Il Sole 24 Ore 
Domenica 20 febbraio 2005
-------------------------

INCONTRI CON DANIEL CALLAHAN
IL MEDICO IMPOSSIBILE
Di Sebastiano Maffettone

Quando uscì in italiano, nel 2001 per Baldini e Castoldi, il suo
pregevole libro intitolato La medicina impossibile, ebbi
l'opportunità di discutere alcune tra le principali idee di Daniel
Callahan a proposito della medicina contemporanea sulle pagine di
questo giornale (5 agosto 2001). Mi colpiva, allora come adesso, il
fatto che Callahan, noto tra le altre cose per aver fondato lo
Hastings Center di bioetica nel New York State, avesse colto quello
che a mio parere è il senso profondo della bioetica. Sarebbe a dire
il senso del limite che morale e umanità impongo all' azione umana,
soprattutto quando scienza e tecnologia consentono nuove opportunità
di ricerca e intervento alla nostra specie. Il vecchio principio
secondo cui «non tutto quello che si può tecnicamente fare si deve
moralmente fare» mi sembrava e mi sembra essere il perno attorno sono
a cui ruota tutto l'argomento bioetico.

Da allora in poi, lo stesso Callahan è venuto smussando e precisando
questa sua idea di una medicina impossibile e della necessità di
reperire un'alternativa per la nostra società del prossimo futuro.
Nella sua visita a Milano di domani, prima in una conferenza pubblica
presso la Cattolica e poi in un seminario di studi presso la
Fondazione Bassetti, Callahan riassumerà i recenti sviluppi del suo
pensiero in proposito. Il punto di partenza è sempre il medesimo: la
crisi della medicina contemporanea e i ricorrenti progetti di
riforma, tutti vani, a suo parere. Le ragioni di questo stallo sono,
per Callahan, sostanzialmente tre: l'invecchiamento della società,
l'introduzione di nuove verità e costose tecnologie, l'incremento del
desiderio collettivo di salute e di benessere. Di queste tre ragioni,
la più importante, sempre per Callahan, è la seconda, sarebbe a dire
il progresso medico realizzabile attraverso l'innovazione
tecnologica.

Dobbiamo abbandonare l'idea di un progresso infinito e affrontare la
realtà di quella che chiama una «medicina sostenibile». Il termine
«sostenibile» è preso dall’ambientalismo, e sta a indicare un
compromesso tra sviluppo ed equità. Nel campo medico, ciò vuol dire
avere. il coraggio di rinunciare alla. cattiva utopia di un progresso
puramente tecnico in nome di una maggiore preoccupazione per i
comportamenti clinicamente rilevanti, come quelli che consentono di
evitare obesità e fumo. Oppure, avere il coraggio di rassegnarsi
all'idea di una pluralità di beni importanti, tra cui salute e vita
sono solo alcuni.

Insomma, il mero prolungamento dell'esistenza non è sufficiente
perché avere più anni di vita non equivale ad avere migliore qualità
della vita. Discorso questo che apparentemente non fa una grinza.
Anzi è coraggioso e tutt'altro che banale. Ma che urta contro
intuizioni consolidate senza riuscire a spiegare a suffi­cienza che
cosa sia questa sostenibilità di fon­do su cui dovremmo tutti
concordare.