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Scienza e Società: la Fondazione Bassetti ha partecipato al Forum della Commissione Europea 23/5/05

Science and society: the Bassetti Foundation was present at the UE's Forum

( 30 Aprile 2005 )

( scritto da Cristina Grasseni Cliccare sul link per scrivere all'autore )
23 maggio 2005: vai all'aggiornamento








 
   
(clicca sulle immagini per vederle più in grande)

Il Programma Science and society dell'Unione Europea comprende progetti finanziati dalla Commissione europea orientati a definire un comune terreno di azione rispetto alla percezione della scienza nel dominio pubblico. Il forum tenutosi a Bruxelles dal 9 all'11 marzo 2005 si è proposto di fare il punto della situazione, cinque anni dopo l'Agenda di Lisbona, sugli obiettivi di promuovere migliori connessioni tra la comunità scientifica e il pubblico, migliorando la comunicazione scientifica e la governance pubblica della ricerca e dell'innovazione.
Il forum è consistito di quattro sessioni parallele di presentazione e discussione: "Science, society and the Lisbon strategy" (vedi il paper di Massimiano Bucchi Can citizen participation enrich research policy?); "Science, technology and democracy", "Towards a culture of science communication" e "Fostering diversity, inclusiveness and equality in science". Come si vede, i temi delle sessioni riflettono i principali obiettivi sul tavolo: l'efficacia della divulgazione scientifica, l'equità dell'accesso alle carriere scientifiche e le problematiche della governance e della partecipazione pubblica alle strategie di ricerca e innovazione tecnologica.
In sessione plenaria, sono stati presentati i risultati di diversi "mirror sites" che avevano precedentemente sviluppato progetti-pilota su queste tematiche, tra cui il primo progetto italiano di Forum "Scienza e Società", realizzato dall'Associazione Observa e presentato da Federico Neresini e Valeria Arzenton, che ha coinvolto associazioni di imprese, ONG, cittadini e associazioni di pazienti in un dialogo con esperti scientifici sulla base di agende stabilite dai cittadini.
Oltre che per le sessioni di discussione, il Forum si è caratterizzato per una folta presenza di stand in una vera e propria Fiera della Scienza e della Società. Gli stand, suddivisi per temi (divulgazione scientifica, dibattiti e processi di partecipazione, accesso ai diversi gruppi della società), sono stati aperti per l'intera durata del forum e hanno presentato diversi progetti e agenzie legati ai temi del forum. Inoltre erano presenti degli stand sponsorizzati direttamente dall'Unione Europea, per informare sul Piano di Azione Scienza e Società, il Portale di Mobilità dei Ricercatori, SINAPSE (Scientific Information for Policy Support in Europe), e CORDIS, il servizio on line di ricerca e informazione sull'innovazione.
In questo ambito, tra i cinque stand ammessi a partecipare per ogni paese europeo figurava anche la Fondazione Giannino Bassetti, che ha presentato i risultati del progetto Public Participation and Governance of Innovation, (vedi l'articolo a cura del responsabile del progetto, Giuseppe Pellegrini) condotto con i partner Regione Lombardia e IRER. L'obiettivo del progetto, condotto dal luglio 2003 al settembre 2004, era quello di testare per la prima volta in Italia nuovi metodi di partecipazione dei cittadini ai processi di policy relativi a complessi problemi tecno-scientifici (come le sperimentazioni di organismi geneticamente modificati in campo aperto). La presenza di un'iniziativa "spontanea" di ricerca e sperimentazione sulla governance dell'innovazione ha suscitato molto interesse anche tra agenzie internazionali appositamente sponsorizzate per monitorare e gestire progetti analoghi in diversi paesi europei. Dal confronto con iniziative analoghe è venuta la conferma della necessità di rendere noto anche a livello europeo la particolarità di questa esperienza e di curare il coordinamento con agenzie e amministrazioni interessate a muoversi verso una direzione comune di governance dell'innovazione.


The European Union action portfolio Science and society includes projects funded by the European Commission that aim at finding a common ground of action with reference to the perception of science in the public domain. The public forum held at Bruxelles from 9th to 11th March 2005 aimed at assessing, five years after the Lisbon agenda, the results and objectives of promoting better links between the scientific community and the public, bettering scientific communication and the public governance of research and innovation.
The forum included four parallel sessions presenting and discussing papers on: "Science, society and the Lisbon strategy" (see the link to Massimiano Bucchi's paper Can citizen participation enrich research policy?); "Science, technology and democracy", "Towards a culture of science communication" and "Fostering diversity, inclusiveness and equality in science". The topics of the sessions reflect the main objectives of the agenda: fostering a culture of science communication, fostering diversity, inclusiveness and equality in science and facing the problems of science, technology and democracy by means of innovative governance and public participation.
In a plenary session, results from several "Mirror sites" were presented, each developing a pilot project on the above topics. Amongst them, the first Italian Science and Society Forum was presented by Federico Neresini and Valeria Arzenton of Observa Association (Vicenza). This project involved business associations, NGOs, citizens and patients associations in dialogue with scientific experts on the basis of an agenda set by the citizens themselves.
The Forum also hosted several showcases which accompanied the parallel sessions as a veritable Fair of Science and Society. The showcases were clustered by themes (popularisation of science, debates and participation processes, equitable access for diverse groups of society). They were open during the entire forum and presented projects and enterprises linked to the agenda of the Forum. There were also stands directly sponsored by the European Union, providing information on the Science and Society Action Plan, the Gateway for Mobility of Researchers, SINAPSE (Scientific Information for Policy Support in Europe), and CORDIS, EU's on-line service on research and innovation information on.
The Foundation Giannino Bassetti was present at the Forum with its own showcase, presenting the results of the project Public Participation and Governance of Innovation, which was led in partnership with the Region Lombardy and IRER. The objective was that of testing, for the very first time in Italy, new methods of citizen participation to the policy processes regarding complex, techno-scientific projects (such as open field GMO trials). The description of the project, which took place between July 2003 and September 2004, can be found in the abstract by Giuseppe Pellegrini, the co-ordinator of the research. This "bottom-up" initiative on the governance of innovation has attracted a lot of interest, also from international agencies that are sponsored to monitor and manage analogous projects in the European countries. From a comparison with similar initiatives the need has emerged to make known at the European level the specificity of this approach, and to foster the co-ordination with agencies and local administrations that are interested in a common approach to the governance of innovation.

