IO DONNA 4 marzo 2005 Vivere fino a cent'anni ? Ricerche, tecniche di cura e farmaci sempre più sofisticati. La corsa a rinviare la malattia e la morte è incessante. Un bioetico si interroga. E invoca un limite di Nicola d’Aquino ----------------------- La medicina non deve sostituirsi a Dio. Visto che Daniel Callahan teneva la sua lecture all'Università Cattolica di Milano, ha evitato riferimenti religiosi e non ha detto esattamente questa frase. Ma il concetto è stato chiaro a tutti. Anche perché sono anni che questo 65enne bioetico americano, fondatore e direttore del prestigioso Hastings Center di New York, docente all'Harvard Medical School e autore di 36 libri (l'ultimo in italiano è La medicina impossibile, Baldini & Castoldi) va diffondendo il credo della "medicina sostenibile" e della "sanità equa e accessibile a tutti". Facendosi parecchi nemici tra ricercatori. laboratori e industrie farmaceutiche. Io donna lo ha incontrato alla Fondazione Giannino Bassetti di Milano dove ha tenuto un seminario per docenti universitari e alti dirigenti sanitari. La ricerca scientifica non deve inseguire il sogno di eliminare malattie e morte. Ma si può fermare l'uomo nella sua continua corsa al benessere? «Guardi, una cosa è certa: se l'età media dell'essere umano fosse di cento anni, e nei paesi industrializzati l'aspettativa di vita è già quasi raddoppiata rispetto a un secolo fa, nel mio studio continuerebbero a venire pazienti per chiedermi: "Dottore, mi aiuti a vivere di più, voglio la salute di quand'ero giovane". Ma il punto è un altro: che cosa si intende per benessere? Per me significa dare maggiore enfasi a salute pubblica, prevenzione delle malattie, sviluppo di tecnologie economicamente sostenibili, assistenza domiciliare ai malati terminali, diffusione delle profilassi igieniche e della cultura della salute». Invece? «Invece il continuo e ossessivo sforzo contro i limiti della vecchiaia e della morte sta creando enormi problemi. Quei miliardi di dollari spesi nella mappatura del genoma, per esempio, vengono sottratti a ricerche nel campo della medicina sociale che, secondo me, sono molto più importanti. Penso, per citare un caso, all'obesità che sta pericolosamente aumentando nei paesi occidentali e non è certo provocata dalla ricchezza. Ma quei soldi vengono sottratti a tanti altri settori vitali della società». Quali? «L'istruzione e il lavoro, per dirne due. Ormai è dimostrato che più il livello d'istruzione di una persona è alto, maggiori sono le possibilità che le sue condizioni di salute siano buone. Idem per l'occupazione: chi è disoccupato è più a rischio salute di chi ha un lavoro decente». Il diritto alla salute, però, è sacrosanto. Portando all'estremo le sue idee non si arriva giustificare l'eutanasia? «No. Negli Usa c'è uno Stato - l'Oregon - dove l'eutanasia è legale. Ma io sono contrario. Ciò che sostengo è diverso. Stiamo sempre più percependo il diritto alla salute come il diritto alla felicità medicalmente assistita, senza considerare i limiti di ciò che è moralmente, economicamente e demograficamente sostenibile. Insomma, estenderei alla sanità il principio bioetico: non tutto ciò che può essere fatto deve essere fatto». Ma chi fermerà le industrie farmaceutiche alla caccia dell’ultimo avanzatissimo e costoso brevetto? «La politica. In Occidente i sistemi di assistenza sanitaria sono sempre più in crisi. Ormai da tempo quello americano vede i costi aumentare ogni anno del 10-15 per cento. Saranno i governi a dire: basta».