"Unità e diversità della specie umana: genetica, linguistica, migrazioni"

Seminario ISVOR Knowledge System, tenuto da Luigi Luca Cavalli Sforza
Centro Incontri Marentino (Torino) - 23 maggio 2002

Estratti dall'intervento di Piero Bassetti e risposta di Luigi Luca Cavalli Sforza


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Riferimento:
www.incontrisulpianeta.it

Nell'ambito di un ciclo di seminari organizzato nel 2002 da Isvor Knowledge System in collaborazione con CBI Network Italy di Cap Gemini Ernst & Young (si veda il sito intitolato all'iniziativa: "Incontri sul Pianeta", indicato nel riquadro qui a fianco), Luigi Luca Cavalli Sforza (una delle massime autorità mondiali nel campo della genetica umana) ha parlato dell'utilizzo creativo della ricerca genetica applicata all'evoluzione e alla storia della nostra specie.
Piero Bassetti [ * ], intervenendo come discussant al seminario, ha tracciato un proprio itinerario di ragionamento dal quale emerge una personale visione del problema della responsabilità nell'innovazione.
Il testo seguente riporta quasi fedelmente le sue parole e la replica di Cavalli Sforza.

(On-line: Gennaio 2003)

v-mov.gif (1033 byte)Questo documento è un ramo di pagina 7 degli Argomenti

(...) Ora vorrei accennare a un altro punto, che è molto in linea col tipo di lavoro culturale che stiamo facendo come Fondazione Bassetti.

E dunque: qual è la responsabilità nell’innovazione e di chi è?

L'uomo come "elaboratore di modelli culturali"

A un certo punto, Cavalli Sforza ha parlato in termini espliciti di responsabilità che l’uomo consapevole sviluppa nell’esercitare la funzione di operatore per conto della natura, in quanto elaboratore di modelli culturali.

Di chi è la responsabilità dell'innovazione?

In fondo, questo è il modo attraverso il quale noi esercitiamo un compito di selezione, anche se di tipo culturale.

...responsabile... il Management?

Ecco, vorrei dire che se dal punto di vista materiale l’oggetto di cui parliamo è l’innovazione, dal punto di vista morale l’oggetto di cui parliamo è il management e la responsabilità del management.

Perché? Che cosa vuol dire management? L’inglese "management" viene da "ménager", e questo a sua volta viene da "mano". E la mano ha una lunga storia. I nostri antenati non avevano il pollice, non erano capaci di presa. Da allora noi abbiamo creato le mani più sofisticate, e penso ai robot e penso soprattutto alle tecnostrutture. In fondo, le tecnostrutture hanno collettivizzato il problema del managing.

In definitiva, noi oggi chiediamo che nella nostra civiltà la mediazione storico-culturale sia fatta dai manager.

...responsabile... non più il Principe

Questo, secondo me, è un fatto importante, perché fino a poco tempo fa era fatta dai Principi. Il Piemonte da questo punto di vista è davvero molto rappresentativo: dalla monarchia a una tecnostruttura.

Ciò significa che la responsabilità del fare accadere le trasformazioni --che non è solo affidata ai geni ma è affidata soprattutto al nostro libero arbitrio-- oggi è affidata ai manager. Ecco, secondo me di questo i manager non sono sempre consapevoli e questo è il tema sul quale noi, come Fondazione Bassetti, lavoriamo.

Il sistema ha creato un filtro di irresponsabilità

Il sistema ha creato un filtro di irresponsabilità.

...responsabile... il Mercato?

Si dice abitualmente che è il Mercato a essere responsabile, perché è sul Mercato che si misura il consenso rispetto a un’innovazione.

Il Mercato come motore dello sviluppo

Ma la proposta dell’innovazione non è fatta dal Mercato, il Mercato giudica solo il gradimento di un’innovazione, e quindi giudica se la Coca Cola è meglio della Pepsi Cola e mette in utile di più o di meno la Coca Cola.

Ma, in questo modo, il Mercato ha giudicato anche il Talidomide. E quando si è scoperto che il Talidomide produceva bimbi focomelici: no, questo non era colpa del Mercato.

Responsabilità in senso storico-culturale

Se voi guardate ogni innovazione che abbia un certo rilevo, la vera responsabilità storico-culturale è presa da chi la propone.