La pagina di questo sito che raggruppa tutti i link relativi al Progetto "Partecipazione Pubblica e Governance dell'Innovazione".

The page in this site that collects all the links concerning the Project "Public Participation and the Governance of Innovation: evaluation of a procedure for citizens' involvement".


Aggiornamento del 23 maggio 2005
Per saperne di più sul Programma Science and Society si può partire dalla pagina introduttiva pubblicata nel sito della Commissione Europea, dove il menu di navigazione è indicativo sul taglio e gli obbiettivi:
Introduction
Science & governance
Ethics
Scientific awareness
Youth & science
Women & science
Action plan

Nel sito di Observa, invece, si può trovare il "rapporto completo", con i dettagli e le conclusioni, del Primo Forum Italiano Scienza e Società, oltre ad ulteriori contributi sul Forum della UE.

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La partecipazione dei cittadini può arricchire le politiche della ricerca?
(Intervento nella sessione "Scienza, società e la strategia di Lisbona" - Forum "Science in Society" - Bruxelles, 10 marzo 2005)

Can Citizen Participation Enrich Research Policy?
(Session: "Science, Society and the Lisbon Strategy" - "Science in Society" Forum, Brussels, 10th March 2005)

( 30 Aprile 2005 )

( scritto da Massimiano Bucchi Cliccare sul link per scrivere all'autore )
Energia nucleare, OGM, cellule staminali: quanto più la scienza avanza, tanto più sembra trovare resistenza da parte della società. Si dice e si sente spesso ripetere che questa visione è stata superata da sempre più sofisticate analisi delle relazioni esistenti tra ricerca e cittadini.
Da un certo punto di vista, in effetti, si potrebbe tracciare la storia delle definizioni di policy in quest'area analizzando le trasformazioni linguistiche nei documenti dell'EU e nei relativi programmi di finanziamento: da "consapevolezza pubblica della scienza" a "dialogo", da "scienza e società" a "scienza nella società".
Tuttavia, per citare le recenti conclusioni di un influente gruppo di scienziati europei: "Un lezione che emerge dopo decenni di controversie (ogm, cellule staminali, tecnologie per la riproduzione) è che ricerca, sviluppo e innovazione non possono prosperare bene di fronte ad una opposizione sociale nei confronti della scienza" (Conclusione del Gruppo Europeo per le Scienze della Vita, dicembre 2004).
Più o meno esplicitamente, i rapporti sulle relazioni tra scienza e società tendono a dare l'impressione che la partecipazione e la mobilitazione dei cittadini siano percepite per lo più come un potenziale ostacolo per ricerca e innovazione, un ostacolo che deve essere rimosso o preventivato attraverso iniziative appropriate.
Crescono tuttavia esempi di cittadini che sostengono attivamente la ricerca. Basti pensare al contributo, sia in termini di sovvenzioni che di coinvolgimento personale, dato alla ricerca per il cancro o l'AIDS, oppure, più recentemente, ad associazioni di grande successo come Telethon o l'Associazione per la Distrofia Muscolare in Francia (AMF), che hanno ottenuto straordinari risultati nel promuovere la ricerca su patologie particolari che non sarebbe stata altrimenti intrapresa né dalla ricerca pubblica, né da quella privata.
La società è quindi ottusa, ma solo in determinati casi? E che dire allora delle organizzazioni di pazienti e omosessuali che hanno fortemente influenzato la sperimentazione di medicinali anti AIDS, ottenendo per esempio procedure abbreviate di autorizzazione ai farmaci oppure rifiutando il placebo? Sebbene alcuni possano classificare questi casi come "scienza impura", sono proprio le medesime condizioni che rendono oggi possibile un ampio dibattito pubblico sulle biotecnologie, ad aver reso possibile il supporto e il finanziamento per la ricerca sul cancro e l'AIDS su una scala mai raggiunta in precedenza nella storia della ricerca biomedica. La partecipazione dei cittadini può essere oggi - e probabilmente lo sarà sempre di più in futuro - una risorsa importante per promuovere e rafforzare la ricerca in un'Europa democratica.
Dobbiamo però capire che la partecipazione dei cittadini non è un semplice pulsante da premere, un processo che può essere attivato o disattivato facilmente sulla base dei bisogni di una politica della ricerca definita altrove: il punto di vista dei cittadini non è un problema di cui preoccuparsi "a decisione avvenuta", la società non entra in gioco una volta che la scienza è definita.
Una delle ragioni per cui ciò non ha senso è che la partecipazione dei cittadini in ambito scientifico sta già avvenendo - che questo ci piaccia o meno, che noi lo incoraggiamo o meno. Le politiche della ricerca in un'Europa democratica devono prendere in considerazione il punto di vista dei cittadinigià nelle loro fasi iniziali, a monte del processo decisionale politico.
Una società della conoscenza, oggi, è non solo "compatibile" con una società democratica. Una società della conoscenza, oggi, non può esistere senza una società davvero democratica in tutti i suoi meccanismi, inclusa la governance della conoscenza.

