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L'immagine si riferisce al recente dialogo sulla Governance dell'innovazione scientifica e tecnologica (da ultimo, si veda, nella sezione "Argomenti" del sito FGB, l'intervento di Luciano Butti, dal quale sono raggiungibili quelli, precedenti, di Gian Maria Borrello, Daniele Navarra e Gavino Zucca).
Gavino Zucca ha citato la favola indiana del "sentire l'elefante" proposta da Silvio Funtowicz per spiegare un assunto della cosiddetta "scienza post-normale": nessuna conoscenza da sola è sufficiente, e le considerazioni di valore diventano fondamentali accanto a quelle fondate sui fatti.
«Cinque uomini ciechi cercano di capire quale oggetto stiano toccando. Ognuno di essi ha una visione parziale e crede di riconoscere da questa un oggetto differente dalla realtà (ad esempio, la zampa è un albero, la proboscide un serpente). Solo un osservatore esterno può formarsi un'idea esatta della situazione, ma quando non vi è alcun osservatore esterno un risultato simile, o almeno paragonabile, può essere conseguito mettendo insieme tutte le osservazioni, con in più la consapevolezza di ciascuno che la propria è una visione parziale e limitata. Questa è una delle idee base della scienza post-normale. La ricerca di soluzioni politiche a problemi tecnologici e scientifici complessi richiede una partecipazione estesa in cui è importante non solo la soluzione trovata, ma anche il processo che ha condotto ad essa. Un'altra delle idee fondamentali è che intorno a ciascun problema vi è una molteplicità di prospettive legittime. Ogni sistema complesso può essere studiato solo a costo di inevitabili approssimazioni e troncamenti, e ogni scelta di questo tipo comporta naturalmente delle differenze nel modo in cui si osserva il sistema, e nella particolare visione che se ne ha. Non vi è nessuna prospettiva particolarmente privilegiata.»
Gian Maria Borrello qui osserva che...
«"Sentire l'elefante" si presta a una duplice lettura, anche ironica: sentire
l'elefante nel senso che dice Zucca è percepirne le varie parti e capire che si tratta
di un elefante; sentirlo come dice Butti può voler dire... sentirlo arrivare,
cioè sentire il pericolo che si avvicina.»
Luciano Butti, nel suo intervento sopra indicato, mette però in guardia:
«Sono ben consapevole che -- come scrive Gian Maria Borrello -- la scienza non è tutto, e che il processo democratico richiede di coinvolgere e ascoltare le voci di tutti: ma occorre anche preoccuparsi di non finire sotto l'elefante, di cui parla la favola indiana citata da Gavino Zucca.»
Questa immagine è perciò composta da due elementi: l'elefante e i ciechi
L'elefante è in realtà un simbolo positivo, di bene, castità, temperanza e saggezza. Così eccolo indugiare di fronte alla fila di ciechi che passa senza accorgersi del rischio. Riuscirà l'elefante a fermarsi? Cadrà? Perderà il controllo?
I ciechi camminano in un ambiente naturale meraviglioso ma foriero di pioggia: l'elemento ecologico, l'ambiente, infatti è uno dei principali componenti (se non il principale) delle questioni che chiamano in causa il Principio di precauzione.
I ciechi camminano seguendo ciechi: mi riferisco ad un'altra parabola antica rappresentata in una delle ultime opere di Pieter Bruegel il vecchio, conservata al Museo di Capodimonte di Napoli.
L'opera, a volte conosciuta come "La parabola dei ciechi", a volte semplicemente "I ciechi", porta il sottotitolo "Così va il mondo".
Esplicativa è una stampa conservata nella Biblioteca Casanatense di Roma dove si legge: "S'un cieco guida l'altro cieco, ambedue cascano nella fossa." E poi: "S'il Cieco al Cieco à i precipitij è guida, / A l'incauto che d'uopo hà di consiglio, / Consigliero imprudente è scorta infida."