Pensiamo all’automobile: quando è stata messa in strada l’automobile, era difficile prevedere che avrebbe rappresentato un dramma, che avrebbe raggiunto la saturazione.

Oggi --lo capisce qualunque profano-- dev’essere dannatamente difficile vendere le automobili, perché viene quasi il dubbio che quando escono dalla linea non si sappia dove fisicamente metterle, visto che una domenica pomeriggio una regione come la Lombardia ha tutte le strade coperte fisicamente da automobili.

Ma se fosse vero che l’automobile, per esempio, ha creato il problema dell’inquinamento, a chi possiamo ricondurre la responsabilità di averci sottoposto l’innovazione che la selezione naturale probabilmente un giorno condannerà, oppure assolverà (facendoci cambiare gli scappamenti delle automobili)?

L'innovazione è un fatto, è un accadimento

E’ chiaro che il Mercato non può essere considerato responsabile, in qualche senso preciso del termine. A differenza della scoperta, che è "disvelamento", "rinvenimento", l’innovazione è sempre un "accadimento": chi innova "fa accadere", fa succedere dei fatti, e i fatti mutano la realtà. Ma chi si assume le responsabilità di un intervento sulla realtà?

Abbiamo detto che la responsabilità dei nuovi accadimenti non può essere attribuita al Mercato, ma non mi sentirei ancora di dire che è stata attribuita ufficialmente ai manager. Perché ai manager viene invece chiesto di operare all’interno di un calcolo dentro il quale la responsabilità, in certo senso, sparisce.

E allora: qual è il rapporto fra il manager e il sapere? Che cosa siamo tenuti a sapere per fare le nostre scelte di tutti i giorni? Aleggia l’impressione che se dovessimo avere a che fare con tutta la complessità delle conoscenze dei nostri giorni, saremmo come paralizzati.

La Scienza

Tuttavia: si può continuare a trattare la scienza --come è stata trattata molte volte-- come una specie di scatola nera? Che cosa succede dentro non c’interessava, sapevamo che qualcuno ci mette qualcosa, vedevamo che cosa ne esce a valle e poi procedevamo.

Al contrario, a me sembra che dalla giornata d’oggi emerga uno stimolo a dire: «No, noi dobbiamo essere partecipi e consapevoli di come avvengono certi processi, perché senza una loro conoscenza, che tra l’altro postula l’interdisciplinarità e quindi una visione d’insieme, il "managing" diventa veramente difficile».

...responsabile... il Capitale?

E del resto, se la responsabilità non spettasse al manager, a chi spetterebbe dunque? Forse al Capitale? Anche in questo caso la risposta sembra negativa, perché il Capitale interviene sulla realtà in maniera abbastanza cieca: non è tenuto a sapere che cosa succederà quando i manager avranno usato quei soldi per mettere in atto quella particolare innovazione.

In definitiva, abbiamo costruito un sistema
abbastanza perfetto di deresponsabilizzazione

In definitiva, abbiamo costruito un sistema abbastanza perfetto di deresponsabilizzazione. Abbiamo anche creato un’idea di lavoro collettivo, che rompe abbastanza con l’idea di responsabilità personale della tradizione classica. Abbiamo costruito il "decision making" dell’innovazione, che è ormai tecnostrutturale e collettivo: i parametri di misura di accertamento della responsabilità li abbiamo fatti svanire attraverso alienanti operazioni di affidamento a calcoli, dietro i quali siamo in grado di trincerarci.

Il "decision making" dell'innovazione è ormai tecnostrutturale e collettivo:
il concetto di "responsabilità" è stato sostanzialmente abolito

Si potrebbe dire che abbiamo costruito una sorta di darwinismo. Ci siamo sottratti alla responsabilità e ci siamo affidati a un criterio di selezione esterno: quando le automobili non si venderanno più non si faranno più. Questo è teorizzato dal capitalismo come "logica della competizione". Però, secondo me non si è avuto il coraggio di teorizzare anche che il concetto di responsabilità (concetto che le società come modo di organizzazione del potere avevano sempre rivendicato) è stato sostanzialmente abolito.