Nuclear power, GMOs, stem cells: the more science advances, the more society seems to make resistance. We often say and hear that this vision has been surpassed by increasingly sophisticated analyses of the relationships between research and the citizens. Indeed, one could trace the history of the policy framing of such relationships by analysing the linguistic shifts in EU documents and funding schemes: from "public awareness of science", to "dialogue", from "science and society" to "science in society".
Still, to quote the recent conclusion by an influential group of European Scientists "One lesson to emerge after a decade of controversies (GM food, stem cells, reproductive technologies...) is that research, development and innovation can hardly prosper in the face of social opposition to science" (Conclusions of the European Group of Life Sciences, dec. 2004).
More or less explicitly, accounts of science and society relationships often convey an impression that citizen participation and mobilization are largely perceived as a potential obstacle for research and innovation, to be as far as possible prevented or removed by virtue of appropriate initiatives.
However, examples are growing of citizens actively supporting research. Think about the contribution given, in terms of fund raising or personal involvement, to cancer or aids research, or, more recently, to the success of associations like Telethon or the Association for Muscular Dystrophy in France (AMF) in promoting research on particular pathologies that both public and private research would have otherwise never undertaken.
So is society dumb, but only in certain cases? What about the patient and homosexual organizations that, in the US, massively influenced the agenda of anti-aids drug trial tests, obtaining for instance abbreviated drug authorization procedures or rejecting placebos. Although some may disregard this as 'impure science' the very same conditions that today make possible a wide public debate on biotechnologies did make possible to support and fund cancer or aids research on an unprecedented scale in the history of medical research.
Citizen participation can be today - and is likely to be even more so in the future - an important resource to promote and strengthen research in a democratic Europe. However, we have to understand that citizen participation, however, is not an easy button to push, something which can be easily activated or deactivated according to the needs of a research policy that is defined elsewhere, Citizens' point of view is not a problem to worry about 'after the fact': society does not come into play once science is made. One of the reasons why this does not make sense is that citizen participation is already happening - whether we like it or not, whether we encourage it or not.
Policy research in a democratic Europe has to take into account citizens' point of view since its early stages, upstream the policy process.
A knowledge society, today, is not only compatible with a democratic society. A knowledge society, today, cannot exist without a society which is truly democratic in all of its processes, including the governance of knowledge.

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Innovation, Responsibility and Medicine: Interview with Daniel Callahan

( 20 Aprile 2005 )

( scritto da Cristina Grasseni Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Daniel Callahan presso la Fondazione Bassetti



The Fondazione Bassetti's  INTERVIEWS : encounters with famous innovators

Le  INTERVISTE  della Fondazione Bassetti: incontri da vicino con famosi esponenti di idee innovative.

Precedenti interviste -- Previous Interviews:

Interview with Bruno Latour (by Margherita Fronte, 17 November 2003): see the box at the right
Intervista a Bruno Latour (di Margherita Fronte, 17 novembre 2003)

Intervista a Richard R. Nelson (di Margherita Fronte, 17 giugno 2002)
Interview with Richard R. Nelson (by Margherita Fronte, 17th June 2002)

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About "Innovation, Responsibility and Medicine", see also...

Su "Innovazione, Responsabilità e Medicina", vedi anche...

The Daniel Callahan Lecture and the Call for Comments
La Lecture di Daniel Callahan e il connesso Call for Comments.

The Programme of the Lecture helded on 21th February 2005 at Università Cattolica in Milan
Il Programma della Lecture tenutasi all'Università Cattolica il 21 febbraio 2005.

The Call for Comments about Daniel Callahan's thesis: The implications of innovation in the health field: false hopes for medicine?
Il Call for Comments sulle tesi di Daniel Callahan: Le implicazioni dell'innovazione nel settore sanitario: una medicina impossibile?

Daniel Callahan's Lecture: text and photos
Lecture di Daniel Callahan: testo e fotografie

Innovation, Responsibility and Medicine: Seminar, 21th February, Bassetti Foundation, Milan [in Italian]
Innovazione, Responsabilità e Medicina: Seminario del 21 febbraio 2005 presso la sede della Fondazione Bassetti

Press coverage in the Bertolini's blog [in Italian]
Nella Rassegna stampa di Vittorio Bertolini:
- Medici e innovazione tecnologica: un sondaggio del Censis e del Forum biomedico
- La Lecture di Daniel Callahan sulla stampa (1)
- La Lecture di Daniel Callahan sulla stampa (2)
- La Lecture di Daniel Callahan sulla stampa (3)

        Cristina Grasseni
Let's start with a question that is relevant to the aims and interests of the FGB, which is discussing responsibility in innovation. How would you relate it to your own interests?


        Daniel Callahan
I have long had a fascination with technology and particularly its power to change the way we live our lives, whether we want the changes or not. Medical technology is particularly interesting, because we use it to deal with illness, suffering, and death. It is one of the main ways medical progress moves forward. Like everyone else I am prone to seek and buy the latest technologies, even if I recognize they may not do me much good.

Do you think that in the health sector there's a case for irresponsible innovation?

