato da quello oligopolistico e quest'ultimo non ha prodotto grandi corporations incapaci di innovare. Dalla moltitudine degli imprenditori che operano nel primo continua a venire spontaneamente quella creatività che produce la gran parte delle idee più rivoluzionarie, mentre nelle grandi aziende che formano il secondo si concentra la spesa, di ricerca e sviluppo, per l'innovazione. sistematica, che spesso raccoglie quelle idee, le perfeziona adattandole alle esigenze dei mercato. Nel mondo dell'impresa troviamo quindi due tipi di creatività. Quella spontanea dell'imprenditore innovatore e quella comandata dai manager, che si esprime nelle figure dei "creativi" e dei ricercatori nelle maggiori imprese. Mentre la prima caratterizza la nascita e l'affermazione delle imprese, la seconda serve alle maggiori come arma competitiva per rimanere nell'arena in cui si misurano con pochi rivali. Nel sistema produttivo, la creatività trova piena espressione quando vi è saldatura. tra quella delle piccole imprese che, crescono e quella delle maggiori; quando cioè il "nuovo spontaneo" di successo riesce poi a organizzarsi a livello di grandi aziende. E' questo un passaggio delicato perché l'organizzazione dell'attività creativa/innovativa da parte dei manager che gestiscono l'impresa per gli azionisti costituisce una negazione di quella coincidenza tra imprenditore padrone e innovatone che è terreno fertile di creatività. E' però da questo passaggio che dipende l'inserimento stabile nella competizione globale. Se questo inserimento non avviene, successi anche straordinari di imprese nate e cresciute con idee innovative si riveleranno alla lunga effimeri. Le idee vincenti nell'arco della vita dell'imprenditore sono destinate a non ripetersi, possono generare un'impresa (capace di produrre di nuove sotto la spinta, della motivazione alla crescita propria dei manager. La scarsa capacità dì organizzare un'abbondante creatività spontanea in modo da farne uno stabile vantaggio competitivo costituisce una caratteristica distintiva dell'economia italiana. Dalla a cultura delle "cose che piacciono a molti" tipica della nostra storia fioriscono periodicamente storie di successo che tuttavìa non riescono alla lunga a consolidarsi in grandi realtà produttive in grado di generare una capacità competitiva che si autoalimenta. Il Paese famoso per i suoi straordinari prodotti alimentari non è presente ai primi livelli delle multinazionali del settore, dove invece stanno stabilmente gli svizzeri della Nestlè. Non sono imprese italiane quelle che porta per il mondo la pizza (Pizza Hut) l'espresso e il cappuccino (Starbucks). Nel "sistema moda", società svedesi, spagnole, svizzere vengono prima di quelle italiane per capitalizzazione di Borsa. Siamo capaci costruire i gioielli di Maranello ma la nostra grande industria automobilistica è andata in crisi. La depressione creativa rilevata dalla ricerca Eurisko per il convegno «Nuovo e Utile» origina al fondo dal fatto che la componente di la creatività comandata dalle maggiori imprese italiane è troppo esigua rispetto a quella spontanea che si manifesta nelle piccole. Non sorprenderebbe che, dopo la sua strepitosa affermazione, la piccola industria del "made in Italy" soffra di questa depressione, in modo analogo a ciò che periodicamente capita agli artisti. Ma un'economia non può aspettare i tempi degli artisti se non forma al vertice delle sue imprese spinte verso la cultura dell'innovazione come flusso continuo della creatività necessaria per esser competitiva. Rischia il declino, anche se dotata di talenti.