Come Fondazione Bassetti abbiamo voluto affrontare questo tema, per esempio stimolati da un settore imprenditoriale come quello tessile che non ha certo conseguenze drammatiche come la bomba atomica o il Talidomide, ma che può introdurre nel costume sociale tanti sottili cambiamenti: introducendo il piumone si cambia comunque il modo di dormire, e introducendo la minigonna si cambia comunque il modo di vivere e di fare tante altre cose.

Dovremmo tener presente che anche quell’innovazione che non è propriamente concentrata sugli ultimi contenuti della tecnologia e della scienza può avere un forte contenuto trasformativo. E dovremmo riflettere sul fatto che non è possibile andare avanti all’infinito illudendosi, come spesso si fa, di non sapere chi ce l’abbia davvero la responsabilità.

Per qualcuno è comodo dire che ce l’hanno i politici. Ma oggi che è stata distrutta la dimensione dello stato nazionale (cosa che mi trova del resto d’accordo), non si capisce più se dobbiamo guardare a Berlusconi o a Bush per sapere chi veramente ci condizioni.

Globalizzazione e organizzazione del potere politico,
del potere sul Mercato,
del potere finanziario

Con la Globalizzazione abbiamo disarticolato l’organizzazione del potere politico, abbiamo disarticolato l’organizzazione del Mercato, e quindi del potere sul Mercato, abbiamo disarticolato il potere finanziario, perché la finanza ormai si sottrae a una responsabilità dei suoi investimenti.

La selezione darwiniana può davvero essere
un modello di sviluppo sociale
e "misura" dei propri comportamenti?

In definitiva... ci siamo avvicinati al modo in cui la Natura trasforma il mondo. Ma può davvero funzionare una società che ha scelto la selezione darwiniana come "misura" dei propri comportamenti?

 


La risposta di Cavalli Sforza a Piero Bassetti

E’ vero che c’è una forte somiglianza tra le idee di darwinismo e funzionamento del Capitalismo. E quando Piero Bassetti ha parlato delle varie responsabilità, in fondo s’è fermato soprattutto sul Mercato, non ha avuto dubbi sul fatto che il Mercato abbia una forma di controllo esterno.

In fondo, per fare il parallelo con l’evoluzione biologica, la selezione naturale è quella che controlla tutto e il Mercato è la forza che esercita un tipo di selezione analogo, perché in fin dei conti è quello che decide se un’azienda può proseguire quello che fa oppure se deve cambiare.

Devo dire una cosa, però: la selezione naturale è una forza completamente automatica che si basa su fatti che sono in sostanza la riproduzione e la sopravvivenza dell’individuo, e poi del gruppo in quanto fatto di parecchi individui. E anche il Mercato è completamente automatico, però il Mercato è sempre controllato da noi e quindi è una forza in un certo senso meno universale. In sostanza anche il Mercato, cioè noi che compriamo, può sbagliare.

Senza dubbio, è soggetto a mode e le mode sono comunque meno valide della selezione naturale. La selezione naturale, invece, non sbaglia, perché per continuare la specie bisogna sopravvivere e riprodursi.

Dunque il Mercato ha una forza gigantesca, però senza dubbio non è del tutto oggettivo. La risposta del Mercato di un giorno può essere diversa dalla risposta del Mercato di un altro giorno, e questa in fondo è una limitazione.

D’altra parte il Mercato non considera altri fattori che sono importanti, perché sono fattori che riguardano il collettivo e che qualche volta possono portare il Mercato in direzioni un po’ diverse.

Talvolta bisognerebbe controllare le direzioni che prende il Mercato, perché potrebbero essere sbagliate. Quando il presidente Hoover ha voluto lasciare il Mercato completamente libero di funzionare, in pratica ha creato la grande depressione.

(...)

Un altro problema che certamente richiederebbe un maggior approccio scientifico è quello dei costi di una tecnologia. Si potevano prevedere in anticipo le ricadute inquinanti dell’auto? Si poteva prevedere in anticipo la saturazione non solo del Mercato, ma anche dell’ambiente, per cui nei giorni di festa le auto rischiano di essere tutte ferme? Il problema è che, a questo punto, muoversi nei puri confini del Mercato è del tutto insufficiente.

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