I can think of few instances of irresponsible innovation. Most individual technologies make considerable sense, and are by themselves not at all irresponsible. The problem with technological innovations usually comes from their over-use (too many automobiles now in many countries), their cost in the aggregate (thousands of people making use of hundreds of expensive medical technologies, many of them making little actual contribution to health), and their tendency to introduce a social bias of one kind or another (spending too much on medical innovation at the cost of needed innovation in the teaching of children). The state of California will spend $3 billion on stem cell research, which may not result in important medical innovations, but not spend the same amount educating the estimated 2.5 million people in that state who are illiterate and thus doomed to poor jobs and poverty.

You discuss the issue in term of sustainability. In our cfc some of the comments were asking, isn't this just a problem of reallocating resources? If there is a priority for health, shouldn't we look at the ways costs are generated? Or just find more money for it?

Economists have long pointed out that there is a direct correlation between money spent on health care and the economic affluence of different societies. But at present even affluent societies are having trouble paying for constant and often large annual increases in health care costs. It is unsustainable for a society to allow its health care costs go up each year at a rate faster than the general cost-of-living increases. The most common response is to attempt to eliminate inefficiencies in the health care system. But this has been tried for many decades now with only moderate success. The main reason for the cost increase is that of new technologies, ever new medical innovations. I believe that is where the effort at change and reform must be directed. But that is hard for many people to accept. Of course taxes can be raised to keep up, but there is finally a limit to what taxpayers will put up with, even it might mean better health services. I believe many countries have already reached that point. The importance of the concept of sustainability is to force us to understand we need to find a long-term solution to the cost problem, and that will mean finding a way to limit excessive cost increases over the long run.

What about the profits of the pharmaceutical industries? Public spending in the health sector is going up because someone is making such high profits as 15.5%

The multinational drug companies complain, often bitterly, about the price controls placed on drugs in Europe--and Americans often complain that our high prices are paying for the research that Europeans (and Americans of course) benefit from. Drug companies have been immensely profitable, but that has changed over the past 2-3 years. I am not sympathetic to the drug company complaints about efforts to control the prices paid for drugs. Many other industries have flourished--such a computers--with a much smaller profit margin. Moreover, many drug company costs come from developing new drugs that are only marginally, if at all, better than the old ones.

Sure, that comes out very clearly from your book. But let's take an example. Let's take infertility treatments. You say clearly in your book that there shouldn't be a priority of public spending to make infertility treatments available to all. That is one thing. Another thing altogether would be not to do a type of research that makes this treatment available, at least potentially, at all.

I don't think we can stop this kind of research. It will get funding somewhere because there is market for it. But I think we need to get people to have a better understanding of why they need infertility treatment in the first place. One cause is late procreation: too many women over 35 trying to have their first baby. If we got women to get babies at 21 or 22 we would not have infertility problems. The other one is sexually transmitted diseases. Both of these make it a public health problem. which we have unfortunately turned into a medical problem. If you want to have delay having babies till 40, you may need infertility treatment. I think this is a very interesting example, in fact, because sometime there are expensive medical interventions due to people having poor health behaviour. Expensive lung cancer treatments mainly come about because of unhealthy smoking habits. We need to stop the smoking and not depend upon medicine to find a cure for lung cancer.

Yes but, the alternative to infertility treatments is to change the social conditions by which women find themselves choosing between a career and having babies. Would that cost less than infertility treatments?

It's very difficult to change the whole society, securing support to women, childcare, etc. It's an endless in debate in every country I have been in. But I guess it's still a question to what extent you encourage the continuation of such behaviour by supporting it. If the government said 'we are sorry for you, and we understand you need to get a degree before you have your babies. But you made that choice; you did not have to pursue that career. If this is a lifestyle choice that gets you to have babies with great difficulty at age 40, we should not pay for it'. You still have a lot of women who have their babies after higher education, they are less educated when they have their babies but they are happy with it. In Southern Italy you still have a lot of women getting their first babies at 21, with many fewer needing infertility treatment.

It seems to me that the kind of reform of medicine and of health care that you advocate actually require a radical rethinking of our society. It's not a question of appeasing one lobby or another. Who should decide how to do it? The medical professions? A committee of people like you?

In the US we have three ways people get their health care paid for. Mostly it is our employers that pay for your health care; about 60% of people get health care this way. Medicaid is a government programme for the poor, in which case it is the state that decides how much to spend for their health. At the federal government level, Medicare programme is for people over 65. If it's the state that pays, it decides how much to spend and on what. If it's the employers, they have to make decisions about what they are prepared to cover--and if it is the government it has to make the same kind of decision. We have debates at the moment because, due to cost pressure, the employers are reducing benefits. Here your health care system is mainly supported by taxes and there's some private health care available. So it should be the state that decides how much it is going to support e.g. infertility treatments, how many cycles of in vitro fertilisation etc. It is an interesting example because it is a very expensive and not very successful treatment. Maybe 25% succeed. And it costs 10 to 20 thousand dollars per treatment cycle (at least in the US), and sometimes 3-4 cycles are necessary for success.

I have a question about educating people. In your book you talk about investing more on public health. What do you mean by that?

I am referring to what is often called a "population perspective"on health; that is, what can we do to improve the general health of society, not simply helping individuals?.We know, for instance, that organ transplantations work exceedingly well on a small minority of people but the impact overall on a nation's mortality rate is minimal. We should invest money in what makes the most difference statistically, particularly when the cost is worn by the entire society. This is a public health and population perspective.

There's a strong educational aspect to it...

A lot of behavioural changes come about from educating the public about public health, but for a lot of these issues education doesn't work very well. It's worked moderately well on smoking, but in most countries it has taken the additional force of law to get at those smokers who do not respond to education programs. I notice there's no smoking in restaurant here, I don't see anyone smoking here?

It's a new law...

Smoking is an easy case, but how would you pass laws on eating to reduce obesity or on exercising? How are you going to convince people to jog every day?

Would you recommend that some specific agency take the reins on these aspects?

In the US now, some companies are taking a leadership role. For instance, in some cases if an employee is overweight, he can lose his job. In case of seriously overweight employees, they will provide employees with help to lose weight but if you haven't succeeded after 6 month you can get discharged. This is happening in few companies. In most companies it's forbidden to smoke at work, but in a few cases they even test people to see if they smoke at home, in which case they are going to fire you. It's a small minority of course, about 1% of companies, but there's a lot of attention on them, especially because of the court case they are going to attract and the controversy they have engendered. But the employers have good evidence that smokers cost them more in terms of health costs--so if smokers cost a company 20% more than everybody else, they feel they should not bear those additional costs. Unfortunately, just lecturing people won't always change their habits.

There's such an obviously political side to this. The debate takes a different shape according to the political model of citizenship you take. You talk about market and solidarity models of health care. And you talk about the differences about Americans and Europeans, the latter thinking of public health as solidarity. If anyone thought pragmatically about implementing the reforms you advocate, don't you think it would create such political unrest that they would be non implementable?

That's true with any other revolutionary ideas. You have to wait for the right moment. In the US, the number of uninsured people, 45 million, is rising. You need a moment of great crisis. In our country only some very serious crisis will make people, particularly the middle classes, prepared to change radically. 85% of Americans are well insured. They don't care too much about the 45 million uninsured, who are near-poor people. They are not going to change the entire system to help that 15%. But more people are amenable to the idea of taking more drastic steps to control smoking because they realize that cancer and heart problems from smoking add to everyone's health care costs.

How would you combine the private and public sector then?

In our society, nobody can agree on the right mix. They don't like government to take the guide. The net result is no one gets anywhere. It's a stalemate. For that reason I much prefer the European systems, which gives the government considerably more control of the health care system.

What would be your model for a virtuous relationship?

I have just finished a new book on the impact of the market on health care and what I say is the European healthcare systems and Canada's are infinitely superior to the US. Everybody is covered, and you get better health care for less money. The average American believes they have the best system in the world. We do have the best hospitals but that does not make it good for the average person, particularly if they do not have much money. If you don't have good coverage and you go into the emergency room with a broken leg they'll just send you a 5000 dollar bill and put you on drugs for the rest of your life that cost 300 dollar a month. But the European system is in trouble because of the cost pressures. My picture is that the US is struggling to climb up the mountain of universal health care, and the Europeans are trying to hang on, to keep up there. The market gets very attractive in Europe because this way the government gets rid of some of the costs. It's a very interesting drama unfolding, interesting for me to see how you all keep it and to see what we get.

But about the strategy of privatisation to cut costs, if health care provisions were more geared towards long term strategies as you suggest, these would not be attractive to the private sector...

There's no money to be made in prevention. The perfect drug for companies is for arthritis: if you get at 45, it does not get away, and you need to increase doses to relieve the pain. They certainly don't make their money by stopping you smoking or decreasing adolescent smoking. There's no profit in prevention, and it does not excite people to get to think about what may happen to the in 25-40 year's time. A cure for cancer is much more attractive.

It seems to me whichever way you approach the problem, one reaches the same conclusion: the privileged, the rich, get the best...

The rich always win. They get the best cars, the best hospitals and so on. I knew a very wealth NY layer who got leukaemia and discovered there was an experimental treatment in Israel. For one year he flew once a week to Israel by Concord (at $8000 dollar per leg) to get the treatment; and it saved his life. The issue is how big is the gap between rich and poor. I live in NYC on the Hudson River, every night there is a stream of helicopter that a few rich people use to avoid traffic jams. That does not bother me. It is when the gap between rich and poor gets too big, with the poor hurting that the real problem emerges.

And what about the developing countries?

There's a chapter about it in my new book. By the 1980s most of them had a certain primitive level of universal care that worked reasonably well at an affordable price for the countries. Then they shifted to a market model, often spurred on by the World Bank. That meant in great part privatising the health care systems--but in the process often all but destroying the government system The private system would siphon off the better doctors from the public system, as well as the interest of the more affluent in the public system, which they ceased to use. Take China, where they had the barefoot doctors providing primary care. They had a good public system, but they dropped the whole thing especially in rural areas.

Just a few questions that were raised in the call for comments and during the debate online. How would you preserve informed consent and the right of patients? What role should the doctors play?

The doctor-patient relationship is an important one. Usually people like to choose their own doctor, though there's no research that says you get a better health care that way. The doctor should also get to practice medicine the way he wants without too much interference. If you have the state in charge you are going to have some limitations and control on how much technology is going to be available in your region. I think you should allow a fair amount of free choice, though not too much otherwise patients will want all sorts of expensive treatments that the government will not be able to pay for. In many countries there's a gate keeper in primary health, usually a primary care doctor who controls access to specialist treatments. Many patients do not like that limitation, but it does help to hold down costs.

In the environmentalist debate, 'sustainability' is a word applied to limited resources. Is it applicable to things we produce ourselves, like technology?

You can measure how much air we need to breath, but how much health care do we need? People's aspirations for better health are potentially infinite. They don't want to die, they don't want to get sick. Progress keeps raising the standards of good health. We keep wanting more, and more, and more. Infertility relief was something unthinkable 40 years ago, you simply could not have children.
I think the crucial question in the environmental movement is that of "limits to growth". I believe we have a similar problem with health care: we need to find a way to limit the development of new and expensive technologies as well as educate people to know that, however important health is to them as individuals, societies will have to set limits to what it can pay to satisfy our infinite desires.

Are you aware of experimental forms of discussing with the citizens what should be done and deciding democratically? What do you think of them?

The public, which ultimately pays for health care, must have a role. The best method I know of is to work with samll groups, giving them good information, allowing time for discussion and analysis and then, in the end asking for their judgment. It is an expensive method, but nothing else seems to work as well with the complexities of health care.

Do you really think that the European systems are the result of communitarism and of a solidarity frame of mind, and not, for instance, of political results of a history of social struggles?

Well, you have much better welfare programmes than we do, all sorts of welfare programmes in fact. You are much more prepared to take care of each other. Americans don't feel badly enough about poor people. If people get sick and don't have jobs, Americans tend to l think they should just have worked harder. should the taxpayers support them? But even in Europe there is now a lot of agitation about welfare policies, including health care. The European value of solidarity has been important as a foundation for health care systems. But I sense that, unless the European countries find better ways to control costs, solidarity will weaken as a value, and could bring a greater use of market practices. The ultimate problem is that, in developed countries we have an infinity view of medical progress, that is, the view that we should always seek more and better health whatever the costs. That view is now being challenged by the cost problem, and every country will be forced to reconsider it. There is no other future option.

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Innovazione, Responsabilità e Medicina: Seminario del 21 febbraio 2005

( 16 Aprile 2005 )

( scritto da Cristina Grasseni Cliccare sul link per scrivere all'autore )
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21 febbraio 2005: seminario di Daniel Callahan presso la Fondazione Bassetti
Piero Bassetti e Daniel Callahan
21 febbraio 2005: seminario di Daniel Callahan presso la Fondazione Bassetti
Massimiano Bucchi, Piero Bassetti e Daniel Callahan
Piero Bassetti e Daniel Callahan
Piero Bassetti e Daniel Callahan
Piero Bassetti e Daniel Callahan
Piero Bassetti e Daniel Callahan
21 febbraio 2005: seminario di Daniel Callahan presso la Fondazione Bassetti


I  SEMINARI  della Fondazione Bassetti: una formula innovativa e di qualità per discutere di innovazione

Precedente seminario:

Processi decisionali e democrazia: modalità di coinvolgimento degli attori sociali e dei cittadini (2 novembre 2004)

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Su Innovazione, Responsabilità e Medicina, vedi anche...

L'articolo del 18 gennaio con la presentazione dell'intera iniziativa.

Il Programma della Lecture tenutasi all'Università Cattolica il 21 febbraio 2005.

Il Call for Comments collegato alla Lecture di Daniel Callahan.

Lecture di Daniel Callahan: testo e fotografie -- Daniel Callahan's Lecture: text and photos

Nella Rassegna stampa di Vittorio Bertolini:
- Medici e innovazione tecnologica: un sondaggio del Censis e del Forum biomedico
- La Lecture di Daniel Callahan sulla stampa (1)
- La Lecture di Daniel Callahan sulla stampa (2)
- La Lecture di Daniel Callahan sulla stampa (3)

Si è tenuto presso la sede della Fondazione Bassetti in via Barozzi 4, il 21 febbraio 2005 alle ore 15.00, il seminario ristretto di discussione con il Professor Daniel Callahan, a seguire dalla sua lecture su Innovazione, Responsabilità e Medicina tenutasi presso l'Università Cattolica la mattina stessa.
Hanno partecipato Roberto Bernabei, Professore di Geriatria alla Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Gianluca Bocchi, Professore di Filosofia della Scienza all'Università degli Studi di Bergamo, Luigi Campiglio, Prorettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Cesare Catananti, Direttore Sanitario del Policlinico Gemelli di Roma, Mario Garraffo, Senior Adviser della General Electric Italia, Giulio Giorello, Professore di Logica e Filosofia della Scienza all'Università degli Studi di Milano, Mario Greco, Amministratore Delegato RAS, Edoardo Jacucci, Ricercatore presso la Facoltà di Matematica e Scienze Naturali dell'Università di Oslo, Sebastiano Maffettone, Professore di Filosofia politica presso la Luiss Guido Carli (Roma), Luigi Orsenigo, Professore di Economia Industriale all'Università di Brescia, Riccardo Pulselli, Dottorando in Scienze Chimiche all'Università degli Studi di Siena, Luciano Ravera, Direttore Generale dell'Istituto Clinico Humanitas (Milano), Giuseppe Remuzzi, Coordinatore delle ricerche del Laboratorio Negri, Bergamo, Alberto Scanni, Professore di Oncologia Medica e Chemioterapia all'Ospedale Fatebenefratelli (Milano), Maria Chiara Tallacchini, Professore di Scienza, Tecnologia e Diritto all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Marco Vitale, Presidente Onorario dell'AIFI - Associazione Italiana degli Investitori Istituzionali nel Capitale di Rischio (Milano). Per la Fondazione Bassetti erano presenti Piero Bassetti, Presidente, Massimiano Bucchi, docente di Sociologia della Scienza all'Università degli Studi di Trento e Cristina Grasseni, Ricercatrice in Antropologia Culturale all'Università degli Studi di Bergamo.
Ha aperto i lavori Daniel Callahan con una breve ripresa dei temi della lecture del mattino, soffermandosi sui contenuti affrontati nei due libri che sono seguiti a False Hopes (l'unico libro di Callahan tradotto per il grande pubblico italiano con il titolo La medicina impossibile da Baldini e Castoldi). La tesi principale, per esempio in What prize better health è che il dibattito sulla ricerca scientifica non dovrebbe esclusivamente essere condotto sulla base di considerazioni morali ma anche di un'analisi costi-benefici, cioè di quanto beneficio certe linee di ricerca possano portare in termini di applicazioni mediche a larghi settori della popolazione.

Si tratta in altre parole di bilanciare il diritto di scelta (choice) con quello di accesso equo (equity), laddove tra i sistemi sanitari mondiali quelli europei sono maggiormente sbilanciati sulla equità dell'accesso, e quello americano sulla scelta. Tutto ciò in un contesto culturale in cui il progresso medico è un valore mai messo in dubbio e si è imposta ormai l'idea che non è immorale guadagnare nel settore sanitario (il reddito di un cardiologo negli Stati Uniti si aggira tra il mezzo e il milione di dollari annui). Si tratta di capire se non si possa stabilire uno stato stazionario (a steady state) che sia soddisfacente per i più.
Tra le reazioni, quella di Maffettone si sofferma su un'analisi di ciò che Callahan può effettivamente intendere per sostenibilità della medicina: come si stabilisce la lista delle risorse da preservare, a priori o a posteriori? Con procedure calate dall'alto che possono sfociare nel paternalismo o attraverso procedure democratiche che determinano innanzitutto i valori sulla base dei quali le risorse vengono di volta in volta identificate? Non si tratta qui solo di problemi di finanza e tecnologia, ma di scegliere tra cornici liberali o autoritarie in cui collocare i valori dell'educazione e della responsabilità personale.
Vitale sottolinea l'importanza della tesi per cui dovremmo rieducarci ad accettare la morte come parte della vita, ma enfatizza che ciò non deve partire dalla semplice constatazione dei costi economici. Non si computano mai i risparmi e i ritorni dovuti agli investimenti sanitari. Per esempio, il ritorno economico dell'abolizione della malaria. La diversità dei sistemi sanitari americano ed europei è fondamentale, e non è detto che si debba dare per scontato che i secondi siano votati alla bancarotta. Il sistema americano costa il doppio di quelli europei ed è molto meno equo. Inoltre negli Stati Uniti è attiva la lobby farmaceutica, la seconda per potenza, che protegge tra l'altro i salari astronomici dei medici. Il motivo per cui il modello europeo funziona meglio non è la vocazione solidale degli europei, ma il fatto che il sistema funziona su base cooperativa, attraverso l'imposizione di tasse. In Italia per esempio si è tenuto conto della tendenza demografica fino al 2050 e proiettato un incremento delle risorse destinate all'assistenza sanitaria del 10%, parte grazie a risorse private - un incremento accettabile considerando anche l'incidenza enorme dei costi di cattiva amministrazione che sono quelli su cui ci si potrebbe concentrare. La preoccupazione maggiore di Vitale comunque al di là dei dati concreti è l'impostazione di fondo del discorso della responsabilizzazione coatta dell'individuo, in quanto potrebbe sfociare in un "fascismo sanitario", una "teologia clinica".
Callahan di contro fa notare come sia possibile in America per un datore di lavoro formulare un business argument secondo cui, poichè è il datore di lavoro a pagare i costi dell'assicurazione sanitaria dei dipendenti, se il dipendente fuma o è obeso costerà circa il 20% in più in polizze e interventi, per cui è legittimo imporre ai dipendenti di non fumare o di prendere misure per ridurre il proprio peso. Le misure anti-fumo recentemente prese in Italia sono a beneficio dei costi sostenuti dalla società per le malattie causate dal fumo e non sono percepite come "fasciste". I prezzi, e non i costi, del sistema sanitario americano sono piu' alti, e questo è dovuto soprattutto all'incidenza delle grandi tecnologie.
La ripresa di Orsenigo si chiede quanto le tesi di Callahan dipendano da considerazioni economiche e quanto da altre argomentazioni etiche o mediche. Una argomentazione principalmente economica pone molti problemi. Siamo di fronte ad un problema di "economia dei diritti umani", il che è un ossimoro nella scienza economica: i diritti umani sono beni che non hanno prezzo ma sono costosi.
Callahan tuttavia fa notare come la ricaduta pragmatica di un approccio di questo genere è il fatto che, poichè la gente non vuole pagare tasse alte per finanziare un servizio che assicuri a tutti il rispetto dei diritti, i costi delle coperture assicurative rimangono alti e ciò causa il problema americano di avere larghi settori della popolazione scoperti da qualsiasi forma di assistenza. Inoltre c'è il problema di stabilire un limite ai diritti: avere un trapianto di cuore assicurato a 90 anni sarebbe un diritto?
Bernabei sottolinea come il problema sia proprio quello di un cambiamento delle società industrializzate nel senso di un invecchiamento della popolazione. In Italia il 20% della popolazione è over 65. Se si considera che i test clinici sui medicinali escludono per definizione gli over 70, ci rendiamo conto che lo stesso concetto di evidence-based medicine in realtà non tiene conto di come stia cambiando il mondo. Piuttosto, occorre tenere sempre piu' in considerazione l'erogazione di "care" laddove viene a mancare spazio per erogare "cure". Per i sistemi di care, come per esempio l'assistenza domiciliare, non ci sono protocolli o standard di riferimento.
Secondo Callahan, inoltre, il problema dell'invecchiamento solleva ulteriori questioni di equità: è giusto che un bambino di 9 anni debba competere per le stesse risorse con un uomo che ha già vissuto 90 anni?
Garraffo aggiunge che gli usi della biologia molecolare nella diagnosi precoce delle malattie possono anche comportare un rischio di selezione negativa da parte delle assicurazioni. Dal 3 al 5% dei costi sanitari è dovuto a cause legali, e alle pratiche di super-trattamento e super-diagnosi che si ingenerano per evitare ricorsi.
Tallacchini riporta il dibattito alla questione dei processi decisionali. Chi dovrebbe porre dei limiti? Come si decidono le preferenze? Ciò ci porta a porre particolare attenzione alle sperimentazioni in atto sulle procedure di partecipazione democratica, di condivisione della responsabilità e di clinical governance. Il governo britannico sta portando avanti un'iniziativa di condivisione di responsabilità e di conoscenza con il "paziente esperto", una figura che si forma favorendo tra l'altro la messa in rete delle esperienze di pazienti con la stessa malattia. Questo cambiamento di orientamento si vede anche in relazione a soggetti "problematici" come i Testimoni di Geova, rispetto ai quali si è passati dalla trasfusione coatta all'ascolto di comitati di pazienti presenti negli ospedali. L'idea è che le decisioni top-down possono essere sostituite da idee e procedure innovative di decisione che possono venire dai cittadini. Per cui piuttosto che tematizzare il problema di "educare il cittadino" occorre mettere in atto circuiti virtuosi attraverso i quali il cittadino educa se stesso.
Callahan nota come per esempio negli Stati Uniti ci si stia muovendo verso un maggiore controllo dei prezzi dei medicinali e come questo sia il risultato della mobilitazione dei pazienti in reazione al fatto che spesso le polizze assicurative non coprono questi costi.
Bucchi solleva però il problema di come si possa imporre l'agenda della sostenibilità della medicina, laddove non c'è un ovvio soggetto sociale che se ne faccia portatore (come è stato il caso in altre trasformazioni culturali come il femminismo o i movimenti contro la discriminazione razziale).
Campiglio sottolinea come nel caso dell'Italia un soggetto sociale sia quello degli anziani: nel 2050 ci saranno 7 milioni di over 80 (ora ce ne sono 3 milioni). Per loro il problema non è quello del rischio ma dell'incertezza del futuro, che dipende dalla loro capacità di risparmio.
Bassetti riporta il dibattito al tema dell'innovazione: come impattano le trasformazioni dovute all'innovazione medica (ingegneria genetica, tecnologia diagnostica, microchirurgia) sullo sviluppo dello stesso sistema? La logica di chi introduce innovazione (scienziati, ingegneri, capitalisti sanitari) non è quella dell'assistenza medica ma quella del profit-making. D'altronde la logica di chi ne paga i costi non è quella di mercato. Infatti il paziente non è un cliente, un consumatore che possa davvero scegliere, intervenendo quindi sulla determinazione dei prezzi. Quindi né dal mercato né dalla legge allo stato attuale delle cose provengono incentivi alla responsabilizzazione. Chi si prenderà la responsabilità politica di controllare l'innovazione spostando risorse?
Secondo Jacucci non è detto, a differenza di quanto sostiene Callahan, che non si possa correggere il sistema con i soli mezzi dell'innovazione amministrativa. L'informatica medica per esempio promette di aiutare a gestire in maniera piu' economica il sistema. E la storia insegna che l'introduzione dell'innovazione chiave al momento giusto cambia il quadro intero di riferimento. Analogamente, ma sul versante dell'innovazione scientifica, Giorello ricorda che nuove tecnologie spesso permettono costi piu' bassi. Non è proprio possibile pensare che la medicina, come la scienza, scopra in se stessa i propri limiti senza doverli imporre dall'esterno? Anche Ravera sostiene come migliore gestione e tecnologie informatiche permettono di liberare molte risorse, non solo, ma di trasformare l'intero sistema-ospedale.
Per Callahan la logica della medicina è inevitabilmente legata all'individualismo dei singoli. Ci sono attualmente soggetti che si possono permettere cure migliori di quelle offerte dai sistemi pubblici. Il desiderio di ottenere sempre migliori trattamenti e prestazioni non ha limiti. Le soluzioni di gestione non permetteranno comunque di pagare un paziente di asma perchè si trasferisca armi e bagagli in un clima piu' consono alla sua salute. Inoltre un'economia di scala non si applica ai costi della medicina perchè un trattamento anche piu' economico che non in passato, ma che venga offerto a tutti, costa comunque molto alla società intera. Nella cultura americana i vincoli burocratici e amministrativi che di fatto imponiamo ai pazienti in Europa sarebbero impensabili: per esempio il fatto di passare dal medico di famiglia per la scelta di uno specialista. L'individualismo medico in America è molto piu' spiccato. Questo significa per esempio che molti pazienti in dialisi ricevono questo trattamento solo per beneficiare di due mesi in piu' di vita.
Remuzzi ricorda che l'industra farmaceutica è regolata dal profitto, e che la ricerca ha bisogno di essere piu' indipendente dall'industria. Non si fa praticamente ricerca sulle malattie tropicali, mentre AIDS e malaria sono problemi gravi in Africa. Occorrono agenzie indipendenti e basate sulla ricerca che tutelino i pazienti da situazioni come quella emersa recentemente a proposito del VIOXX.
Catananti ricorda inoltre che il diritto alla salute da noi è costituzionalmente sancito. Inoltre non sembra che i sistemi sanitari nazionali siano votati alla bancarotta. Piuttosto che porre un problema di limiti è giusto muovere verso una governance dell'innovazione che dia piu' potere ai pazienti.
Per Callahan, tuttavia, il problema non è quello della bancarotta ma dell'equa distribuzione delle risorse a settori diversi della società, per esempio quello dell'educazione piuttosto che quello della sanità. E le corporazioni stanno muovendo verso comportamenti sempre meno "socialmente responsabili".

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